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Esclusivo TPI – Inchiesta tamponi falsi Campania. “Facevo tamponi anche per conto della Asl Napoli 3, lo sapevano”. Il principale indagato si difende

 

ESCLUSIVO TPI, di Amalia De Simone – A TPI parla Raffaele Balbi, medico del 118 dell’Asl Napoli 2 e principale indagato dell’inchiesta sui tamponi falsi in Campania, vicenda scoperta dal nostro giornale con una serie di intercettazioni e testimonianze esclusive (leggi e ascolta qui). Se da un lato, secondo le indagini Raffaele Balbi e la sua azienda non erano autorizzati a svolgere l’attività di esecuzione dei tamponi, dall’altro le principali istituzioni sanitarie regionali erano a conoscenza di quel lavoro e addirittura Balbi e i suoi collaboratori avrebbero lavorato per Asl e istituto zooprofilattico. Qui la video intervista integrale di TPI a Raffaele Balbi.

 

L’INCHIESTA DI TPI SUI TAMPONI FALSI IN CAMPANIA | Parte 2

1.Esclusivo TPI – Inchiesta tamponi falsi Campania, parte 2. Parla il principale indagato: “La Asl Napoli 3 sapeva, ho fatto test per loro. Ho le fatture che lo dimostrano”
2. Esclusivo TPI, inchiesta tamponi falsi Campania: “Facevo tamponi anche per conto della Asl Napoli 3, lo sapevano”
3. Esclusivo TPI – Tamponi falsi in Campania, parla il principale indagato: “La Asl di Napoli sapeva che facevo i test, ho le fatture”

L’INCHIESTA DI TPI SUI TAMPONI FALSI IN CAMPANIA | Parte 1

Esclusivo TPI: “Che me ne fotte, io gli facevo il tampone già usato e gli dicevo… è negativo guagliò”. La truffa dei test falsi che ha fatto circolare migliaia di positivi in Campania

 

ESCLUSIVO TPI, di Amalia De Simone – Io gli facevo il tampone e lo mettevo su una striscetta già usata e non gli dicevo niente. Non attendevo nemmeno i 20 minuti e dicevo: è negativo guagliò, tutto a posto! Capito? Tanto io già so che quella striscetta è negativa quindi non tengo il rischio. (…) Che me ne fotte… Nella sua testa lui è negativo. Se pure fosse stato positivo già avrebbe fatto i guai… Che me ne fotte a me”. Noi di TPI siamo in grado di rivelare una mega-truffa che ha messo a rischio la salute di migliaia di cittadini inconsapevolmente positivi, vittime di un sistema che forniva loro risultati falsi di tamponi Covid, con il rischio concreto che, circolando liberamente, potessero infettare a loro volta tutte le persone con cui entravano in contatto.

Le parole che leggete in questo stralcio di intercettazione ottenuta in esclusiva da TPI sono la sintesi di una delle conversazioni oggetto dell’indagine dei carabinieri del NAS di Napoli che hanno scoperto un’organizzazione (al momento ci sono 17 indagati) che effettuava tamponi per la ricerca del Coronavirus senza avere i macchinari adatti a processare i campioni, né il personale specializzato per poterli eseguire. Il risultato? Questo tipo di attività (ingente per ammissione degli stessi soggetti coinvolti, che nei dialoghi intercettati parlano di migliaia di tamponi eseguiti) ha contribuito al diffondersi dell’epidemia, mettendo in pericolo la salute e la vita di molte persone.

In questo momento, va ricordato, la Campania come la Lombardia ha più del 10 per cento di tamponi positivi. Per esempio il 22 ottobre ci sono stati 1.541 positivi a fronte di 12.001 tamponi analizzati, per un totale di oltre 32mila casi in regione. E il dato è in crescita, esattamente come quello dei posti in terapia intensiva occupati: 94 su una capacità totale di 227 posti complessivi a livello regionale. Quindi, questa organizzazione ha fatto pericolosamente aumentare il numero di contagiati che è andato in giro per la regione senza neanche sapere della propria positività: una bomba epidemiologica di cui probabilmente ancora non abbiamo visto tutti i risultati.

