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Etiopia: continua la guerra nel Tigray, dove gli aerei del premio Nobel per la pace massacrano i civili

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Il primo ministro etiope e premio Nobel per la pace Abiy Ahmed tiene una conferenza stampa con il primo ministro norvegese Erna Solberg a Oslo, l'11 dicembre 2019. Credit: EPA/STIAN LYSBERG SOLUM / POOL NORWAY OUT

Etiopia: continua la guerra nel Tigray, dove gli aerei del premio Nobel per la pace massacrano i civili

L’elezione tenuta all’inizio di questa settimana in Etiopia avrebbe dovuto consacrare il passaggio del paese alla piena democrazia, legittimando la rapida ascesa del primo ministro e premio Nobel per la pace Abiy Ahmed. Invece mesi di repressione dei gruppi di opposizione e una brutale guerra civile nel nord del paese hanno irrimediabilmente compromesso la credibilità del voto, una componente centrale nel programma di riforme che negli scorsi anni era valso ad Abiy Ahmed il plauso di larga parte della comunità internazionale.

Fin dai primi giorni del suo insediamento nel 2018, Abiy ha promosso una serie di misure ambiziose in ambito politico ed economico, accompagnate dalla liberazione di decine di migliaia di prigionieri politici e da uno storico accordo di pace con l’Eritrea.

Le aperture del primo capo del governo di etnia oromo nella storia del paese non hanno però rallentato le tensioni etniche e politiche nel paese, portando a uno scontro frontale con il partito che era sempre stato egemone fin dalla fine del regime comunista di Menghistu Hailé Mariam nel 1991, il Fronte popolare per la liberazione del Tigray (Tplf).

Il conflitto lanciato dal governo contro il Tplf nella regione settentrionale del Tigray, in cui al fianco delle forze federali sono anche intervenuti i soldati della vicina Eritrea, ha causato migliaia di vittime civili oltre a due milioni di sfollati da novembre 2020, e non accenna a fermarsi.

Lo scorso martedì 22 giugno, il giorno successivo alle elezioni, aerei delle forze governative hanno bombardato il mercato di un villaggio a 25 chilometri dal capoluogo Mekelle, in uno degli episodi più sanguinosi avvenuti finora nel conflitto. Il bombardamento, costato la vita a decine di civili, è stato il culmine di una settimana in cui si sono visti i combattimenti più intensi dallo scorso novembre. Negli scorsi giorni infatti visto le forze del Tplf sono avanzate in diversi centri della regione, prendendo territori precedentemente presidiati da soldati eritrei. Nello stesso giorno del raid, le forze ribelli sono entrate nella città di Adigrat, nel Tigray settentrionale, prima di essere respinte dopo diverse ore dalle forze etiope ed eritree. Il giorno successivo hanno risposto all’attacco aereo del governo abbattendo un aereo militare che si stava avvicinando a Mekelle.

Secondo quanto riportato dal New York Times, che cita un rapporto condiviso da un funzionario delle Nazioni Unite, le autorità sanitarie regionali ritengono che 80 persone sono state uccise nel raid che ha colpito il mercato del villaggio di Togoga, in cui 43 persone sono rimaste ferite. Inoltre, secondo diversi testimoni, soldati governativi avrebbero impedito alle ambulanze di raggiungere il centro per prelevare i feriti dopo l’attacco. Tramite un portavoce, l’esercito etiope ha invece smentito di aver colpito civili, affermando che il raid avrebbe colpito solamente combattenti del Tplf presenti nel villaggio.

Il massacro segue una lunga lista di violenze che le forze etiope ed eritree sono accusate di aver inflitto in maniera sistematica contro la popolazione della regione, dove secondo le Nazioni Unite più di 350.000 persone soffrono la fame in quella che è diventata la peggiore crisi alimentare dell’ultimo decennio a livello mondiale.

