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23 febbraio un anno dopo: così Bergamo (e la Lombardia) divenne il lazzaretto d’Europa. L’inchiesta di TPI

Immagine di copertina

23 febbraio. Quella fredda domenica di inizio 2020 in cui tutto stava per cambiare. In peggio. Una data che tutti i cittadini bergamaschi hanno impressa indelebilmente nella memoria. Il 23 febbraio infatti, mentre a Codogno e in altri 11 comuni del lodigiano viene dichiarata la zona rossa, nella provincia di Bergamo scoppia invece la miccia che avrebbe poi dato inizio al peggior contagio del Coronavirus in Italia. Esattamente un anno fa, è stata l’inchiesta di TPI a firma di Francesca Nava a denunciare le irregolarità avvenute nell’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo, dove vengono accertati due casi di Covid, ma il pronto soccorso viene chiuso frettolosamente e riaperto – inspiegabilmente – tre ore dopo senza una reale sanificazione. In un mix di sottovalutazioni e negligenza, l’ospedale rimane aperto. Un anno dopo tutto appare più chiaro: la mancata chiusura di Alzano e Nembro ha alimentato il focolaio che ha messo in ginocchio la Lombardia, trasformando Bergamo nel lazzaretto d’Italia. (Per approfondire i dati: Ecco quanto ci è costato non chiudere subito Alzano e Nembro: il confronto rispetto a Codogno).

Le testimonianze che hanno rivelato come è andata

A rompere il silenzio su quel 23 febbraio sono state soprattutto le testimonianze dirette. Quella di un dipendente dell’ospedale che conferma in una video-testimonianza esclusiva che, con ordini dall’alto, è stato imposto di lasciare aperta la struttura sanitaria, che la sanificazione non è mai avvenuta e che i pazienti Covid-19 venivano respinti e non accolti in altre strutture e lasciati nell’oblio più totale. Poi quella di un’infermiera del Pronto soccorso conferma che, per diverso tempo, i positivi al Coronavirus sono rimasti nel reparto insieme a tutti gli altri pazienti, facendo aumentare a dismisura il rischio contagi. E una lettera del direttore sanitario di Alzano, Giuseppe Marzulli, conferma che dall’ospedale è arrivata la richiesta di chiudere il Pronto soccorso. E che, di conseguenza, il fatto che ciò non sia avvenuto dipenda dalla decisione della direzione generale di Seriate. “Presso il Pronto Soccorso – si legge nella lettera – stazionano tre pazienti senza che vengano accolti né dall’ospedale di Seriate né da altre strutture aziendali. È evidente che in queste condizioni il Pronto Soccorso di Alzano Lombardo non può rimanere aperto”. E invece così è avvenuto.

Nei giorni successivi si apprende che diversi operatori, sia medici che infermieri, risultano positivi ai tamponi per Covid19, molti di loro sono sintomatici. La maggior parte delle persone transitate nell’ospedale e nel pronto soccorso quella domenica di fine febbraio, una volta uscite – senza essere né diagnosticate, né isolate e ignare dei casi positivi riscontrati – sono tornate a casa dalle proprie famiglie, il giorno dopo sono andate in ufficio, in fabbrica, a fare la spesa, in palestra, al parco, al bar a fare l’aperitivo, si sono mosse liberamente per il comune, per la provincia e la regione, altre sono anche andate a sciare, magari a Valbondione (località sciistica in provincia di Bergamo) dove, guarda caso, si sono registrate impennate di contagi da Coronavirus nei giorni successivi. Le scuole sono già chiuse da alcuni giorni in tutta la Lombardia, ma la gente continua a lavorare e soprattutto a uscire.

