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Home » Cronaca

AstraZeneca, J&J e il cocktail vaccinale: il peccato capitale di governo e Cts

Immagine di copertina

AstraZeneca prima vietato agli anziani, poi raccomandato agli over 60 e infine fortemente sconsigliato ai giovani che ora, per la seconda dose, saranno chiamati a fare un mix di vaccini: è un vero e proprio pasticcio comunicativo e decisionale quello da parte di governo e Cts sui sieri anti-Covid, Johnson & Johnson incluso, avvenuto nelle ultime settimane.

AstraZeneca

Di AstraZeneca ormai sappiamo tutto o quasi. Approvato dall’Ema (l’agenzia europea del farmaco) il 29 gennaio 2021, il vaccino anti-Covid è stato indicato per tutte le fasce d’età sopra i 18 anni. Il giorno seguente, il siero ha ricevuto il via libera anche dall’Aifa (l’agenzia italiana del farmaco) con la raccomandazione di somministrarlo preferibilmente a soggetti di età compresa tra i 18 e i 55 anni a causa della mancanza di dati sull’efficacia del farmaco tra le fasce più anziane della popolazione.

Il 22 febbraio l’età è stata innalzata da 55 a 65 anni per poi, l’8 marzo scorso, ricevere l’ok dal ministero della Salute per la somministrazione a tutte le fasce d’età, ad eccezione dei soggetti più vulnerabili.

Il 16 marzo il vaccino AstraZeneca viene sospeso in via precauzionale in tutta Europa, Italia inclusa, per alcuni casi sospetti di trombosi soprattutto in donne di età compresa tra i 25 e i 65 anni.

Il 18 marzo, dopo il parere dell’Ema in cui viene ribadito che il vaccino è “sicuro ed efficace” e che “i benefici superano i rischi” in Italia riprendono le somministrazioni del siero anglo-svedese.

Il 7 aprile l’Ema conferma una possibile correlazione tra i rari eventi di trombosi registrati in tutta Europea e il vaccino di AstraZeneca, ma ribadisce che i “benefici superano i rischi” e non impone restrizioni o limiti di età.

Il giorno stesso il ministero della Salute italiano, insieme ad Aifa, decide di raccomandare la somministrazione di AstraZeneca agli over 60 consigliando, al tempo stesso, a coloro che avevano già ricevuto la prima dose di effettuare il richiamo con lo stesso vaccino. Secondo il portavoce del Cts, Franco Locatelli, infatti “Non ci sono elementi per scoraggiare la somministrazione della seconda dose per quanti avessero già avuto la prima”.

Il resto è storia recente. Raccomandazione non significa divieto, motivo per cui diverse Regioni, anche per smaltire le dosi in eccesso, organizzano i cosiddetti Open Day in cui vengono vaccinati con AstraZeneca tutti i soggetti di età, specialmente i più giovani, con il benestare del Cts.

La morte di Camilla Canepa, la 18enne deceduta dopo aver ricevuto la prima dose di AstraZeneca proprio durante un Open Day, cambia nuovamente le carte in tavola.

Il Cts, infatti, decide di “rafforzare la raccomandazione” alla somministrazione del vaccino Vaxzevria di AstraZeneca ai soggetti con più di 60 anni, raccomandando invece l’inoculazione dei sieri a mRNA – come quelli prodotti da Pfizer/BioNTech e Moderna – ai giovani e agli under 60.

Viene inoltre raccomandata l’inoculazione di una dose (cosiddetta ‘eterologa‘) di un vaccino a mRNA ai soggetti con meno di 60 anni a cui sia già stato somministrato il siero prodotto dall’azienda anglo-svedese.

La decisione del Cts si tramuta in una circolare del ministero della Salute (consultabile qui), che viene emanata l’11 giugno, e in cui si spiega che l’ennesimo dietrofront su AstraZeneca è frutto della “mutata situazione epidemiologica che ha determinato una rivalutazione del rapporto benefici rischi per le fasce di età meno a rischio di forme gravi di Covid-19”.

Il mix di vaccini per la seconda dose

Quello che sconcerta di più, però, è la decisione di somministrare un vaccino diverso agli under 60 che hanno già ricevuto la prima dose di AstraZeneca (circa 900mila italiani secondo i numeri del Cts).

Se fino ad aprile, infatti, la raccomandazione era quella di completare il ciclo vaccinale con lo stesso siero, con Locatelli che affermava “Non ci sono elementi per scoraggiare la somministrazione della seconda dose per quanti avessero già avuto la prima”, ora il consiglio è quello di somministrare, ad una distanza di 8-12 settimane dalla prima inoculazione, un vaccino a mRNA (Pfizer o Moderna) a coloro che hanno ricevuto la prima dose di AstraZeneca.

Questa decisione viene presa nonostante, ed è scritto nella circolare del ministero della Salute, “i fenomeni tromboembolici sono meno frequentemente osservati dopo somministrazione della seconda dose (secondo stime provenienti dal Regno Unito sono pari a 1,3 casi per milione, valore che corrisponde a meno di 1/10 dei già rari fenomeni osservati dopo la prima dose)”.

Non solo, nella circolare vi è scritto anche che: “Secondo quanto riferito dal Direttore Generale di AIFA, a oggi, in Italia, non sono stati registrati casi di VITT dopo la seconda somministrazione di Vaxzevria. Queste evidenze suggeriscono come il tasso d’incidenza riportato dopo la seconda dose sia inferiore a quello osservato dopo la prima dose”.

