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La destra attacca Zalone e Rula Jebreal. Ma non ha capito che Checco è solo anti-razzista

Immagine di copertina

L'Italia che rifiuta Rula Jebreal è proprio il Paese che Zalone sbeffeggia nel suo film: cieca e cattivista. E mentre La Russa su Twitter inneggia al boicottaggio della pellicola, sia a destra che a sinistra hanno guardato "Tolo Tolo" con in testa dei cliché. E non ci hanno capito un tubo

La destra attacca Zalone e Rula Jebreal, ma Checco è antirazzista

Paradossi cinefestivi, e nuova geopolitica planetaria: la destra italiana va in tilt su Checco Zalone e Rula Jebreal, sul razzismo, sulla guerra, sui migranti, su Trump e sull’Iran. Purtroppo nessuno sembra accorgersi che non si tratta di una polemica leggera, ma di un segnale profetico e grave.

S&D

Partiamo da Zalone. Le tendenze di Twitter, che hanno visto Ignazio La Russa al comando per un giorno, svelano che tra coloro che hanno spinto “Tolo Tolo” ad un record di incassi epocali c’è stato, sicuramente, un corposo contributo dell’ex ministro della Difesa. Zalone dovrebbe riconoscergli una parte di royalties sui fantasmagorici incassi. Noi dovremmo ringraziarlo eternamente per quello che con il suo sacrifico ci aiuta a capire.

Ed è davvero stupefacente che un politico scaltro e intelligente come l’ex ministro della Difesa abbia sentito il bisogno di stroncare il film di Checco Zalone con questo tweet sprezzante: “Ho appena visto la prima di Tolo Tolo: zero applausi alla fine. Oltretutto anche scarso e noioso. Servirebbe ‘soddisfatti o rimborsati'”. La Russa, che spesso si è dimostrato un politico capace di ironia e autoironia (una volta mi raccontò: “Fiorello mi imita così bene, che quando il mio cane lo sente abbaia al padrone”), curiosamente, è stato colto dallo stesso tic “ducista” che colpisce Zalone quando – è uno dei tormentoni del film – avverte un lontano sibilo nelle orecchie, si alza in piedi, pianta le braccia sui fianchi, e si mette a Mussolineggiare, in pieno delirio, in mezzo al deserto africano (“Italiani!”). Non si tratta infatti di una ideologica gag antifascista, ma la battuta sul riflesso condizionato, sull’automatismo, sul tic italiota.

Anche io ho visto “Tolo Tolo”, e la sala – a Roma, come in tutta Italia – era piena di persone che si sbellicavano dalle risate, che hanno coronato i titoli di coda con un piccolo applauso. Saranno stati migrazionisti dei centri sociali organizzati portati al cinema dal tentativo di boicottaggio La Russiano? Chissà. Sta di fatto che anche la sinistra (al pari della destra) ha visto il film avendo in testa dei cliché, così come aveva visto lo spot (sempre al pari della destra), avendo in testa dei cliché. Entrambi non ci hanno capito un tubo.

Non è vero per esempio che in “Tolo Tolo”, ci siano meno battute del solito – il film ne è letteralmente infarcito – non è vero che colpisca solo la destra, anzi, come sempre nello zalonismo, si prendono in giro tutti i cliché: progressisti, conservatori, Boldriniani (“Fai la piccola risorsa”, dice Checco salutando il bambino che ha accompagnato nel viaggio), sfotte nazionalisti, suprematisti, integralisti, sovranisti e anche – con la consueta feroce affettuosità zaloniana – “i terroni”.

Meravigliosa la battuta di Checco al giornalista-star francese che nel deserto, scambiandolo per migrante, si stupisce perché dopo avergli detto che viene da Spinazzola, lui gli parli in italiano: “Parlate italiano anche lì?”, chiede il giornalista, convinto che Spinazzola sia in Africa. E Zalone: “Uhh, Si… si parla italiano a Spinazzola, a Minervino, a Monopoli e anche in altre parti d’Italia”. Così come nel film sono presi in giro la Puglia (memorabile il fallimento epocale del ristorante di tendenza “Murgia-sushi”), le passioni umanitaristiche e persino il vendolese, con la sala che ride a scena aperta di fronte allo sconcerto di Zalone per la supercazzola anti-raccomandazione di Nichi Vendola (illustrata dallo stesso ex governatore in un gustoso cameo).

Vendola sa ridere del vendolese, fino a diventare la gag di se stesso, La Russa non sa ridere della gag sul fascismo perché sente colpito se stesso. Zalone ha potuto ridere di tutti: ha lanciato il film con il suo video finto-celentaniano e ha fatto abboccare all’amo la sinistra bigotta e querula, che per quindici giorni si è ritrovata ad almanaccare se fosse razzista e sessista la scena in cui l’immigrato occhieggia alla moglie di Checco. Mentre in quelle stesse ore, senza nulla sapere del film, i cattivisti di destra difendevano la linea – credere, obbedire e combattere! – dello spot, e ripetevano che Zalone era sotto attacco perché “libero e italiano”.

