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Battaglia legale sul Muslim Ban di Trump

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In Corte d’appello federale udienza sulla stop al bando che limita l’immigrazione. Danno irreparabile, dice l'accusa. Si tratta di sicurezza nazionale, replica la difesa

Si è svolta martedì 7 febbraio 2017 presso la IX Corte d’appello federale di San Francisco alla presenza di una giuria composta da tre giudici l’udienza per la sospensione del cosiddetto Muslim Ban, l’ordine esecutivo sull’immigrazione firmato il 27 gennaio dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, voluta dal giudice federale dello Stato di Washington James Robart.

L’accusa ha definito “discriminatorio e dannoso” il provvedimento, mentre il governo lo difende perché necessario alla “sicurezza nazionale”. I giudici si pronunceranno in settimana ed è altamente probabile che, qualunque delle parti vinca, la questione venga portata davanti alla Corte Suprema di Washington.

La tesi della difesa

Il presidente degli Stati Uniti “ha l’autorità per sospendere l’ingresso di stranieri nel paese nell’interesse della sicurezza nazionale”, ha detto August Flentje, legale del Dipartimento di giustizia, davanti ai giudici. 

Flentje ha sottolineato la natura temporanea nel provvedimento che vieta l’ingresso sul territorio statunitense ai viaggiatori provenienti da paesi “che rappresentano un rischio speciale”, ovvero quei sette paesi (Siria, Iraq, Somalia, Libia, Yemen, Iran e Sudan) “con una presenza significativa di terrorismo”.

“Il presidente Trump”, ha detto ancora l’avvocato del Dipartimento di giustizia, “ha valutato l’esistenza di un rischio reale. I sette paesi interessati dall’ordine esecutivo pongono una seria minaccia dal punto di vista del terrorismo”. 

Flentje ha citato come esempio il gruppo terroristico al-Shabaab che opera in Somalia. “L’esclusione di alcuni stranieri dall’ingresso nel paese è un atto fondamentale di sovranità, nell’ambito di quelli che sono i poteri del Congresso e del presidente”, ha aggiunto sostenendo la tesi che non ci sia motivo di sospendere il provvedimento.

La tesi dell’accusa

Il bando sui musulmani firmato da Donald Trump causa “danni irreparabili”, ha detto invece Noah Purcell, il legale che rappresenta gli stati di Washington e del Minnesota che hanno per primi intentato causa contro l’ordine esecutivo. “Famiglie sono state separate; a persone residenti da tempo negli Stati Uniti è stato impedito di viaggiare. C’è anche una perdita sul fronte delle entrate fiscali”, ha spiegato Purcell.

La corte deve leggere tra le righe del provvedimento per individuarne la vera motivazione: si tratta di discriminazione su base religiosa, ha sottolineato l’accusa.

Il Muslim Ban colpisce solo il 15 per cento dei musulmani

Uno dei tre giudici ha però replicato che a conti fatti i sette paesi oggetto del divieto rappresentano complessivamente meno del 15 per cento della popolazione musulmana del mondo.

“Ho difficoltà a comprendere perché stiamo sobillando animosità religiosa quando di fatto la stragrande maggioranza dei musulmani non sono coinvolti e posto che la preoccupazione circa le attività terroristiche dei gruppi radicali sia difficile da negare”, ha dichiarato Richard Clifton.

Ma Purcell ha puntato il dito contro “scioccanti” dichiarazioni rilasciate dal presidente stesso e dall’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, il quale ha recentemente detto: “Quando Trump ha annunciato l’ordine esecutivo per la prima volta lo ha chiamato ‘Muslim ban’. Mi ha telefonato e mi ha detto: ‘Metti insieme una commissione e mostrami come fare questa cosa in modo legale’”.

“Prenderemo una decisione il prima possibile”, hanno concluso i giudici californiani.

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