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Home » Cronaca

Torino, la lettera di 250 genitori: “Bambini dimenticati, servono soluzioni per il mondo della scuola”

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Credit: PIxabay

Riceviamo e pubblichiamo la lettera scritta da un gruppo di genitori i cui figli e figlie frequentano l’Istituto Comprensivo Ricasoli, nel quartiere Vanchiglia di Torino. La missiva, indirizzata a Regione Piemonte e Comune di Torino e firmata per ora da circa 250 genitori, evidenzia alcune problematicità conseguenti alla chiusura forzata delle scuole nell’ambito dell’emergenza Coronavirus. Di seguito il testo integrale della lettera.

Torino, la lettera dei genitori dell’Istituto Ricasoli

Siamo un gruppo di genitori, i cui figli e figlie frequentano l’Istituto Comprensivo Ricasoli, nel quartiere Vanchiglia di Torino. Ci ritroviamo a scrivere questa lettera aperta per portare all’attenzione delle istituzioni e della città, la situazione che le nostre famiglie – come tante altre – stanno vivendo in questi mesi difficili e complessi. Siamo ben consapevoli delle criticità e della straordinarietà del momento storico che stiamo affrontando e abbiamo a cuore la salute della nostra comunità. Ogni nucleo famigliare sta mettendo in campo tutte le energie e le risorse di cui è capace per rispettare ordinanze e divieti e per avere cura delle persone che vivono in quartiere. Siamo grate per gli sforzi profusi dalle maestre e dai maestri della nostra scuola, persone attente alle differenze sociali e culturali presenti nelle classi, e che lungi dall’avere un approccio performativo alla didattica, stanno facendo del loro meglio per tenere stretto il legame educativo con bambine e bambini.

A fronte dell’impegno delle famiglie e delle insegnanti, abbiamo amaramente constatato un preoccupante disinteresse delle istituzioni nei confronti delle ‘persone piccole’, scomparse dall’agenda politica e dimenticate dai discorsi pubblici del Governo. Bambine e bambini sono chiuse in casa da ormai due mesi, e ora ci troviamo di fronte ad una situazione in cui non abbiamo una prospettiva certa di rientro a scuola, alla socialità e ad una qualche forma di normalità. Siamo al paradosso per cui non sappiamo neanche se, quando e come si riapriranno le scuole.

La scuola non può essere pensata solo perché luogo in cui piazzare figli e figlie in modo che i genitori possano tornare a lavorare. La scuola è un diritto e non è solo didattica, tanto meno se effettuata a distanza. È esperienza e maturazione collettiva, spazio in cui coltivare autonomia, curiosità, relazioni e legami sociali, luogo di confronto e scontro tra pari, tempo per sé, lontano da genitori e mura domestiche. Aggiungiamo che non tutte le case sono uguali e non tutte le famiglie hanno le stesse risorse economiche e culturali.

Nell’isolamento il divario tra famiglie ricche e povere, italiane e non, si è ampliato, provocando disuguaglianze e distruggendo di fatto il concetto di pari opportunità. Non tutte le case hanno spazi adeguati e in molti nuclei famigliari non si parla italiano con la conseguenza che bambine e bambini faranno più fatica nel rientro a scuola. Non tutti i genitori sono in grado di seguire figlie e figli nello svolgimento dei compiti e non tutte le famiglie hanno strumenti tecnologici e connessioni efficaci.

Molte persone stanno lavorando in smart working e se si aggiunge il lavoro di cura h24, il carico di lavoro sulle nostre spalle si sta facendo sempre più insostenibile. Altre persone a causa della perdita di lavoro e di reddito stanno affrontando situazioni di grande tensione in casa che inevitabilmente si riversa anche sui figli e sulle figlie, esposte in questo modo non solo alla perdita di punti di riferimento importanti, ma in alcuni casi anche a vera e propria violenza domestica.

