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Questa foto racconta l’Italia di oggi: il popolo che ama (Simone) e quello che sa solo odiare

Immagine di copertina
Simone a confronto col militante di estrema destra

Il commento di Lorenzo Tosa

Guardate bene questo scatto. Fissate gli occhi di entrambi per dieci, venti secondi. Da una parte c’è Simone, 15 anni, una testa pensante, vergine di pregiudizi, la testarda idea che un povero è sempre un povero, a prescindere dall’etnia.

Lo sguardo fermo, impassibile, e quell’incrollabile capacità di non perdere la calma. Mai. Perché sa che, se ha una chance di vincere – una soltanto – anche un solo cedimento gli sarà dialetticamente fatale.

Dall’altra c’è un uomo di 52 anni, gli occhi truci, le mani usate come randello psicologico per intimorire l’avversario, il tono insopportabilmente paternalistico di chi ne ha viste troppe di più (“Quanti anni c’hai tu?”), troppe ne ha vissute (“Qua a Tore Maura se lassavano le chiavi attaccate alla porta quando tu ancora dovevi nascere”) e troppe ne ha capite. Un fascista. Di quelli veri, vecchia scuola, da strada, senza insegne né vessilli, ma la convinzione assoluta che, se la vita è uno schifo, se a Torre Maura c’è povertà e degrado, la colpa è di 70 rom “parcheggiati” lì dal Comune.

In questo scatto non c’è solo un confronto generazionale, umano, ideologico. Dentro questo frammento sono racchiusi due mondi destinati a non incontrarsi mai. Che, per un attimo “pasoliniano”, miracolosamente si ritrovano uno di fronte all’altro, in un confronto impossibile eppure, al tempo stesso, profondamente vero. Autentico.

C’è più verità qui che in centinaia di salotti televisivi urlati in cui in onda volano gli stracci e, quando la lucina rossa si spegne, si chiacchiera amabilmente dell’ultimo weekend a Fregene davanti a un caffè.

Quest’immagine racconta, più e meglio di qualunque editoriale pensoso, quello che siamo diventati. Parla di una divaricazione in atto nel nostro Paese sempre più manifesta e a cui, con queste proporzioni, non assistevamo da 70 anni.

Parla di un Paese lacerato tra due idee di mondo che, stringendo all’osso, si possono sintetizzare in due grandi pulsioni vecchie come l’uomo: chi crede nella protezione (che sfocia poi nel protezionismo) come unica soluzione per preservare le tradizioni della propria “tribù” da ogni possibile contaminazione esterna; e c’è chi, invece, come Simone, è convinto che non esista diritto che prevede la negazione del diritto di qualcun altro.

“A me questa cosa che bisogna sempre andà contro una minoranza nun me stà bene”. Chiaro, diretto, semplice, come solo a 15 anni si può essere. Se ci pensate, abbiamo assistito migliaia di volte a una scena come questa nell’asettica bacheca di un social network.

Ma è la prima volta che due mondi così radicalmente diversi, eppure figli dello stesso tempo e dello stesso luogo, si incontrano pubblicamente. Fisicamente. E, quando questo accade, all’improvviso ti accorgi di come la retorica razzista e sovranista si sgretoli di fronte al buon senso di un ragazzino di 15 anni senza particolare istruzione, che parla in romanesco, non ha mai fatto in politica in vita sua, né è iscritto ad alcun partito, ma che, con quattro parole, smonta anni di propaganda fascista del “Prima gli italiani”.

“È colpa dei rom?” È colpa dei rom se il Comune qui a Torre Maura è sparito? È colpa dei rom se tua moglie “esce di casa alle 4 e mezza per andare a lavorare”? È colpa dei rom se tua figlia “resta a casa da sola la sera”? È colpa di 70 rom se la periferia è stata abbandonata, lasciata al degrado e in mano alla criminalità?

Ma, a rendere questa foto, questo confronto, ancora più potente è il fatto che qui non siamo più di fronte alla stantia dicotomia tra popolo ed élite. Qui siamo passati al “Popolo vs Popolo”, ma due popoli così bobbianamente lontani tra loro da non sembrare neppure appartenenti allo stesso Paese.

Al punto che, se ci pensate bene, c’è una distanza più siderale e incolmabile tra Simone e il fascista che tra l’attuale contrapposizione politica tra destra e sinistra a cui assistiamo tutti i giorni stancamente, quasi come a un rituale stanco, annacquato e persino prevedibile.

In fin dei conti, è per questo che Simone in meno di 24 ore ha conquistato il web: perché era da tanto tempo che non si vedeva a sinistra (e non solo a sinistra) una capacità di cogliere l’attimo con tale chirurgica, grezza e istintiva esattezza e precisione.

E di rovesciare convinzioni e pregiudizi di fronte a cui milioni di persone più mature e formate di lui si sono voltati, nella migliore dell’ipotesi, dall’altra parte. Con buona pace di chi gli tira le orecchie perché “non parla una parola d’italiano“.

Ci sono codici comunicativi che viaggiano su frequenze tutte loro in cui la stessa lingua spesso non riesce ad arrivare. E su cui la politica – di destra e sinistra senza distinzioni – ha smesso ormai anche di tentare di sintonizzarsi.

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