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L’altra faccia di Beppe Sala e quella di una Milano da ricostruire

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Beppe Sala durante la puntata di "Che tempo che fa" di domenica 22 marzo

Ospite di Fazio, il sindaco ha incarnato con onestà e umanità la sofferenza di una città che, una volta terminata la macabra conta di contagiati e deceduti, dovrà occuparsi delle vittime economiche del Coronavirus

Coronavirus, l’altra faccia di Beppe Sala e di una Milano da ricostruire

C’era molta attesa per l’intervista di Beppe Sala a Che Tempo Che Fa, dopo tanti giorni nei quali il sindaco di Milano ha informato la cittadinanza attraverso la propria pagina Facebook. Nel suo viso tirato si è manifestata tutta l’umanità di chi sente sulle proprie spalle l’enorme responsabilità di una situazione che non ha precedenti nella storia. Milano è precipitata in questo incubo all’improvviso, strappata da un momento all’altro dal suo status di “the place to be”, la città più trendy e in espansione degli ultimi anni, e, in un crudele contrappasso, messa al centro del più grave focolaio di Covid-19 finora registrato al mondo.

Fino a ieri pomeriggio, in Italia sono morte 4.825 persone. Più che in Cina, che da sola ha un’estensione doppia rispetto a tutta l’Unione europea. Di questi lutti, ben 3.456 si sono verificati in Lombardia, all’interno della quale Milano sta affannosamente cercando di evitare di arrivare al trend della vicina Bergamo. In caso contrario, l’atteso “picco” sarebbe una strage. Di fronte a un quadro del genere, non c’è artificio comunicativo che regga. L’abituale piglio da tipico manager lombardo, che prima della crisi sanitaria ha fatto di Sala il sindaco col maggior consenso in Italia, ha lasciato il posto a un’espressione comprensibilmente provata.

 

 

Diciamo che ieri sera abbiamo conosciuto un’altro Sala: quello vincente e simpaticamente “ganàssa”, come si dice qui a Milano (magari lui preferisce “baùscia”, essendo interista), ha lasciato il posto a un uomo comprensibilmente provato dalla situazione. Ma forse il sindaco non è mai stato tanto primo cittadino di Milano come in questo momento, perché chiunque abbia a cuore le sorti della città non può fare a meno di sentirsi esattamente così.

Sala ha esternato anche un altro peso. Quello legato alla diffusione del famoso video “Milano non si ferma” che tanto ha fatto discutere (ma solo dopo i contagi in serie). Con grande onestà, ha ammesso l’errore, pur ricordando che allora, era il 27 febbraio, nemmeno la comunità scientifica aveva compreso appieno la gravità del problema. Sala ha quindi accettato le critiche, tranne quelle di chi faceva altrettanto, come la Lega di Salvini, passato agevolmente da “riapriamo tutto” a “sigilliamo le frontiere”.

In maniera nobile, Sala ha caricato solo sulle proprie spalle il peso di questa responsabilità, evitando lo scaricabarile che in questi casi viene adottato da molti politici: si individua un membro dello staff che gestisce i social e lo si fa passare da capro espiatorio, ovviamente compensandolo dietro le quinte. Metodo poco commendevole, ma molto frequente. Si è notata chiaramente la voglia di non alzare i toni della polemica nei confronti della coppia Fontana-Gallera, dopo le scintille dei giorni scorsi. Ma, pur indossando i guanti di velluto, Sala ha menato due fendenti non da poco a Regione Lombardia, senza mai nominarla.

L’elogio della sanità dell’Emilia-Romagna (governata dal centrosinistra) e del Veneto (governato dal centrodestra) è stato un modo molto elegante per smontare la narrazione della “eccellenza lombarda” nel settore: già al momento della rielezione di Stefano Bonaccini alla guida dell’Emilia, le statistiche evidenziavano chiaramente come la Lombardia fosse solo terza in questa classifica. A tempo debito, bisognerà fare delle valutazioni approfondite sulla gestione di questi anni. Nel frattempo, quella contingente di Selvaggia Lucarelli merita una certa attenzione.