“Lo stupro viene usato sistematicamente per terrorizzare e brutalizzare donne e ragazze. I soldati eritrei usano la fame come arma di guerra. Gli sfollati vengono radunati, picchiati e minacciati”, ha detto la scorsa settimana il sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari Mark Lowcock in un briefing a porte chiuse ai membri del Consiglio di sicurezza, aggiungendo che “nessuno dovrebbe essere sorpreso” dal ritorno di una carestia ai livelli di quella che tra il 1983 e il 1985 aveva portato alla morte di oltre 1 milione di persone. All’epoca le immagini della devastante carestia, che aveva colpito la regione mentre il regime combatteva lo stesso Tplf, avevano sconvolto il mondo ispirando iniziative benefiche internazionali come lo storico concerto del Live Aid.

Una carestia che secondo alcuni osservatori potrebbe essere sempre più difficile evitare con l’inizio della stagione delle piogge, arrivata senza che agricoltori abbiano potuto effettuare la semina. In tutta la regione del Tigray, dove le forze di Etiopia e Eritrea sono state accusate di aver bruciato campi e ucciso bestiame, sono 5,5 milioni le persone che secondo l’Onu affrontano l’insicurezza alimentare, quasi l’80 percento della popolazione della regione.

Con il peggioramento della situazione umanitaria nel Tigray, si sono inasprite anche le critiche della comunità internazionale. Un portavoce del dipartimento di Stato americano ha espresso la “forte condanna” del bombardamento del mercato di Togoga, definito un atto “riprovevole”.

“Quello che sta succedendo nel Tigray è spaventoso”, ha affermato l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borell, dopo che la scorsa settimana l’inviato speciale dell’UE in Etiopia, il ministro degli Esteri finlandese Pekka Haavisto, ha dichiarato al parlamento europeo di aver parlato con esponenti del governo etiope che gli hanno riferito di voler “spazzare via i tigrini per 100 anni”.

Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha invece rinnovato un appello “per un immediato cessate il fuoco, il pieno accesso umanitario, la fine degli spostamenti forzati”, chiedendo indagini indipendenti sulle violazioni dei diritti umani, e l’avvio di un percorso di riconciliazione nazionale. “Lo facciamo nel solco dei tradizionali rapporti di amicizia e collaborazione bilaterale e del pieno sostegno al processo di riforme e allo sviluppo del Paese”, ha detto mercoledì Draghi nell’informativa alla Camera in vista del Consiglio europeo.

Proprio martedì scorso il governo etiope ha dichiarato di aver esaminato e trasmesso al parlamento accordi di cooperazione in materia di difesa con Italia e Francia. Secondo quanto dichiarato dal consiglio dei ministri etiope, gli accordi bilaterali sono importanti “per rafforzare le capacità tecniche e militari delle forze di difesa etiopi”. Il governo ha anche dichiarato che gli accordi rafforzeranno ulteriormente le relazioni tra l’Etiopia e i due paesi e contribuiranno in modo significativo allo sviluppo dell’amicizia di lungo corso.

I risultati delle elezioni di lunedì, attesi per il mese di luglio, confermeranno con tutta probabilità la vittoria del nuovo partito della Prosperità, voluto dal primo ministro in sostituzione il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (Eprdf), la coalizione che ha governato il paese dalla fine del regime di Menghistu e che, fino all’arrivo di Abiy, era stata dominata per quasi trent’anni dal Tplf.

Il voto, rinviato due volte, non è stato tenuto nel Tigray ed è stato posticipato a settembre in due altre regioni, oltre a essere stato boicottato da diversi gruppi di opposizione nella stessa regione dell’Oromia da cui proviene il primo ministro a seguito della repressione delle autorità.

“Tutti gli strati della società si sono espressi per far sentire la propria voce nelle prime elezioni libere ed eque del nostro Paese”, ha scritto Abiy Ahmed su Twitter citando “la serietà, l’impegno per la pace e per il processo democratico (del) popolo”.

Leggi anche: Crisi umanitaria in Etiopia: raid contro un mercato nel Tigray, decine di vittime / Pulizia etnica e giornalisti arrestati: in Etiopia non basta un premio Nobel per la paceEtiopia: le atroci storie di violenza contro le donne nel Tigray, dove lo stupro viene usato come arma di guerra / Perché il conflitto in Tigray può trasformare l’Etiopia in una polveriera

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