Intanto nell’ospedale di Alzano Lombardo si ammalano un po’ tutti: dal primario, ai medici, dagli infermieri ai portantini. Ci sono addirittura pazienti che entrano con una frattura ed escono morti positivi a Covid19. E con l’aumento dei casi, aumenta anche la voglia di denunciare. Un’altra infermiera si sfoga con il quotidiano locale Valseriana News: “Noi stasera siamo di guardia al pronto soccorso con un medico positivo al tampone – racconta la donna con voce concitata al telefono – e nessuno lo allontana, gli hanno dato ordine di rimanere qui fino a domani mattina, indossando la mascherina. Rischio il posto di lavoro a dire queste cose, ma sono stanca di essere presa per i fondelli, ci sono mille raccomandazioni e poi mi metti di guardia un medico che sai che è positivo!”.

Le nota dell’ISS

Passano 10 giorni da quel 23 febbraio e il 2 marzo 2020 l’Istituto superiore di sanità invia una nota riservata al governo – che TPI ha visionato in esclusiva – in cui chiede l’isolamento immediato e la chiusura di Alzano e Nembro (Bergamo), oltre a Orzinuovi (Brescia). L’Iss, quindi, chiedeva la creazione di una zona rossa nella Val Seriana, a causa dell’alta incidenza di casi, come avvenuto qualche giorno prima a Codogno.

Lo scarica barile

Da lì, parte il classico rimbalzo di responsabilità. Né il Governo, né la Regione danno ascolto all’Iss, che reitera invano la sua richiesta il 5 marzo. Il giorno successivo l’ormai ex assessore al Welfare lombardo, Giulio Gallera, conferma implicitamente di aver ricevuto la nota e rimandando al Governo ogni decisione. A tutto ciò si uniscono anche gli interessi economici della zona, come confermato da Marco Bonometti (presidente di Confindustria Lombardia) a TPI. Mentre il professor Giovanni Rezza conferma ai nostri microfoni: “Sono stato io a inviare la nota dell’Iss su Alzano e Codogno. Ma poi è stato valutato di alzare il livello di allerta a tutta la regione. Tra Stato e Regione non c’è mai perfetto accordo, ma non so chi non ha voluto la Zona Rossa”.

Il premier Conte, in conferenza stampa nazionale, spiega a TPI che se avesse voluto, la Regione Lombardia avrebbe avuto la facoltà di disporre autonomamente una zona rossa ad Alzano e Nembro. La Regione risponde dicendo di aver fatto richiesta il 3 marzo, ma di non essere stata ascoltata. Solo l’8 marzo, comunque, arriva la decisione dell’esecutivo di imporre il lockdown all’intera Lombardia e altre 14 province. Troppo tardi: i contagi in Lombardia sono già alle stelle. E non ci sarà mai una risposta alla domanda: perché Alzano e Nembro non sono state chiuse per tempo?

L’inchiesta di TPI fa aprire un’inchiesta della Procura di Bergamo

Dopo tutto quello che era successo a partire da quel 23 febbraio all’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo e che TPI ha raccontato, la Procura di Bergamo ha aperto un’inchiesta per epidemia colposa sulla gestione dell’emergenza Coronavirus all’interno del nosocomio. Nel corso delle indagini, sono stati sentiti come testimoni pure il governatore Fontana e l’ex assessore Gallera.

Quel che resta del 23 febbraio

23 febbraio 2021: la campagna vaccinale è partita e dà nuova speranza, nonostante la seconda ondata e le varianti del Sars-Cov 2 sempre più forti e penetranti. L’Ospedale Pesenti Fenaroli ha ripreso la sua attività a pieno ritmo. I cittadini della Val Seriana ne hanno viste tante in questo anno. Hanno visto i loro morti passare sui carri armati, senza poter fare neanche un ultimo saluto. Hanno visto le loro attività chiudere. Hanno visto le ambulanze sfrecciare ad ogni ora del giorno e della notte. Quel 23 febbraio 2020 ha cambiato le vite di tutti, non solo ad Alzano e Nembro. Un anno dopo, Bergamo è riuscita a rialzarsi, ma quelle ferite rimarranno per sempre. Ed è giusto così: non vanno dimenticate, per non ripetere mai più quegli errori.

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:

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