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Perché la scuola italiana non dovrebbe parlare di bocciatura

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La ministra dell'Istruzione, Lucia Azzolina

La ministra Azzolina ha confermato che quest'anno sarà possibile bocciare gli alunni. Emblema di una valutazione classista e conservatrice, che obbliga studenti che si trovano indietro in un limitato numero di materie a ripeterle tutte quante. Un modello già inefficiente normalmente, ma inapplicabile in questa situazione di emergenza

Perché la scuola italiana non dovrebbe parlare di bocciatura | Coronavirus

Ha fatto notizia, in giornate di segnali e comunicazioni continue da parte del Governo italiano, un improvviso cambio di posizione della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina riguardo la possibilità di infliggere la bocciatura agli studenti delle scuole italiane dopo questo semestre anomalo. Non volendo entrare nel dettaglio delle posizioni prese in precedenza dalla ministra, questa scelta ha provocato lo sdegno di studentesse e studenti e delle associazioni che li rappresentano, non soltanto per una mancanza di coerenza da parte del Governo in questi ultimi mesi, ma per la gravità e per i potenziali effetti di una decisione che ricorda le peggiori tendenze conservatrici del sistema d’istruzione del nostro Paese.

S&D

Iniziamo dal ricapitolare ciò che sta succedendo: da marzo gli studenti medi italiani seguono le lezioni esclusivamente attraverso internet, con attività e lezioni rigorosamente a distanza. Non abbiamo dati certi, ma sappiamo che quote consistenti della popolazione studentesca non avevano accesso a un computer personale prima della crisi. Sappiamo che in moltissimi si stanno trovando a fare il tutto dal cellulare, cosa che oltre a essere poco sana per la vista, riduce le possibilità di interazione e apprendimento rispetto a chi invece ha un computer o uno schermo più grande. La limitatezza delle misure prese e le tempistiche necessarie per materialmente far arrivare i dispositivi a chi ne ha bisogno lasciano questa discriminazione in atto con il passare delle settimane, limitando la libertà di apprendimento e il diritto allo studio di decine di migliaia di studenti per un mero ostacolo materiale.

Continuando, provando a dire ciò di cui non si parla normalmente, dovremmo poi parlare anche delle condizioni psicologiche che tutti gli studenti stanno vivendo, con notevoli differenze tra individui, come è normale, pensando a ragazzi costretti a rincorrere le scadenze e a “fare i compiti” senza alcuna certezza sul proprio futuro (la confusione sull’esame di maturità ad esempio non aiuta), in isolamento dai propri amici e dai propri affetti, in situazioni di grande disagio (molto più spesso di quanto non si creda) per i genitori che si sono ritrovati all’improvviso senza lavoro, o per la perdita di qualcuno dei propri cari. I morti per il Coronavirus, i disoccupati in aumento sono persone, non numeri, e ciò che sta accadendo fa male alle tante persone che gli stanno intorno, le loro famiglie e le loro comunità.

In questa situazione critica per la salute mentale collettiva, sicuramente non aiutano le (necessarie) limitazioni ai servizi di supporto, come ad esempio erano gli sportelli psicologici nelle scuole (purtroppo ancora pochi rispetto alla totalità) che già cambiavano la vita di migliaia di studenti prima dell’emergenza. Pensiamo agli studenti diversamente abili. Spesso per loro la didattica a distanza è semplicemente inaccessibile, e hanno trovato nuove barriere. Rimangono senza risposta, se non per l’iniziativa degli insegnanti di sostegno, in una miriade di situazioni diverse alle quali è difficile adattare il sistema in così poco tempo.

Tutte queste sono discriminazioni, sicuramente ne sto dimenticando molte altre, vissute dagli studenti sulla propria pelle ogni giorno, e che rendono difficile equiparare ciò che era la scuola prima della crisi a ciò che abbiamo ora. Sono proprio cose diverse. La bocciatura che era già obsoleta e discriminatoria col sistema di prima, è inaccettabile con quello di adesso. Chiedere a studenti da contesti sociali, culturali e linguistici completamente differenti di partire dallo stesso punto, e di seguire il percorso scolastico tutti alla stessa maniera, non è coerente con l’idea di garantire a tutti lo stesso livello di istruzione alla fine del percorso. La bocciatura è l’emblema di una valutazione classista e conservatrice, poiché obbliga studenti che, per varie ragioni, si trovano indietro in un limitato numero di materie, a ripeterle tutte quante, anche quelle per cui già hanno studiato e ottenuto i risultati necessari. È soltanto un modo per evitare la continuazione degli studi nel resto delle materie, non ha nulla a che vedere con il recupero delle competenze non raggiunte nel corso dell’anno, e spesso contribuisce all’abbandono e alla dispersione scolastica che in Italia raggiungono livelli disperatamente alti, non a caso nelle aree più depresse economicamente.

Un modello già di per sé inefficiente normalmente, è inapplicabile in questa situazione di emergenza dove gli ostacoli sono aumentati, sottraendo a molti ragazzi il diritto di recuperare al secondo semestre. Può capitare di non arrivare ai risultati sperati (alla “sufficienza”) nella prima parte dell’anno, ed è ingiusto il fatto di giudicare uno studente meritevole di una bocciatura quando si è ritrovato vittima di una qualsiasi delle discriminazioni che ho citato prima, senza quindi la possibilità di studiare nella seconda parte dell’anno.

Il nostro sistema scolastico dovrebbe prepararsi a recuperare ciò che non è riuscito ad insegnare agli studenti italiani, poiché queste carenze sono sue, non dei ragazzi. I paesi del Nord Europa ci stanno dimostrando che un welfare più forte, un sistema più flessibile e a misura di studente, rendono più efficaci anche le risposte alla crisi. Serve una politica che veda la scuola come uno sforzo collettivo, non come la somma di tanti individui meritevoli o meno, e ad esempio dire che si può recuperare tutto a settembre non è una scelta lungimirante, poiché anche allora ci sarà lo studente in grado di farlo, e quello che non lo sarà, e non per propria scelta.

La priorità adesso è uscire tutti insieme da questa crisi, anche a scuola, senza lasciare nessuno indietro. Sono sicuro del fatto che in realtà i professori italiani stiano già pensando a tutto questo, e che utilizzeranno tutto ciò che è in loro potere per sostenere gli studenti in questo momento difficile, ma è assurdo che ogni volta i lavoratori della conoscenza debbano addossarsi la responsabilità di correggere gli errori delle politiche ministeriali.

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