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Home » Cronaca

La nave Sea Eye torna al largo Libia: “Siamo soli a cercare i 41 migranti spariti”

Immagine di copertina
Credti: ARIS MESSINIS/AFP/Getty Images

Dal 23 marzo non si hanno più notizie di un gommone con 41 migranti a bordo partito dalla città libica di Sabrata. Quello stesso giorno viene lanciato un messaggio di aiuto per un’imbarcazione che si trova al largo delle coste della Libia, ma da quel momento in poi cala il silenzio. 

Il 27 marzo la Ong Sea Eye ha annunciato di essere tornata in area Sar per cercare il gommone con la nave umanitaria Alan Kurdi.

“Abbiamo raggiunto la zona Sar e stiamo cercando da soli le 41 persone che erano su un gommone e che mancano da tre giorni. In questi giorni è l’unica nave civile di salvataggio presente al largo delle coste della Libia, in un tratto di mare svuotato dal soccorso civile e dalla possibilità di testimoniare quanto di terribile quotidianamente accade”.

Questo il tweet pubblicato dalla Ong sui social, in cui si denuncia l’assenza di altre imbarcazioni umanitarie in grado di aiutare chi lascia la Libia per raggiungere le coste europee e di testimoniare quanto accade nel Mediterraneo.

TPI tre giorni dopo la scomparsa del barcone con a bordo 41 migranti aveva intervistato Giorgia Linardi, portavoce della Ong Sea Watch.

“È gravissimo che nessuno si interessi di sapere come stanno queste persone. Stando al regolamento SAR dovrebbe essere Malta a seguire la situazione e rendere conto di cosa sia accaduto in quelle acque”, ha commentato la Linardi a TPI.

Le speranze di trovare le 41 persone a bordo dell’imbarcazione ancora in vita si riducono ogni giorno di più. Anche se il barcone fosse stato intercettato dai militari libici non è che detto che i migranti siano stati tratti in salvo: generalmente chi scappa dalla Libia preferisce morire in mare piuttosto che essere riportato indietro.

Una volta in Libia infatti che ha cercato di arrivare in Europa viene rinchiuso nelle carceri più o meno legali presenti nel paese e rilasciati solo dietro cauzione.

>>Un rapporto dell’ONU denuncia gli orrori nei centri di detenzione libici
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