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Come si vive in Gambia a un anno dall’inizio della democrazia: “Jammeh uccideva e torturava chi lo contraddiceva, ora siamo liberi”

Immagine di copertina
Credit: Afp

A dicembre del 2016 i cittadini hanno deciso di mettere fine al regime autoritario Jammeh eleggendo il suo oppositore Adama Barrow. Ecco le sfide e le conquiste del piccolo paese africano, dopo 22 anni di dittatura

Ci sono posti nel mondo di cui non sentiamo mai parlare o che conosciamo vagamente, di cui sappiamo qualcosa, ma che consideriamo troppo distanti da noi (geograficamente e culturalmente) perché possano interessarci.

L’Africa spesso è uno di quei posti. Un vasto continente di cui conosciamo solo pochi Stati, che ci sembra spesso privo di storie da raccontarci. Eppure di voci da ascoltare ce ne sarebbero, come quelle che, dopo anni di silenzio forzato, emergono dal Gambia.

Stato dai confini insoliti, circondato quasi completamente dal Senegal e attraversato da un fiume che sfocia nell’oceano Atlantico, il Gambia ha scoperto da soli due anni cos’è la democrazia. Fino al 2016, infatti, il paese era controllato da Yahya Jammeh, un dittatore che ha governato per 22 anni dopo essere arrivato al potere con un colpo di Stato.

Il primo dicembre del 2016, però, qualcosa cambia.

Jammeh indice nuove elezioni, convinto come sempre di avere la vittoria assicurata. A sfidarlo c’è Adama Barrow, un imprenditore sostenuto da quasi tutti i partiti d’opposizione che, a sorpresa, ottiene più voti di Jammeh.

“Gambia has decided” è la frase che più di ogni altra risuona per le strade del paese. Il Gambia ha deciso di cambiare, esprimendo attraverso il voto tutta la sua rabbia e la sua voglia di voltare pagina.

All’inizio sembra che il dittatore sia disposto a farsi da parte, ma cambia presto idea e proclama lo stato di emergenza, dichiarando che le elezioni non si sono svolte correttamente.

I militari occupano le strade, Barrow fugge in Senagal e lì giura come presidente del Gambia, il 19 gennaio 2017.

Il Gambia è sull’orlo di una guerra civile e i paesi che compongono la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale intervengono militarmente il 21 gennaio 2017 per costringere il dittatore a lasciare il potere.

Alla fine, Jammeh si arrende e si ritira in esilio in Nuove Guinea, portando con sé 11 milioni di dollari dalle casse del paese.

Adama Barrow può finalmente prendere il posto che i cittadini del Gambia gli hanno assegnato, ma deve aspettare il 6 aprile 2017 e le elezioni parlamentari per avere effettivamente il controllo politico del paese.

È trascorso più di un anno da quando i cittadini del Gambia hanno deciso di lasciarsi alle spalle 22 anni di dittatura, di violenze e di oppressione, ma com’è adesso la vita nel paese?

TPI ha intervistato un economista del Gambia, Mamut Jagne, che ci ha raccontato come era la vita durante il regime di Jammeh e come è adesso.

Come era la vita in Gambia durante la dittatura di Yahya Jammeh?

Yahya Jammeh è stato il presidente del Gambia per 22 anni e in un’intervista alla Bbc aveva promesso che avrebbe governato il paese per mille anni. L’unica parola che, secondo me, può spiegare chi era quell’uomo è “dittatore”.

Negli anni in cui ha retto il paese tutti i gambiani erano in pericolo, sia quelli in patria che quelli all’estero.

Era lui che decideva tutto ed era l’unico ad avere sempre ragione. Nessuno poteva mettere in dubbio quello che faceva senza finire in prigione.

Molti gambiani sono stati arrestati, torturati e uccisi durante la sua dittatura per il semplice fatto di aver espresso la propria opinione. La Costituzione garantiva la libertà di espressione, ma per Jammeh era solo un libro. Era lui che decideva tutto.

Molte famiglie hanno visto i loro cari uccisi da Jammeh, altri sono stati resi invalidi, molti sono spariti mentre erano sotto la custodia dell’Intelligence di Stato, l’ex nation intelligence agency.

Com’è adesso il Gambia, ad un anno dalle elezioni?

Adesso il Gambia è un paese democratico in cui la libertà di espressione è tutelata. Le persone esprimono le loro idee e i loro pensieri in maniera democratica.

Gli imprenditori locali e stranieri stanno investendo nel paese e stanno dando lavoro ai giovani che prima erano disoccupati. Durante la dittatura in pochi investivano nel Gambia a causa dei problemi del paese e soprattutto per via dell’isolamento a cui Jammeh aveva condannato il Gambia.

Adesso nel paese abbiamo anche delle tv private, mentre prima c’era solo la tv di Stato di proprietà di Jammeh. Durante la dittatura i giornalisti non potevano dire nulla contro il governo, mentre nel nuovo Gambia i media informano davvero il pubblico, sia elogiando che criticando l’attuale governo.

Inoltre, si sta scrivendo la nuova costituzione del Gambia e le leggi sono rispettate. Chi infrange le regole viene punito di conseguenza, ma sempre nel rispetto delle leggi.

Certo, ci sono ancora dei problemi a livello di sicurezza: i furti e gli omicidi continuano ad essere numerosi. Dobbiamo affrontare queste situazioni o il progresso della nazione non potrà continuare.

Cosa ha reso possibile la vittoria di Barrow?