 

Tamponi senza certificati e personale senza titoli

L’infermiere che nell’intercettazione (nel video qui sopra l’audio esclusivo di alcuni componenti dell’organizzazione) diceva di ricorrere a striscette usate e di “fottersene” dell’esito giusto da comunicare ai pazienti puntava sugli “ignoranti”. E pensare che era uno dei pochissimi dell’organizzazione ad avere un titolo sanitario, insieme ad un medico del 118 che aveva messo in piedi questo giro d’affari approfittando di uno dei periodi più drammatici della storia. Ma non tutti erano vittime totalmente inconsapevoli del raggiro. Qualcuno, dopo aver fatto ricorso alla Asl e aver svolto correttamente il tampone, ha fatto notare la scarsa professionalità del servizio. Di queste lamentele, ne parlavano al telefono proprio alcuni membri del gruppo finito sotto indagine: “Una signora mi ha fatto una chiavica perché il tampone era negativo a fronte di quello dell’Asl che era nuovamente positivo e ha praticamente detto che noi siamo una chiavica… Che li fate a fare i tamponi?”. (Qui tutte le intercettazioni).

Documento esclusivo: risultato del tampone di A.S. presso la Asl Napoli 1 centro dove è positivo, al contrario del test negativo fatto dalla banda

La banda: chi sono i componenti del “sistema”

La banda era coordinata da un dottore del 118, il Servizio Sanitario di Urgenza ed Emergenza, che venendo meno al vincolo di esclusività alla sanità pubblica, approfittava della propria posizione di medico, dello stato pandemico e del conseguente assoggettamento psicologico da parte della gente. Accanto a lui un infermiere e una serie di persone non qualificate, tra cui anche la sorella di quest’ultimo e vari altri conoscenti, utilizzati prevalentemente per l’esecuzione dei tamponi. E soprattutto il supporto di una azienda specializzata in protesi acustiche che metteva a disposizione il suo parco clienti, i locali della sua struttura e un macchinario per processare i tamponi. Appena la procura chiuderà il fascicolo, gli indagati potranno produrre documenti e depositare memorie che provino la loro eventuale estraneità ai fatti (Qui una ricostruzione dell’organizzazione: chi è la banda)

E veniamo proprio allo strumento a disposizione dell’organizzazione. Si tratta di una macchinetta per l’esecuzione e l’analisi dei tamponi nata per la ricerca dei virus negli animali e in particolare della brucellosi nelle vacche e che invece era stata modificata per l’occasione e quindi non era nemmeno omologata, né testata. I risultati non potevano avere alcuna evidenza scientifica e probabilmente per le analisi venivano utilizzati kit diversi da quelli prescritti normalmente. Per ogni test venivano rilasciati anche dei certificati firmati proprio dal medico che coordinava le prestazioni.

L’organizzazione aveva cominciato la sua attività ben prima che la Regione Campania autorizzasse i laboratori privati ad eseguire i test per la ricerca del virus. Lo scorso 13 ottobre la Regione ha pubblicato l’elenco dei laboratori accreditati anche se subito la Federlab ha sottolineato che nella stesura degli elenchi ci sarebbero una serie di errori come la presenza di laboratori falliti o diventati Srl o la mancata indicazione di strutture invece in possesso di tutti i requisiti.

De Magistris: “Fatto gravissimo, ora massimo rigore e severità”

Lo stato dell’arte della sanità campana è abbastanza critico, come sottolinea anche il sindaco di Napoli Luigi de Magistris a TPI: “Queste migliaia di tamponi falsi sono un fatto di una gravità inaudita e mi auguro che la magistratura faccia il suo corso e il suo lavoro, insieme alle forze dell’ordine. Con il massimo rigore e la massima severità perché è inqualificabile e indegno. Bisogna partire però dal contesto in cui questa organizzazione si è potuta inserire. Noi abbiamo innanzitutto una situazione che io da tempo vado dicendo che è fuori controllo. Non si ha più notizia di un tracciamento puntuale e costante dei positivi e dei contatti diretti. Secondo: le persone vengono lasciate per troppo tempo in balia della tempesta, ovvero non riescono ad avere il risultato del tampone. E questo li mette in una condizione di disperazione perché la Asl ritarda. E le persone hanno la tosse che aumenta, la febbre che aumenta e sono spaventate. Ed è proprio in quel momento che cercano il tampone, che si rivolgono a chiunque pur di farlo”.

