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Elezioni, adesso nella Lega cresce il dissenso verso Salvini. Lui: “Meloni o Zaia leader? Non ho competitor interni”

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Lega, dissenso verso Salvini dopo il flop elezioni. Lui: “Non ho competitor”

Che per Matteo Salvini non fosse un periodo semplice lo si era capito da tempo, ma i risultati delle elezioni regionali e del referendum sul taglio dei parlamentari dicono che il leader della Lega è il grande sconfitto di questa tornata elettorale. Non soltanto perché, nelle Regioni, è arrivato un inaspettato 3-3 con il Pd (per settimane Salvini ha annunciato che avrebbe vinto 7-0), ma anche e soprattutto perché adesso la leadership del segretario leghista all’interno del centrodestra inizia a vacillare. A vantaggio di Giorgia Meloni, che continua a rosicchiare voti alla Lega grazie al successo di Francesco Acquaroli nelle Marche (dopo 50 anni di amministrazione di centrosinistra) e nonostante la sconfitta di Raffaele Fitto in Puglia. Ma anche a vantaggio di Luca Zaia, il confermatissimo governatore del Veneto che che con la propria lista civica ha triplicato i voti della Lega e che in tanti vorrebbero come futuro leader della coalizione, proprio al posto di Salvini.

Sono proprio le redini del centrodestra quelle che il segretario della Lega rischia di perdere. Il dissenso contro Salvini, all’interno della coalizione, inizia a essere più palese. Meloni, ieri ad Ancora per festeggiare Acquaroli, non ha fatto mistero delle proprie ambizioni personali: “Se i dati venissero confermati, potremmo dire con grande orgoglio che FdI è l’unico partito che cresce su tutto il territorio nazionale”, ha detto. Secca, a questo proposito, la replica di Salvini: “Io non ho competitor interni alla coalizione. Le leadership le decidono i cittadini, non altri a tavolino, e la Lega è il primo partito del centrodestra in tutte le regioni in cui si è votato. Mi aspettavo invece un distacco minore in Puglia”. Ai suoi, secondo Repubblica, il leader leghista avrebbe poi aggiunto: “Ci avevano assicurato con tanto di sondaggi, nonostante le nostre perplessità su Fitto, che avremmo stravinto. È finita con una decina di punti ma per Emiliano, chi si prende la responsabilità politica di una sconfitta così?”.

Tuttavia una situazione analoga si è verificata anche in Toscana, dove la Lega aveva promesso la “spallata” al centrosinistra, trovandosi però alla fine a leccarsi le ferite per la vittoria di Eugenio Giani su Susanna Ceccardi. La sconfitta in Toscana è quella che fa più rumore per Salvini, visto che un successo leghista avrebbe reso più accessibile il suo grande sogno: la “spallata” al Governo Conte, il ritorno alle urne e la corsa al ruolo di premier. Dopo la crisi di Governo dell’estate scorsa e le elezioni in Emilia-Romagna, per la terza volta Salvini ha fallito l’affondo definitivo. Però guarda il bicchiere mezzo pieno: “Avevo parlato di 7-0? Gioco sempre per vincere. Mi accontento di passare da 13 regioni a 7 al 15 a 5 di oggi. E a proposito, con questi numeri la presidenza della Conferenza delle regioni deve cambiare, chi va a parlare con Conte non può essere espressione del Pd”, ha detto invocando la sostituzione di Stefano Bonaccini.

Da oggi, l’obiettivo della Lega e di Salvini sarà quello di ricostruire il consenso perso rispetto alle ultime elezioni europee. Un compito non facilissimo, visto che il partito deve affrontare una fase difficile non solo dal punto di vista elettorale, ma anche giudiziario. Vanno ancora chiarite, infatti, le responsabilità oggettive della Lega rispetto al comportamento dei tre commercialisti vicini al Carroccio, arrestati nell’ambito dell’inchiesta sulla Lombardia Film Commission. Ma il segretario leghista non vuole parlare di crisi: “Se vincere con oltre il 70 per cento e avere il 60 per cento dei consiglieri di area Lega vuol dire andare male, allora fatemi sapere dove si firma”, ha chiosato.

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