“Se tiri un calcio a un pallone ti tornerà sicuramente indietro”. I gambiani erano furiosi, frustrati, scontenti delle condizioni in cui vivevano. Tutti i partiti dell’opposizione tranne uno avevano formato una coalizione con a capo Adama Barrow.

I gambiani si sono uniti e hanno espresso le loro frustrazioni attraverso il voto e deposto il dittatore.

Inoltre, la Commissione elettorale indipendente si è assicurata che le elezioni fossero libere e imparziali e il presidente ha risposto con un “No” quando Jammeh gli ha ordinato di manipolare i risultati elettorali.

Il passaggio del potere da Jammeh a Barrow è stato pacifico?

Non proprio, anche se non c’è stata una guerra né lotte interne.

Le persone non erano contente del modo in cui vivevano ed erano decise a cambiare governo, per cui quando Jammeh si è rifiutato di riconoscere i risultati delle elezioni, molti hanno iniziato a lasciare le città per le zone rurali.

In centinaia hanno abbandonato il paese per rifugiarsi in Senegal, Guinea, Guinea Bissau e Mali in cerca di salvezza. I soldati gambiani leali a Jammeh hanno occupato le vie principali del paese, mettendo in pericolo la sicurezza del paese.

In Gambia le religioni più importanti sono due, quella islamica e quella cristiana.

Durante il periodo di transizione, i leader delle due comunità hanno fatto visita a Jammeh per convincerlo a farsi da parte, ma non hanno avuto successo. In Gambia i leader religiosi sono persone molto influenti e le loro voci sono sempre ascoltate.

Quando abbiamo visto che Jammeh non dava loro retta abbiamo pensato che la pace non avrebbe vinto e che non ci sarebbe stato alcun cambio di potere.

Barrow ha giurato come presidente del Gambia il 18 gennaio nell’ambasciata del Gambia a Dakar, in Senegal, perché non era al sicuro nel nostro paese.

Alcuni capi di Stato africani hanno fatto visita a Jammeh per cercare di risolvere la situazione e solo dopo vari tentativi sono riusciti a convincere il dittatore a lasciare il potere.

Era il 21 gennaio. Solo a quel punto Barrow è potuto tornare in Gambia.

I diritti umani adesso sono rispettati nel paese?

La democrazia in Gambia adesso esiste e i diritti umani sono rispettati, a differenza di quanto accadeva con Jammeh. Arresti illegali, torture e omicidi sono ricordi del passato.

L’omosessualità sta diventando comune nel mondo, ma non è ancora tollerata in Gambia. Credo che sia così per motivi religiosi e culturali. Se i matrimoni gay fanno parte dei diritti umani allora no, questo particolare diritto non è ancora tutelato.

Quali sono i problemi principali che il Gambia sta affrontando adesso?

Dopo 22 anni di dittatura, il Gambia si trova in una fase politica nuova e stiamo cercando di superare la crisi politica, sociale ed economica.

Il governo di Barrow sta lavorando senza sosta per superare gli ultimi 22 anni di sofferenze e dovrebbe riuscirci in soli 3 anni, secondo quanto concordato con le forze della coalizione che sostengono Barrow. Però, non sarà una cosa facile da realizzare e i cittadini del Gambia devono cambiare il loro modo di pensare e capire che lo sviluppo non si può raggiungere in un solo anno.

Dobbiamo lavorare sodo se vogliamo crescere. La politica è un ottimo mezzo per raggiungere questi risultati, ma per i gambiani la politica è sinonimo di  relazioni familiari o legami tribali, per cui spesso non votano per il candidato più qualificato ma perché lo conoscono o perché fa parte della loro tribù.

In generale, i problemi del Gambia sono: la poca sicurezza, la mancanza di unità e l’esistenza di divisioni tribali ancora marcate; la lentezza nel processo di  riforma del paese; l’incapacità dei cittadini di mettere le persone giuste al posto giusto; un atteggiamento errato delle persone verso lo Stato.

Come è cambiata la tua vita dalla fine della dittatura?

Positivamente, la fine della dittatura ha creato maggior consapevolezza in me. Sono molto più informato sul governo e sui processi decisionali.

Cosa pensi del futuro del Gambia?

Il Gambia ha un futuro radioso di fronte a sé. Non credo che i gambiani avranno un’altra dittatura in futuro. Se sarà davvero così, raggiungeremo quello sviluppo che tanto desideriamo.

Gli imprenditori saranno liberi di investire in Gambia senza che  ci siano barriere di alcun tipo.

In questo modo, i giovani avranno lavoro e l’economia migliorerà. Molte aziende straniere hanno iniziato ad investire nella nostra economia e ciò avrà degli effetti positivi.

Prima, a causa della disoccupazione, molti giovani erano costretti ad emigrare. Molti politici avevano trovato asilo in altri paesi, ma adesso hanno fatto ritorno in Gambia e stanno dando il loro contributo alla crescita del paese.

Tanti ragazzi sono andati a studiare in Asia, Europa, America o in altri paesi dell’Africa perché sapevano che qui non avrebbero trovato lavoro, ma adesso non è più così.

Finalmente, il Gambia potrà svilupparsi in un clima di pace e stabilità, di sicurezza nazionale, di unità e patriottismo, diventando uno Stato in cui ci sono riforme istituzionali e un governo migliore, un paese in cui le persone giuste sono al posto giusto, dove i diritti umani e le libertà dei cittadini sono rispettati.

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