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Nel caos lombardo bisogna distinguere tra critica politica e vicenda giudiziaria (di Lorenzo Zacchetti)

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Gli agenti della Gdf in borghese arrivano a Palazzo Lombardia per acquisire documenti relativi alla gestione del Pio Albergo Trivulzio durante l’epidemia emergenza coronavirus Covid-19, Milano, 15 Aprile 2020 Ansa/Matteo Corner

Così come Tangentopoli, l'indagine sulle case di riposo è cominciata al Pio Albergo Trivulzio. Ma questa volta è auspicabile che la politica faccia le sue riflessioni in maniera autonoma e indipendente dalle decisioni dei giudici. Il Commissariamento serve subito

Se c’è un indicatore preciso dello stato confusionale nel quale versa la Regione Lombardia esso è la nonchalance con la quale il Presidente Fontana spazia dal proporre una riapertura il 4 maggio al goffo scarico di responsabilità sui tecnici per le scelte riguardanti le RSA.

Indicando le famose “4 D”, a Palazzo Lombardia sembrano non voler tener conto di indicatori ben più cogenti, quali le sei condizioni stilate dall’OMS per passare alla Fase 2. Anche perché, se ne tenessero conto, bisognerebbe ammettere che siamo piuttosto lontani dall’averle maturate.

Ancora più clamoroso è l’inciampo sui tecnici, soprattutto da parte di un politico dall’illustre curriculum di Sindaco di Varese e Presidente Anci, prima ancora che di Presidente della più importante Regione italiana.

Da una persona dell’esperienza di Fontana non si può accettare un’entrata così a gamba tesa. E non solo per il mero dato formale che la delibera è un atto politico, mentre i tecnici hanno un altro ruolo, stabilito dalla Legge Bassanini. La contraddizione è anche sostanziale, perché la Giunta lombarda non può scaricare la responsabilità di un atto che le compete interamente e nel contempo rivendicarlo sul piano politico, visto che più volte ha ribadito di aver agito in maniera corretta.

Ed è bene specificare che è proprio il piano politico quello sul quale intendo discutere. E’ facile in situazioni come questa confondere i piani e attendere che sia la magistratura a dipanare il tremendo casino nel quale ci troviamo tutti quanti, in qualità di lombardi.

La giustizia farà il suo corso ed è bene che ciò avvenga senza strumentalizzazioni politiche, nel rispetto del garantismo (che per quanto mi riguarda non è mai subordinato all’appartenenza politica), della fondamentale separazione tra i poteri e soprattutto delle vittime e del dolore dei loro parenti.

La vicenda giudiziaria sarà lunga, complessa e dolorosa. Io faccio un altro mestiere e non tocca a me stabilire se le decisioni della Giunta regionale siano state la causa di contagi e/o di decessi. Credo peraltro che non sarà facile nemmeno per i giudici, perché è evidente la complessità di doversi districare tra cause e concause della morte di un anziano, soprattutto nella grave carenza di test, nonché tra cause e conseguenze della catena di comando che regola le RSA e più in generale i meccanismi del welfare. La responsabilità penale, poi, è squisitamente personale, quindi ci vorrà una compiuta valutazione delle singole posizioni di chi ha compiuto o omesso atti specifici, da ricostruire secondo testimonianze e prove documentali.

E tutto questo andrà ripetuto per ogni singolo istituto oggetto di attenzione. Il fatto che la punta dell’iceberg sia il Pio Albergo Trivulzio riveste una forte carica simbolica, che ci riporta a Tangentopoli. Spero però che di quella esperienza si sia fatto tesoro e che questa volta non si confonda la verità giudiziaria con il giudizio politico.

Partiamo dal presupposto che le morti nelle RSA non riguardino solamente la Lombardia, ma anche altre regioni e altri Paesi. E, di conseguenza, i rispettivi governi, per quanto di competenza. Aggiungiamoci pure che, per motivi non ancora del tutto noti, nella nostra regione il Coronavirus ha impattato con più violenza che altrove. E, infine, fino a prova contraria sono portato a pensare che la Regione Lombardia abbia agito in buona fede, oltre che con il massimo impegno.