Memorabili le parole pronunciate da Matteo Salvini sul film di Checco Zalone, nel corso di un comizio a Chieti: “Viva Checco Zalone, lo voglio senatore a vita“. Aggiungendo subito dopo: “È surreale la polemica di una parte del mondo pseudo culturale che lo ritiene politicamente scorretto o razzista”. Vero. Ed è surreale anche la polemica del mondo di destra che ora, dopo aver visto quel film, lo definisce “buonista e politicamente corretto”.

Ecco, Zalone li ha messi tutti nel sacco. E nel film la sua maschera evoca molte ascendenze, a partire da una citazione – anche musicale – albertosordiana, con il passo e le note che citano “Storia di un italiano”. Quello che funziona, nel film, è proprio il grande senso del ribaltamento, il sale cattivista che scongiura sempre la retorica in ogni passaggio critico (anche il salvataggio viene raccontato in forma di musical), o il finto cartone Disneyano per spiegare ai bambini neri che sono nati in Africa perché le cicogne sono strabiche. O la meravigliosa cover di Mino Reitano in cui al grido di “Italiaaaa! Italiaaaa!”, Checco immagina il nostro Paese in versione all black con gli afroamericani che parlano il milanese dei cummenda e gli undici azzurri tutti Negri, commossi e con la mano posata sul cuore durante l’inno ai Mondiali.

Non è un film “terzomondista”, come si sono affrettati a dire (in negativo) i nuovi analfabeti di destra e (in positivo) le damine sceme della sinistra. È un film intelligente e caustico, che in mezzo ad un turbinare di satira, prende posizione davvero nel finale, contro il conformismo e contro il razzismo. E che usa le maschere ciniche a contrario, per raccontare l’umanità superstite in chi guarda, malgrado tutto. Non a caso la parodia più feroce e più bella è quella sulla “distribuzione umanitaria” un tanto al chilo che riporta Checco, malgrado il vagheggiato approdo in Liechtenstein (“Ricordati – dice al bambino che deve pescare il numerino della lotteria – lì non si paga l’Imu!”) nel suo-nostro, povero Paese. Il cuore del ribaltamento è in una sequenza che si chiude con un remake dello sbarco di Carola Rackete e l’inno splendido ed eterno di Francesco De Gregori (“Viva L’Italia”).

C’entra tutto questo con Rula Jebreal? C’entra con le follie da apprendista stregone di Donald Trump? Certo. Perché quando guardi “Tolo Tolo” capisci che il vigile urbano scemo che diventa “dimaianamente” premier (e poi commissario dell’Unione europea!), il presidente degli Stati Uniti sceriffo che non sa nemmeno dove sia l’Iran, l’autorevole Tg1 che sbaglia – incredibile! – la cartina del mondo musulmano facendo diventare l’Iran sunnita, sono tutti figli del cortocircuito, del caos che viviamo, della fine del confine tra serio e faceto, tra vero e falso, tutti figli di uno stesso Turbopopulismo zaloniano.

Il problema non è che Checco, quando si ritrova tra le capanne africane attaccate dalle milizie, si chieda “Villaggio? Che tour operator lo gestisce?”, ma che ci troviamo davvero in un mondo governato da analfabeti funzionali che giocano alla guerra, allevano scuole di odio, sparano castronerie a raffica senza nemmeno rendersene conto. Il problema è che in Italia qualche demente grave è convinto che sia giusto attaccare Rula Jebreal perché “è di sinistra”, la insultano dandole della “Nemica di Israele”, dell’”anti italiana” e “antisemita”. Un’altra bella supercazzola, contro una donna che ha la cittadinanza israeliana, italiana e che si è sposata due volte, e con due ebrei (!).

Così come viene tenerezza a pensare che davvero qualcuno possa definire antisemita Bernie Sanders (che è ebreo da parte di entrambi i genitori!). O che un direttore del Foglio (quello vero, non un caratterista pugliese che fa una particina in un film) possa considerare Trump “patriota” e campione della lotta “al terrorismo”, forse senza nemmeno rendersi conto che – colpendo l’Iran di Soleimani e i Curdi – gli americani hanno appena bersagliato le due principali forze che avevano sconfitto l’Isis e Al Quaeda.

In questo “Tolo Tolo” è davvero un film che coglie meravigliosamente lo spirito dei tempi. Non è la satira ad alzo zero di Zalone l’errore. È lo spirito zaloniano che governa il mondo. Lo riguarderemo, tra un decennio, come capita fra i vecchi film, non chiedendoci se fosse piaciuto a La Russa (della cui polemica non si ricorderà nessuno), ma attraversati da questo dubbio: davvero accettavano che si distribuissero naufraghi un tanto al chilo? Ma no, guarda che quella è una zalonata! E giù una risata alla Checco.

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