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Home » Esteri

Elezioni in Regno Unito, tutti i candidati: da Johnson a Corbyn e Farage. I programmi

Tutto sui candidati alle elezioni anticipate in Regno Unito di giovedì 12 dicembre: un voto importantissimo soprattutto per il destino della Brexit

Elezioni Regno Unito, i candidati: Johnson, Corbyn, Swinson, Farage, Sturgeon

Dopo (pochi) mesi di campagna elettorale e nel pieno dell’incertezza per il destino della Brexit, è arrivato il momento delle elezioni in Regno Unito: oggi, giovedì 12 dicembre 2019, i candidati al ruolo di primo ministro inglese sono attesi dalla prova delle urne.

S&D

Il voto anticipato (i sudditi di Sua Maestà avevano già espresso le loro preferenze nel 2017) è stato proclamato lo scorso ottobre su richiesta del premier Boris Johnson, che consultando nuovamente il popolo inglese spera di rompere lo stallo sulla Brexit. In quell’occasione, è stato importante il via libera concesso dai Laburisti, guidati da Jeremy Corbyn, mentre l’Unione europea ha dato il suo ok alla proroga per l’uscita della Gran Bretagna al 31 gennaio 2020.

Accanto a Johnson e Corbyn – di certo gli unici a poter concorrere alla vittoria finale – ci sono però altri candidati in queste elezioni 2019 in Regno Unito: il loro gradimento alle urne stabilirà se potranno ambire al ruolo di ago della bilancia della nuova maggioranza, qualora il vincitore non dovesse raggiungere da solo il numero di seggi sufficienti a formare un nuovo governo.

Vediamo insieme tutti i candidati al voto in Gran Bretagna.

Boris Johnson (Conservatori)

Boris Johnson (qui il suo profilo) è stato nominato primo ministro inglese nel luglio 2019, dopo le dimissioni di Theresa May del 7 giugno. A lui è spettato il difficilissimo compito di raccogliere i cocci all’interno di un partito Conservatore spaccato come non mai e che per un anno ha tentato, invano, di far approvare al Parlamento un accordo su Brexit.

La sua visione sulla Brexit è molto più netta e “hard” rispetto a quella della May. Ma nonostante ciò, la sostanza non è cambiata: Westminster non ha mai dato il via libera. Per questo motivo Johnson ha basato la sua campagna elettorale sullo slogan “Get Brexit Done” (“Realizziamo la Brexit”). In più, ha chiesto al popolo britannico di garantire una maggioranza sicura per raggiungere l’obiettivo, senza aver bisogno di coalizioni come è avvenuto nel 2017 (quando i Conservatori si allearono con i nordirlandesi del Partito unionista democratico).

La sua strategia sembra avere in parte pagato, visto che nei sondaggi il gradimento nei suoi confronti è cresciuto molto, soprattutto a scapito dell’altro grande organismo di destra, il Brexit Party di Nigel Farage, che alle scorse elezioni europee si è rivelato il primo partito inglese.

Con una vittoria, Johnson e i Conservatori potrebbero dunque far ratificare al Parlamento di Westminster il loro accordo sulla Brexit.

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Jeremy Corbyn (Labour Party)

Il secondo favorito tra i candidati alle elezioni in Regno Unito è il leader laburista Jeremy Corbyn. L’obiettivo del Labour Party è di ricalcare un po’ la grande rimonta del 2017, quando alle elezioni lo stesso Corbyn riuscì ad azzerare quei venti punti percentuali di vantaggio che i Conservatori di Theresa May avevano secondo tutti i sondaggi.

Corbyn, in campagna elettorale, ha promesso che in caso di vittoria proverà a negoziare un accordo, da zero, con l’Unione europea, per poi sottoporlo a un nuovo referendum popolare. Ma ha dovuto anche lottare con la minoranza più moderata del suo partito, che ha spinto affinché il leader centrasse la sua propaganda sul Remain, ovvero sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea.

Lui, invece, ha cercato di mantenere una posizione che mettesse d’accordo i sostenitori del Remain e quelli del Leave. Spingendo alla scissione i più intransigenti dei sostenitori della permanenza nell’Ue.

Se ha stentato sul tema Brexit, è anche vero che il Labour Party di Corbyn punta anche su un programma di riforme radicali che si concentrano sulla fine dell’epoca di austerity e tagli che va avanti da qualche anno, ma anche sulla delega di molti poteri alle amministrazioni locali e sull’aumento della spesa sul servizio sanitario nazionale.

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Jo Swinson (LibDem)

Tra i candidati alle elezioni del Regno Unito c’è anche Jo Swinson, la giovane leader dei LibDem (i liberaldemocratici), un partito centrista che si candida come possibile ago della bilancia per gli equilibri del nuovo governo nel caso in cui nessuno tra Conservatori e Laburisti ottenesse la maggioranza.

Prima del 2019, i LibDem venivano da una delle batoste più pesanti della loro storia, con l’elezione di soli 8 deputati alle elezioni del 2015. Ma con una campagna elettorale fortemente incentrata sull’appoggio al Remain, con lo slogan “Stop Brexit”, i liberaldemocratici hanno guadagnato molti consensi spingendosi fino al 20 per cento delle elezioni europee.

Addirittura, il partito guidato dalla Swinson promette – se andrà al governo – di abolire l’articolo 50 dei trattati sull’Unione europea. Cioè quello che permette e regola l’uscita dall’Ue di uno Stato membro. Per evitare, in futuro, nuovi casi Brexit.

Se, come si evince dai sondaggi, i LibDem otterranno un dieci per cento di preferenze, potrebbero provare una difficile alleanza con il Labour Party di Corbyn.

Nigel Farage (Brexit Party)

Molto particolare è la situazione relativa a Nigel Farage e al suo Brexit Party. Dal nome del partito, è chiara l’impostazione che l’eurodeputato britannico ha dato alla sua campagna elettorale: Leave, senza se e senza ma.

Tuttavia, in seguito a un accordo politico con i Conservatori, Farage ha deciso di non fare concorrenza ai Conservatori nei loro collegi chiave. Dunque, il partito della Brexit non si è presentato in tutte quelle città dove Johnson rischia di perdere, ma solo dove può racimolare un buon numero di voti da sottrarre al Labour Party, più favorevole al Remain.

La conseguenza di questo accordo è che molto probabilmente Farage non riuscirà a eleggere neanche un deputato.

Elezioni Regno Unito, gli altri candidati

Tra gli altri candidati, ci sono i Verdi, che secondo i sondaggi rimarranno al di sotto del 5 per cento non ottenendo alcun seggio, i gallesi di Plaid Cymru, i nordirlandesi di Sinn Féin e il Partito nazionale scozzese di Nicola Sturgeon (che spinge per un nuovo referendum per l’indipendenza dal Regno Unito, con l’obiettivo per la Scozia di rimanere nell’Unione europea). Tutti e quattro, per eventuali alleanze, darebbero il loro appoggio al Labour Party.

Diverso, invece, il discorso per il Partito unionista democratico dell’Irlanda del Nord, risultato decisivo per la bocciatura a Westminster dell’accordo stipulato da Johnson con l’Ue per la Brexit. Nonostante ciò, il suo appoggio in termini di alleanze sarebbe sempre per i Conservatori.

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