Un vero e proprio cambio di rotta, che non trova spiegazioni logiche anche in base alle evidenze scientifiche, ma soprattutto che, ancora una volta, non viene spiegata a dovere dalle autorità competenti, governo e Cts in primis.

Anche perché nella stessa circolare, riguardo alla cosiddetta vaccinazione “eterologa”, ovvero il mix di due vaccini diversi tra prima e seconda dose, viene sottolineato che “tutti gli studi registrativi per i vari vaccini siano stati condotti utilizzando due dosi dello stesso vaccino“, che “non siano stati pubblicati, allo stato, studi che includono un elevato numero di soggetti” e che “non siano disponibili studi randomizzati in cui il braccio di controllo è rappresentato da due somministrazioni del vaccino Vaxzevria”.

Tuttavia, secondo la circolare, la “vaccinazione ‘eterologa’ trova un suo solido razionale immunologico e biologico e non appare essere sconsigliabile né sul fronte della sicurezza (reattogenicità), né su quello della immunogenicità. Infatti, i dati attualmente disponibili derivanti da studi condotti in diversi Paesi Europei indicano la capacità di questo approccio di indurre buona risposta anticorpale e un profilo di reattogenicità nel complesso accettabile e non dissimile da quello osservato somministrando due dosi dello stesso tipo di vaccino”.

Nonostante i dati, provenienti dal Regno Unito ma anche dell’Italia, sugli eventuali rischi legati alla somministrazione della seconda dose di AstraZeneca siano ben più consolidati e robusti, ed evidenzino come i casi di trombosi siano ancora più rari rispetto alle somministrazioni delle prime dosi, si decide di intraprendere una strada diversa sulla base di studi che non sono invece così ampi.

Una decisione che getta ancora più nel caos le Regioni e che provoca lo sconcerto anche di alcuni esperti, come il direttore di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, Massimo Andreoni, o il microbiologo Andrea Crisanti, secondo cui “Nessuno può dire se il mix sia sicuro. Magari funziona, magari ha dei problemi. Dovrebbero pronunciarsi gli enti regolatori e tutti gli altri dovrebbero fare un passo indietro. Senza i dati non si vaccina”.

Un vero e proprio pasticcio, comunicativo e non solo, che viene sottolineato anche dal virologo Roberto Burioni, il quale ha commentato sul suo profilo Twitter così le giravolte su AstraZeneca: “Direi che si stanno creando tutte le premesse perché la gente inizi a diffidare dei vaccini rifiutando la vaccinazione e a causa dell’alto numero di non vaccinati a ottobre richiudiamo tutto”.

Concetto ribadito anche per quello che riguarda il mix di vaccini: “Mi arrivano centinaia di mail nelle quali in molti, giustamente preoccupati, mi chiedono della vaccinazione “mix”. È accettabile che per l’ennesima volta si prenda una decisione riguardo ai vaccini senza spiegare ai cittadini il perché, lasciando queso compito ai talk show?”.

Johnson & Johnson

Ma il caos AstraZeneca influisce anche su un altro vaccino a vettore virale, quello di Johnson & Johnson, che, così come il siero anglo-svedese, utilizza una versione modificata dell’adenovirus dello scimpanzé.

Anche in questo caso la somministrazione del vaccino, che è monodose, viene raccomandata agli over 60, ma con una posizione meno netta e perentoria rispetto ad AstraZeneca.

Dopo aver riportato i dati sui casi di trombosi registrati negli Usa e legati al vaccino J&J – 7 eventi per milione nelle donne di età compresa tra 18 e 49 anni e un tasso di 0,9 per milione di vaccinazioni tra le donne di età pari o superiore a 50 anni – il Cts scrive: “Pur tenendo conto delle analogie esistenti tra il vaccino Vaxzevria e il vaccino Janssen, per quanto riguarda sia le piattaforme che la tipologia di eventi tromboembolici riportati nella letteratura, lo stato attuale delle conoscenze (che fanno propendere per un rischio associato all’adenovirus), il numero di poco superiore al milione di dosi a oggi somministrate nel Paese e la rarità, anche in ambito Europeo, delle segnalazioni di VITT a oggi disponibili, non permettono di trarre valutazioni conclusive rispetto al rapporto beneficio/rischio relativo al vaccino Janssen”.

La somministrazione di Johnson & Johnson, dunque, come detto “viene raccomandata per soggetti di età superiore ai 60 anni”, ma al tempo stesso si sottolinea che: “Qualora si determinino specifiche situazioni in cui siano evidenti le condizioni di vantaggio della singola somministrazione e in assenza di altre opzioni, il siero andrebbe utilizzato, previo parere del Comitato etico sul territorio”.

L’ennesima comunicazione contraddittoria e poco chiara ha provocato il caos tra le Regioni, che, ancora una volta, vanno in ordine sparso.

Piemonte e Puglia, infatti, hanno fatto sapere che non somministreranno il vaccino Johnson & Johnson agli under 60, mentre altre Regioni stanno ancora riflettendo sul da farsi. Le farmacie, intanto, sono in attesa di indicazioni da parte di Federfarma con una decisione che dovrebbe essere presa entro lunedì 14 giugno. E intanto la campagna vaccinale rischia di subire un brusco rallentamento a causa di decisioni che, ancora una volta, non sono state sufficientemente spiegate alla popolazione.

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