“In Campania manca quindi – ha continuato de Magistris – una rete e una capacità organizzativa per monitorare tra pubblico e privato lo stato di salute della nostra popolazione. E questo sarebbe competenza della Regione e delle Asl. E non c’è solo il quadro delle abitazioni, cioè di chi sta male a domicilio. Poi c’è anche chi fa 8 o 9 ore di fila davanti al Frullone, la sede che la Asl ha messo a disposizione per i tamponi. C’è gente che per evitare questo strazio, poi magari va da un’altra parte” (qui l’intervista completa).

La storia di Maria

“L’altra parte” di cui parla de Magistris in questo caso è un’organizzazione in cui gli errori sugli esami per l’individuazione del Coronavirus sono stati numerosi. Quelli venuti fuori negli ultimi giorni riguardano prevalentemente casi maturati a fine estate. Era il 31 agosto e la signora Maria (nome di fantasia) ha 38 di febbre, la tosse e si sente debole. Era stata a Cosenza con la nipote dove erano stati a contatto con un parente risultato positivo al Covid. La nipote della signora Maria si rivolge al medico del 118 a capo della banda che ha saputo effettuare i tamponi orofaringei.

Anche se la Regione Campania non aveva ancora dato mandato ai privati di effettuare questo tipo di test, l’organizzazione nel frattempo, evidentemente lasciando credere che fosse una procedura corretta, già si adoperava per soddisfare le numerose richieste in un sistema sanitario congestionato per l’aumento esponenziale dei contagi dopo il periodo estivo. E così alla signora Maria viene fatto il tampone. Esame che viene eseguito a buona parte della sua famiglia. L’esito per Maria è negativo anzi, il medico che aveva effettuato l’esame, rassicura la nipote: “Tua zia era perfetta. Non ha nulla, non tiene niente, ha solo una bronchite asmatica… è un’altra cosa”. Ma la febbre non scende e la signora Maria finisce in ospedale a Pozzuoli dove le diagnosticano la positività al Covid e ne dispongono il trasferimento in un altro ospedale.

 

[Nel video qui sopra la testimonianza esclusiva della nipote della signora Maria, truffata dall’organizzazione]

Abbiamo rintracciato proprio la nipote della signora Maria: “Anche io ho contratto il Covid ma mia zia è stata ricoverata per più di un mese”. Quando ha fatto il tampone privato già aveva i sintomi. Di che tampone si tratta? “Di quello normale naso-gola. Risultò negativo, ma mia zia stava male e così la portammo all’ospedale di Pozzuoli. Lì le rifecero il tampone e risultò positivo, la tennero un giorno in uno stanzino e poi la trasferirono all’ospedale Loreto Mare perché al Cotugno non c’era posto”. Quanti anni ha sua zia? “Ha 82 anni”. Quando avete fatto il primo tampone privato? “Lo abbiamo fatto a fine agosto, il 29 o il 30”. Vi siete rivolti a quel laboratorio privato perché lo conoscevate? “Perché era regolare e autorizzato”. Dunque il medico che aveva eseguito il tampone aveva fatto credere che fosse tutto regolare e soprattutto ha eseguito un esame da privato quando la Regione Campania ancora non lo aveva consentito (Qui tutta la storia di Maria).

E non è l’unico esempio contenuto nell’informativa che i carabinieri del NAS hanno trasmesso alla procura di Napoli. C’è la signora Angela, risultata positiva a un loro tampone e poi invece negativa a quello dell’Asl. C’è il caso del pizzaiolo di una delle pizzerie più antiche di Napoli, la Di Matteo, risultato negativo al tampone privato e poi invece positivo a quello delle autorità sanitarie competenti.

La storia di A.

E ancora il caso di un falso tampone, venuto fuori perché è stata proprio l’Asl a contattare e i soggetti che avevano effettuato privatamente l’esame risultato falsamente negativo e invece poi positivo (Qui il documento). L’impiegata dell’Asl li aveva chiamati al telefono insieme alle altre persone elencate dal paziente contagiato, per poterli tutelare dal fatto che erano stati a contatto con un soggetto che aveva contratto il Covid. Durante questa conversazione il medico del 118 racconta di aver effettuato migliaia di tamponi e di averlo fatto spesso per conto della Asl Napoli tre (circostanza sulla quale certamente gli inquirenti avvieranno delle verifiche).

