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Home » Esteri

Cosa succede in Iran: dall’inizio delle proteste per il carburante decine di morti e Internet bloccato

Immagine di copertina
Credit: Twitter

Proteste in Iran: cosa succede a causa dell’aumento della benzina

A causa dell’aumento del costo della benzina in Iran le proteste sono montate in tutte le città: le strade sono bloccate e sono stati incendiati centinaia tra banche e negozi. Nelle “proteste per il carburante” gli arrestati sono migliaia, i morti alcune decine (solo due quelli ammessi dalle autorità), centinaia i feriti.

Proteste in Iran, la censura con internet bloccato

Le immagini delle devastazioni rimbalzavano sui social network, ma poi è arrivato il blocco di internet più massiccio in 40 anni di Repubblica islamica.

La censura è totale, anche i siti delle agenzie ufficiali sono lenti o inaccessibili. Le reti di telefonia mobile sono bloccate: chi vive in zone di confine tenta di comunicare con le schede straniere. In vista delle Legislative di febbraio 2020, i politici dell’opposizione invitano governo e parlamento ad ascoltare i manifestanti.

“Hanno staccato internet di un intero Paese e noi studenti iraniani ed espatriati (10 milioni di persone) stiamo morendo dall’ansia, non potendo contattare le nostre famiglie”, denuncia al Sole24Ore una utente iraniano espatriata.

“I giornali italiani – continua la ragazza iraniana – sono gli unici che non hanno detto niente! Perché il silenzio? In Iran ci sono proteste in 100 città e il governo ha aperto il fuoco sui manifestanti”.

Il presidente iraniano condanna le violenze, senza però ascoltare le critiche delle persone, che si lamentano per i miliardi inviati dall’apparato di Difesa a Gaza, agli Assad in Siria, agli Hezbollah in Libano e alle milizie in Iraq.

In Europa, paesi come Germania e la Francia invitano il regime a “rispettare le legittime manifestazioni e la libertà di espressione”.

Cosa sta succedendo in Iran e perché sono scoppiate le proteste

Il presidente iraniano Hassan Rohani ha ammesso una “situazione difficile e complicata” come internamente non accadeva dalla rivoluzione nel 1979. Da più di un anno, infatti, c’è forte sofferenza per l’embargo totale di Donald Trump.

La misura del caro benzina appare volta a contrastare i contraccolpi delle sanzioni reintrodotte dagli Usa, dopo il ritiro dall’accordo sul nucleare iraniano, del 2015.

“Joker” sta diventando realtà: il capitalismo è una fabbrica di poveri e il mondo ha iniziato a ribellarsi (di Luca Telese)

Rohani ha annunciato un piano di rincari nelle sovvenzioni, secondo il quale il prezzo calmierato (circa 11 centesimi di euro al litro per i primi 60 litri al mese) della benzina aumenterà del 50 per cento a 15 mila rial, per i litri successivi del 300 per cento.

Lo scopo dichiarato è redistribuire i risparmi in sussidi per gli oltre due terzi di popolazione in difficoltà: dal 2018 lo Stato fa infatti i conti con un’inflazione al 40 per cento. Gli iraniani non sono d’accordo con Rohani e tra gli slogan delle proteste si legge: “Se e quando i risparmi saranno redistribuiti non varranno più nulla”.

Come nel Libano e nell’Iraq la popolazione, oltre al caro benzina, contesta anche il regime e chiede un cambiamento economico e politico.

Le proteste più significative sono state quelle a Sirjan, dove è stato attaccato un deposito di carburante, a cui la folla ha cercato di dare fuoco prima che intervenissero le forze di sicurezza. Altre manifestazioni di “portata limitata”, ha fatto sapere l’agenzia Irna, si sono tenute in diverse zone del Paese: Mashhad, Ahvaz, Bandar Abbas, Birjand, Gachsaran, Abadan, Khoramshahr e Mahshahr.

La preoccupazione del Fondo monetario internazionale

Anche per il Fondo monetario internazionale la crisi è peggiore che negli anni della lunga guerra tra l’Iran e l’Iraq (1980-1988). È un paradosso che la potenza dell’Opec, dove un altro maxi giacimento da 50 miliardi stimati di barili di petrolio è stato appena scoperto, non possa godere del suo oro nero.

L’Iran è una potenza Opec con un giacimento di petrolio appena scoperto ma in un anno l’export è crollato da circa 2 milioni e mezzo a un milione e mezzo di barili al giorno: resiste soprattutto verso Paesi asiatici amici come la Cina.

Nonostante la Repubblica islamica cerchi di diversificare l’economia, riesce a esportare verso l’Occidente solo merci come lo zafferano, del quale è pressoché unica produttrice mondiale: un primato che porta le aziende del settore ad aggirare le multe.

Per il resto il paese è paralizzato: il ceto medio iraniano non può permettersi spese extra, per i poveri la carne è un lusso, anche molti ricchi evitano gli spostamenti all’estero.

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