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Sanremo 2026, Carlo Conti replica alle critiche per la scelta dei big: “Contano le canzoni, la forza del Festival è mischiare”

Immagine di copertina
Credit: AGF

Il conduttore e direttore artistico della kermesse rompe il silenzio dopo le critiche

Carlo Conti rompe il silenzio e replica alle critiche, soprattutto social, sulla scelta dei big di Sanremo 2026. Il conduttore e direttore artistico della kermesse musicale, infatti, nella giornata di domenica 30 novembre ha presentato, durante l’edizione delle 13,30 del Tg1, la lista dei cantanti che prenderanno parte alla manifestazione musicale, in onda su Rai 1 dal 24 al 28 febbraio 2026. I nomi dei cantanti, però, non hanno acceso la fantasia degli utenti social che hanno criticato i nomi scelti da Conti, imputando al conduttore di non essere riuscito a portare sul palco dell’Ariston alcuni dei nomi più importanti della musica italiana.

Intervenuto a Rtl 102.5, però, Carlo Conti ha dichiarato a proposito dei commenti: “Io non leggo niente e non guardo niente. Ho un po’ il mio modo di vivere un po’ particolare, distaccato da tutti. Sono poco social io, ma da sempre. È una scelta mia e non ci posso fare niente, ascolto la radio”. Sul suo ruolo di direttore artistico, quindi, ha affermato: “Come sempre è un ruolo che è la cosa più difficile del Festival di Sanremo. Il resto da questo momento in poi per me è finito cioè arriva la parte più facile, quella televisiva, quindi fa parte del mio lavoro, ovvero la parte più facile. La scelta delle canzoni è una grande responsabilità e ripeto e sottolineo la scelta delle canzoni, perché non ci dimentichiamo che Sanremo è il festival della canzone italiana e quindi deve essere uno spaccato di quella che è, in quel momento, la proposta musicale del nostro paese”.

“Per fortuna in questi ultimi anni c’è un grande fermento, ve ne accorgete anche voi, lo sapete anche voi e me lo insegnate voi, di quanto negli ultimi dieci anni la produzione della buona e ottima musica italiana sia centuplicata con tante proposte nuove costantemente, tante sonorità nuove e tanti sapori nuovi, come per esempio un ritorno anche di giovani cantautori di spessore e di livello. Mio figlio è ancora in prima media ed è ancora distaccato dal mondo musicale. Anche quando l’ho portato a Sanremo quella settimana mi ha detto di non presentargli nessuno e che non voleva conoscere nessuno”.

Sul cast, quindi, il direttore artistico e presentatore ha aggiunto: “Big o non big è tutto relativo oggi come oggi, perché per esempio mia suocera non sa chi è Samurai Jay, ma sa chi è Patti Pravo. Viceversa magari c’è un ragazzino che non sa chi è Patti Pravo e conosce benissimo Aka7even per dirti no. Quindi è tutto relativo questo big o non big. Anzi la forza di questi ultimi anni di Sanremo è stata mischiare e di di allargare il più possibile alle varie generazioni, mischiando quello più conosciuto da una generazione a quello meno conosciuto da un’altra e viceversa. Credo che siano importanti le canzoni che poi si vanno a proporre. Lo scorso anno faccio un nome per tutti, ovvero Lucio Corsi, che era praticamente sconosciuto ai più e guardate che cosa è riuscito a fare e come ha rappresentato anche l’Italia all’Eurovision. Eppure quando l’ho detto l’altro anno molti hanno detto ‘Chi è?'”.

Riguardo agli ospiti, invece, Conti ha dichiarato: “No ma veramente vado nomi di ospiti ancora non li ho, vado a compartimenti stagni io. Fino a questo momento la cosa più importante e la cosa fondamentale per me per il Festival era creare questo cast e fare discutere anche, perché ovviamente Sanremo viaggia delle discussioni, delle polemiche, del ‘questo era meglio’ o ‘quello era meglio’ o del ‘Secondo me ci sono troppi giovani, ci sono troppi anziani, come lo farà?’ Quindi questo serve per alimentare il festival e poi appunto quello che per noi era il chiacchiericcio il giorno dopo al bar o in o in ufficio, adesso è diventato questa gigantesca piazza virtuale nel quale tutti dicono tutto in tempo reale, quindi è ancora più forte questo alimentare le polemiche, le discussioni e fa benissimo al festival. È fondamentale per il festival. Vado a compartimenti stagni. Adesso, fino a questo momento, la mia testa era sul cast sulla cosa più importante, sulla bistecca centrale e adesso pensiamo al contorno, ovvero le co-conduzioni, gli ospiti e tutto il resto. Questo è un po’ il mio stile, con meno monologhi, magari basta un piccolo gesto, pensate lo scorso anno alla presenza di Bianca Balti valeva, secondo me, più di mille monologhi sulla malattia. Oppure l’aver fatto cantare Imagine da una cantante di origine palestinese e una israeliana vale di più di aver fatto un monologo sulla pace. È uno stile per carità, senza niente togliere invece al monologo o a delle riflessioni che vengono fatte in altro modo. Aver portato i ragazzi del teatro patologico. Pensate quei ragazzi poi sono andati all’ONU, hanno fatto un film e adesso faranno una cosa a Londra davanti al principe. È una riflessione che poi ciascuno deve fare nel proprio stile e nel proprio modo dentro di sé”.

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