 

[Nel video qui sopra la testimonianza esclusiva di A., truffato dall’organizzazione]

Questa persona risultata negativa al test privato e positiva a quello dell’Asl, rintracciata telefonicamente da TPI ha spiegato di aver fatto ricorso al tampone privato in attesa dell’esito di quello fatto all’Asl.“Dall’Asl ci mettevano tempo e io sono impazzito perché avevo paura. Così ho richiesto privatamente un test rapido. E’ risultato negativo. Poi invece dopo una settimana l’Asl mi ha comunicato che il mio tampone era positivo. D’altronde avevo alcuni sintomi del Coronavirus come la perdita del gusto e dell’olfatto”. Il laboratorio che lei ha contattato aveva autorizzazioni per lavorare? “Si, mi hanno mostrato carte e autorizzazioni e l’addetto proveniva da un centro, un laboratorio”. Sulla veridicità delle autorizzazioni saranno gli inquirenti a verificare nei prossimi giorni (Qui tutta la storia di A.).

Dalle indagini dei NAS coordinati dal comandante Gennaro Tiano risulta che questo tipo di tamponi sono stati eseguiti anche in alcune aziende e comunque a tante persone. Nel corso degli ultimi mesi, anche a domicilio, tanto che essendo una parente titolare di una società di ambulanze, da alcune conversazioni emerge la volontà di utilizzare macchine con intestazione medica per millantare maggiore autorevolezza e poter parcheggiare anche in doppia fila.

Truffa al sistema sanitario nazionale

Quante di queste persone ingannate dai test falsi erano invece ammalate e hanno rischiato conseguenze gravi per la propria salute? Quante ignare di essere contagiose sono andate in giro, hanno avuto contatti non protetti e hanno involontariamente infettato altra gente? Da qui partiranno le inchieste della procura di Napoli affidate ai pm Maria Di Mauro e Giuseppe Lucantonio che valuteranno oltre alle ipotesi di reato di truffa al sistema sanitario nazionale, falso, concussione ai danni dei clienti indotti a sottoporsi al test sierologico in caso di tampone dubbio o positivo, una vera e propria associazione per delinquere eventualmente responsabile di epidemia dolosa o colposa. In questa vicenda i protagonisti non sembrano curarsi della possibilità di diffusione dell’epidemia.

Un giro d’affari da centinaia di migliaia di euro

L’unica attenzione sembra essere per i soldi. Sopra la salute e la vita della gente. Quantificare il business messo in piedi dagli indagati che lucrava eseguendo tamponi per la ricerca del Coronavirus senza autorizzazioni, senza i giusti macchinari, senza il corretto metodo e senza il personale adeguato è difficile. Quello che emerge è che ogni esame costava circa 36 euro, ma secondo le conversazioni che emergono tra gli indagati ci sono tariffe che toccano anche i 50 e gli 80 euro. Stando sempre a quanto dichiarato in alcune telefonate intercettate dai carabinieri del NAS, dal promotore dell’organizzazione, il medico del 118, i tamponi eseguiti sarebbero migliaia.

“Che me ne fotte a me”

Tra loro però c’era anche un infermiere che avrebbe eseguito gli esami anche per conto proprio, raggirando i suoi stessi sodali. Solo che lo avrebbe fatto, per sua stessa ammissione durante la conversazione con la sorella che avete sentito nelle intercettazioni esclusive, utilizzando striscette già usate e quindi non attendibili ab origine. Per questo inutile e pericoloso servizio lui avrebbe richiesto circa 20 euro. Per calcolare le cifre di questo affare basta moltiplicare 36 euro (la tariffa praticata più bassa) per alcune migliaia (i clienti ipotizzati dagli stessi membri dell’organizzazione. Otterremo una cifra al ribasso ma già molto ingente. Senza contare che il tutto potrebbe essere stato fatto senza adeguata rendicontazione fiscale e soprattutto con costi irrilevanti, visto che macchinari e kit non erano adeguati. Una giostra messa in piedi senza scrupoli, in una regione in cui il numero di contagi, anche se per la maggior parte (e per fortuna) asintomatici, cresce di giorno in giorno.

Se avete segnalazioni, scrivete alla mail inchieste@tpi.it

***Ha collaborato all’inchiesta Veronica Di Benedetto Montaccini

L’INCHIESTA DI TPI SUI TAMPONI FALSI IN CAMPANIA

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