Apatia, inappetenza, tristezza e nervosismo, piccole e grandi regressioni, deficit di attenzione e autonomia, sono solo alcune delle reazioni che stiamo registrando nelle nostre case. Non sono solo le famiglie, ma insegnanti, pediatri, dottori a puntare l’attenzione sulle conseguenze devastanti e sui danni irreversibili che sta avendo questa quarantena prolungata (nonché la sua gestione) nel processo evolutivo delle persone piccole.

La didattica a distanza non può colmare questi vuoti, perché filtra relazioni e legami, annulla bisogni e necessità specifiche, tanto più in persone disabili o con disturbi dell’apprendimento. La didattica a distanza, aldilà degli sforzi profusi dalle scuole e dal personale docente, non può essere la soluzione per gestire istruzione e apprendimento, tanto più ora che abbiamo ben chiaro quanto possa essere lunga l’uscita dall’emergenza pandemica. La grave condizione in cui ci troviamo deve spingerci a pensare e sognare oltre l’ostacolo e a immaginare soluzioni che vadano oltre l’urgenza e che tengano conto delle realtà e dei problemi che pretendono di gestire.

Ci chiediamo se i tavoli istituzionali e le task force messe in campo dal governo nazionale e locale, stiano finalmente ascoltando i bisogni delle persone piccole. Ci chiediamo se a fronte dell’impegno e dello sforzo richiesto a famiglie e corpo docente, chi ha in mano il destino della formazione, stia mettendo in campo tutte le energie necessarie per trovare ora, non a settembre, soluzioni efficaci per permettere a bambine e bambini di tornare a vivere in sicurezza socialità e legami, così come gli spazi interni ed esterni della scuola.

Ciò che stiamo leggendo sui giornali purtroppo non ci rassicura affatto. Telecamere in aula per piccoli gruppi in presenza con il resto della classe a casa in videoconferenza; la riproposizione della didattica a distanza laddove le scuole non siano in grado di garantire un rientro in sicurezza.

Forse rafforzare numericamente il personale che lavora a scuola, dal corpo insegnante al personale Ata, potrebbe dare concretezza a progetti maggiormente inclusivi? Stanziare nuovi fondi per l’edilizia scolastica potrebbe evitare di avere classi-pollaio già difficili da gestire in tempi normali? Ripensare la scuola in modo del tutto nuovo, nei suoi spazi e nei suoi tempi, una scuola che non lasci indietro nessuno, forse potrebbe migliorare le prospettive finora messe in campo?  Non siamo una task force di ingegneri e scienziati, ma partiamo da bisogni concreti e come genitori vogliamo essere ascoltati. E chi se non noi genitori possiamo prendere parola per chi non ha alcuna voce in capitolo?

Chiediamo pertanto alle istituzioni torinesi e piemontesi che si pensino subito, prima dell’estate, soluzioni per tutti i bambini e le bambine, in particolare per le famiglie che vivono situazioni di svantaggio o in cui i genitori stanno rientrando al lavoro. Chiediamo che si apra un tavolo di discussione e programmazione delle attività integrative e socio- educative, oltre che sulla programmazione scolastica sulle soluzioni a cui sono invitati a partecipare i genitori del territorio. Chiediamo per scuole e centri estivi il coinvolgimento di figure professionali competenti in grado di accogliere e sostenere il disagio che le persone piccole hanno vissuto in questi mesi.

Chiediamo soluzioni perché a settembre riaprano gli spazi interni ed esterni delle scuole, in sicurezza e tutela per chi ci lavora e per chi le frequenta. Chiediamo che si riparta dai bambini e dalle bambine, che di loro ci si prenda cura nel modo adeguato e che si ascoltino i loro bisogni e le loro necessità. Le persone piccole sono il futuro del nostro paese. Il senso morale di una società si misura su ciò che fa per i suoi bambini e le sue bambine. Un gruppo di genitori dell’Istituto Comprensivo Ricasoli, Torino.

Un gruppo di genitori dell’Istituto Comprensivo Ricasoli, Torino

Leggi anche: L’emergenza Coronavirus sta mostrando che la scuola favorisce i ricchi: il grande gap tra chi può e chi non può permettersi la didattica a distanza

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