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Etiopia: le atroci storie di violenza contro le donne nel Tigray, dove lo stupro viene usato come arma di guerra

Immagine di copertina
Una rifugiata etiope con suo figlio proveniente dalla regione del Tigray, nel campo profughi di Um Rakuba in Sudan. Credit: EPA/ALA KHEIR/ANSA

Etiopia: le atroci storie di violenza contro le donne nel Tigray, dove lo stupro viene usato come arma di guerra

A più di cinque mesi dall’annuncio della fine della guerra nel Tigray continuano a emergere testimonianze scioccanti delle violenze inflitte sulla popolazione dalle forze etiopi, eritree e da milizie locali nella regione dell’Etiopia settentrionale, dove secondo giornalisti e attivisti la violenza sessuale viene usata come arma di guerra su scala “quasi inimmaginabile”.

”Questa è pulizia etnica”, ha raccontato al New York Times una 18enne vittima di un tentativo di stupro che le è costata l’amputazione del braccio, affermando che i soldati colpiscono le donne della regione “per impedirle di far nascere nuovi tigrini”. Oltre alle zone di conflitto, negli scorsi mesi le violenze si sono continuate a registrare anche nel capoluogo di Mekelle. Molte donne tuttavia scelgono di non recarsi agli ospedali, a cui gli stessi soldati hanno facile accesso. Al quotidiano britannico Telegraph, un medico di Mekelle ha riferito che ogni donna che si reca in ospedale “dice che ce ne erano altre 20 con lei, che non ce la fanno ad arrivare all’ospedale”. In molti casi, i medici affermano che i funzionari governativi scelgono di non registrare i casi nel timore di ritorsioni da parte di militari.

A marzo Wafaa Said, vicedirettrice dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari per la regione dell’Africa orientale e meridionale, ha detto che più di 500 donne etiopi hanno denunciato di aver subito violenze sessuali presso cinque ospedali nel Tigray, una stima del fenomeno già considerata al ribasso “per lo stigma associato allo stupro. Secondo quanto affermano operatori sanitari e umanitari, i casi di violenza nella regione aumentano di giorno in giorno.

La guerra nel Tigray

Il conflitto, iniziato con l’offensiva lanciata il 4 novembre dal primo ministro etiope e premio Nobel per la pace Abiy Ahmed contro il Fronte popolare per la liberazione del Tigray (Tplf) che governava la regione, ha coinvolto, oltre alle forze del governo federale, anche miliziani dalla regione di Amhara e soldati dalla vicina Eritrea, accusati da rifugiati e residenti di aver compiuto massacri e violenze indiscriminate sui civili. La presenza di soldati eritrei è stata smentita per mesi dal governo etiope, fino all’ammissione di Abiy lo scorso 23 marzo.

La scorsa settimana i paesi del G7 hanno chiesto in un comunicato il ritiro “rapido, senza condizioni e verificabile” delle forze eritree. Secondo il ministero degli Esteri etiope hanno “iniziato” a lasciare il Tigray, affermando che avevano attraversato il confine dopo essere state provocate da membri del Tplf.

L’Eritrea è diventata un alleato inaspettato dell’Etiopia nel 2018, con la firma di un accordo di pace che ha posto formalmente fine a un conflitto iniziato 20 anni prima. Ad Addis Abeba si era insediato da pochi mesi come primo ministro Abiy Ahmed, dopo tre decenni di governi guidati dal Tplf. Il primo capo di governo di etnia oromo, che costituisce più di un terzo della popolazione, ha promosso in pochi mesi riforme ambiziose in ambito politico ed economico, liberando decine di migliaia di prigionieri politici. Il tentativo di superare le violenze etniche che negli anni precedenti avevano provocato milioni di sfollati nel paese è valso ad Abiy il plauso della comunità internazionale, portandolo a vincere il premio Nobel per la pace nel 2019.

Le riforme tuttavia non hanno impedito che molte delle divisioni etniche e all’interno del Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (Eprdf), la coalizione che ha governato il paese dalla fine del regime di Menghistu nel 1991, diventassero irreversibili.  Tplf, partito della minoranza tigrina sempre stato egemone all’interno della coalizione fino all’ascesa di Abiy, si è rifiutato di entrare nel nuovo partito della Prosperità voluto dal primo ministro in vista delle elezioni previste per il prossimo giugno.

In un’escalation che ha portato all’offensiva di novembre, il Tplf ha prima tentato di organizzare elezioni locali senza l’autorizzazione del governo, per poi attaccare una base militare federale. La dura risposta di Abiy Ahmed ha riacceso le tensioni mai sopite tra etnie come gli amhara e i tigrini, che rappresentano circa il 6 percento dei 110 milioni di abitanti del paese, alimentate durante i tre decenni al potere del Tplf. Anche l’Eritrea, dall’indipendenza del 1993 sotto il regime di Isaias Afewerki, ha colto l’occasione presentata dal conflitto per regolare i conti con il Tplf, accusato di sostenere l’opposizione interna.

Violenze sistematiche contro le donne

Il blocco delle telecomunicazioni, imposto a intermittenza anche in seguito alla conclusione ufficiale del conflitto, ha impedito l’arrivo al resto del mondo di notizie su quanto accade nella regione, dove secondo una giornalista del Telegraph, contro le donne vengono commesse brutalità su una scala “quasi inimmaginabile”. Nelle ultime settimane, con l’arrivo di organizzazioni internazionali e giornalisti, sono emerse testimonianze agghiaccianti, accompagnate da dettagli di estrema crudezza.

“Le donne dicono di essere state violentate da attori armati, hanno anche raccontato storie di stupri di gruppo, stupri di fronte a familiari e uomini costretti a violentare i propri familiari sotto la minaccia di violenza” ha detto Said, rivolgendosi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite lo scorso 25 marzo.

In uno dei casi più eclatanti, un filmato circolato sui social e confermato dalla stampa mostra un chirurgo dell’ospedale di Adigrat mentre estrae chiodi e pezzi di plastica inseriti nella vagina di una donna. Diverse sopravvissute alle violenze, hanno raccontato storie di violenze di gruppo durate interi giorni, accompagnate dall’uccisione di familiari.

La scorsa settimana Abiy ha riconosciuto che sono state commesse “atrocità” nel Tigray “violentando donne e saccheggiando proprietà”, senza attribuire gli incidenti a gruppi specifici. Il ministro dell’Informazione eritreo Yemane Ghebremeskel invece ha dichiarato che le accuse di stupro contro i soldati del paese sono “tristi e rivoltanti”. “Tutte le storie inventate, che sono estranee alla nostra cultura e alle nostre leggi, vengono spacciate per coprire i crimini del Tplf che ha iniziato la guerra “.

Molte testimonianze sottolineano invece la natura sistematica degli abusi. Diverse donne sono state infettate dall’Hiv o hanno contratto malattie sessualmente trasmissibili a seguito degli stupri, un contagio cercato intenzionalmente da alcuni dei soldati, secondo quanto riportato dalle sopravvissute. Un medico nel campo profughi sudanese di Hamdayet, il dottor Tedros Tefera, ha riferito a Cnn che molte vittime hanno raccontato di essere state violentate da miliziani amhara che le hanno detto di volerle “cambiare l’identità” e operare una pulizia etnica. “Praticamente questo è stato un genocidio”, ha detto.

Leggi anche: Perché il conflitto in Tigray può trasformare l’Etiopia in una polveriera
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