Il secondo uppercut, sempre indiretto, lo ha dato parlando di un metodo che “deve essere più ispirato alla Corea del Sud che alla Cina”: il riferimento era chiaramente alla necessità di rintracciare tutti gli infetti, anche asintomatici, sebbene la Regione nicchi sulla possibilità di estendere l’effettuazione dei tamponi. E in questo Sala ha dimostrato di non essere solo il simbolo di una città in drammatica sofferenza, ma di avere mantenuto intatta la propria capacità propositiva. Sia per il momento transitorio, che per il futuro. Già, perché quando finirà la macabra contabilità di contagiati e defunti, dovremo cominciare quella degli imprenditori falliti, delle aziende chiuse e delle famiglie rimaste in mezzo alla strada.

 

 

Su questo Sala si è confermato uomo di estrema concretezza, sia attraverso la requisizione (concordata col proprietario) dell’Hotel Michelangelo, dove alloggiare malati con sintomi lievi e persone in quarantena, che soprattutto con il Fondo di Mutuo Soccorso, una felice interazione pubblico-privato per sostenere in maniera concreta le tante persone che rimarranno senza lavoro.

Non è la prima volta che Sala rivela aspetti di sé poco conosciuti. Lo stesso è avvenuto all’inizio della sua avventura come sindaco: oltre alle spiccate doti manageriali universalmente riconosciute, ha dimostrato di avere anche una sensibilità e una capacità politica che non tutti sospettavano. In poco tempo, il candidato al quale qualcuno voleva fare “l’esame del sangue” per valutare il grado di aderenza ai temi del centrosinistra si è rivelato un impeccabile custode di valori quali l’antifascismo e l’inclusione sociale. Si è rivelato inoltre come leader di caratura nazionale, abilissimo nel dialogare in maniera trasversale rispetto ai partiti senza farsi imbrigliare da nessuno, nello sgravarsi dall’ombra di Renzi e diventare ipso facto uno dei pochi leader immaginabili, in un’ipotesi di governo di centrosinistra. Qualche volta ha sbagliato, come inevitabile per chiunque non stia a braccia conserte, ma sempre mettendoci la faccia, denotando un’autonomia dagli schemi classici dei partiti che può essere contemporaneamente la sua forza e il suo Tallone d’Achille.

Ma ora che Milano è sotto assedio lo è anche il suo primo cittadino, al quale l’ordinamento attribuisce la responsabilità della salute pubblica, ma praticamente nessuno strumento per difenderla. Certamente non in una situazione del genere. Le competenze della Sanità sono tutte in mano alla Regione e Sala è il primo a sapere che la straordinaria visibilità ottenuta dall’assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera (che non è il primo che passa) ne sta facendo il suo più probabile sfidante alle elezioni previste tra un anno, il cui esito sarà certamente influenzato da questa vicenda.

Anche su questo, Sala è stato più che istituzionale, dribblando agilmente la polemica su una serie di temi che invece in città fanno discutere (l’ospedale in Fiera, la donazione di Berlusconi, la scelta di Bertolaso…) e producendo un atto molto concreto come la fornitura al personale sanitario di mascherine che verranno consegnate questa settimana. D’altra parte, pensare alla salute dei cittadini è l’unica cosa importante in questa fase, nella quale i dispetti tra istituzioni e le manovre pre-elettorali sono invece un gioco meschino. Proprio la concretezza del “fare molto e parlare poco” dovrà essere alla base della vera e propria ricostruzione che servirà a Milano, una volta liberata dal virus.

Spero che sia di buon auspicio parlarne nell’anniversario delle Cinque Giornate che nel 1848 permisero a Milano di liberarsi dal giogo degli austriaci. Quello di oggi è altrettanto soffocante e persino più angoscioso, perché purtroppo il nemico è invisibile e non può essere affrontato con le armi tradizionali. Servono quelle della ricerca scientifica, di una politica veramente capace di occuparsi dei bisogni della gente e, ricordiamolo ancora una volta, di una cittadinanza consapevole, che non rinunci a fare il proprio dovere. Fosse anche solo quello di stare a casa.

Leggi anche:

1. Perché in Lombardia si muore? Gli errori di Fontana e altre sette importanti ragioni / 2. Coronavirus, tamponi Made in Italy venduti agli USA. Regione Lombardia a TPI: “Non vogliamo acquistarne di più, ci bastano”

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