Tutto ciò premesso, discutere del merito delle scelte adottate non è solo lecito, bensì doveroso. Il senso di questa riflessione sta in un’inversione di rotta auspicabile non solo in un ipotetico futuro, ma il prima possibile, per uscire dalla scomoda posizione di chi sta tra l’incudine della crisi sanitaria e il martello di quella economica.

Pur non potendo stabilire se la celeberrima delibera dell’8 marzo abbia cagionato un danno a qualcuno, ritengo che politicamente sia necessario dire che è stata una mossa improvvida. Non certo degna di una Regione che si autoqualifica come eccellenza in campo sanitario. Il decantato “modello lombardo” centrato sull’ospedalizzazione si è dimostrato deficitario nell’impatto con il Coronavirus, rivelando tutte le sue carenze in termini di servizi territoriali. Diamo atto alla Lombardia che nessuno è stato in grado di prevedere il Coronavirus e che anche comprenderne ex post la gravità non si è rivelato semplice, ma che la sanità lombarda fosse eccellente per alcuni aspetti e carente per altri era stato osservato in tempi non sospetti.

Sicuramente, il dato non è più ignorabile oggi, visto che il parere degli esperti è pressoché unanime e che ci scontriamo con una realtà che dà risultati molto lontani da quelli che vorremmo.

Ancora più delicato è il giudizio sulle vicende che riguardano le tempistiche e il merito di alcune scelte adottate sul territorio lombardo, segnatamente sulla Val Seriana, tema sul quale TPI ha dato ampio conto ai propri lettori, con testimonianze e documenti inediti. A ognuno il compito di farsi un’idea in merito, possibilmente scevra dal tifo da stadio.

E’ facile obiettare che la richiesta di commissariamento della sanità lombarda, che personalmente ritengo necessaria e urgente, sia strumentale, una sorta di cavallo di Troia per ribaltare l’esito delle elezioni che da oltre vent’anni vedono la Regione saldamente nelle mani del centrodestra. Se questa è la preoccupazione, propongo di scegliere il commissario in una rosa di nomi graditi all’attuale maggioranza. Anzi (non paia una provocazione): affidiamoci direttamente a Luca Zaia, che certamente non è il mio politico preferito, ma che altrettanto certamente sta dimostrando di avere in mano la situazione del suo Veneto. Vorrei poter dire lo stesso di chi governa la Regione in cui vivo.

Ma se questo è il clima, va detto anche che uno degli errori più gravi che ritengo siano imputabili alla Giunta Lombarda è di aver fin dall’inizio di questa emergenza alimentato una forte conflittualità nei confronti del Governo centrale, retto da forze politiche avverse. All’inizio sembrava che la strategia pagasse, visto che Gallera aveva assunto una visibilità mediatica senza precedenti e soprattutto pareva in grado di uscirne come l’eroe in grado di salvare la popolazione dalla minaccia. Un altro esempio è la nomina di Bertolaso a Commissario per quell’ospedale in Fiera che rappresenta esso stesso un enorme elemento di criticità politica.

Bertolaso è stato scelto perché la sua figura era necessaria o come rivalsa nei confronti di Conte, che gli ha preferito Arcuri come Commissario nazionale per l’emergenza? Non mi piace fare il processo alle intenzioni, ma quando Bertolaso è stato ricoverato per Coronavirus mi sarei aspettato un sostituto. Un po’ provocatoriamente (quella volta sì) mi ero azzardato a proporre Gino Strada, oggettivamente il più competente sul tema di emergenze ed ospedali. Invece la “fondamentale” casella è rimasta vuota. Secondo voi, perché?

Oggi, la situazione è molto diversa rispetto all’inizio di questa disavventura. La sensazione è quella di essere smarriti in mezzo all’oceano, senza che nessuno abbia in tasca la bussola. Non ci servono supereroi, ma persone in grado di ammettere limiti ed errori, nonché accettare consigli. Ci servono, in buona sostanza, politica e competenza.

“Non importa di che colore sia il gatto, l’importante è che prenda i topi”. Lo si diceva in Cina molto tempo fa, vale a maggior ragione nella Lombardia di oggi.

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