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“Mio padre morto di Covid e la mia famiglia costretta a spendere 500 euro tra test sierologici e tamponi privati”, la denuncia a TPI

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ANSA / GIUSEPPE LAMI

La testimonianza di Consuelo Locati, avvocato di Seriate (Bergamo), che ha perso il padre per Coronavirus e non è mai stata contattata dall'Ats per eseguire il tampone, trovandosi costretta a rivolgersi ai privati

“Mio padre morto di Covid e la mia famiglia costretta a spendere 500 euro tra test sierologici e tamponi privati”, la denuncia a TPI

Tre volte segnalata all’Ats di Bergamo, un padre deceduto per Covid, un test sierologico positivo agli anticorpi, eppure ancora nessun tampone. Mentre l’Italia parte con la sua nuova “Fase 2”, c’è ancora chi, dopo aver effettuato tre quarantene e speso quasi 500 euro in clinica privata, cerca ancora di capire insieme ai suoi familiari se può tornare a lavorare e muoversi liberamente. A raccontarlo a TPI è Consuelo Locati, avvocato di Seriate (Bergamo), che guida il gruppo di legali di “Noi Denunceremo”, un comitato composto da cittadini che chiedono “verità e giustizia per le vittime di Covid-19”. Il suo resoconto stride con le notizie sulle riaperture di questi giorni e dà l’idea di quanto ancora non è stato fatto – soprattutto in Lombardia – per garantire la sicurezza degli italiani.

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“Sono stata segnalata la prima volta all’Ats l’11 marzo, perché un cliente che avevo ricevuto nel mio studio legale di Bergamo il 6 marzo era risultato positivo ed era ricoverato in rianimazione”, racconta l’avvocato. “Per oltre 20 giorni l’Ats non si è fatta sentire, nel frattempo mio padre si è ammalato di Covid-19, è stato ricoverato il 22 marzo ed è morto cinque giorni dopo. Avevo avuto contatti con lui l’ultima volta il 12 marzo”. Nel frattempo, sia Consuelo sia sua madre (che viveva col padre) hanno la febbre, dolori muscolari e altri sintomi legati al Coronavirus, ma entrambe riescono a riprendersi. Non vengono monitorate dall’Ats, ma da amici medici che le sentono ogni giorno e danno loro indicazioni a distanza.

Dopo la morte del padre, l’ospedale invia all’Ats la comunicazione del decesso, affinché possa tracciare tutti i familiari che erano stati a contatto con lui. Nello specifico si tratta di Consuelo, sua sorella e la madre 72enne. Trascorre un mese, ma nessuna di loro viene contattata dall’Ats o sottoposta a tampone. “A quel punto ho chiesto al mio medico cosa dovessi fare visto che, essendo io stata a contatto con due persone sicuramente infette, prima di riaprire lo studio avrei dovuto sottopormi a test sierologico o tampone”, dice Consuelo. “Dopo diversi tentativi, l’8 maggio il medico riesce ad aggiungermi all’elenco dei tamponi dell’Ats, ma neanche stavolta vengo contattata”.

Consuelo capisce che per tornare a lavorare deve rivolgersi ai privati, che nel frattempo vengono autorizzati con una delibera della Regione Lombardia ad effettuare test sierologici e tamponi. “Per eseguire il test su di me, mia madre, i miei due figli e mia sorella, abbiamo speso 40 euro ciascuno”, racconta. “Il test è risultato positivo agli anticorpi IgG per me, per mia madre e per uno dei miei figli, per l’altro mio figlio e per mia sorella è risultato negativo. La delibera della Regione obbliga chi risulta positivo a fare il tampone, ma neanche stavolta l’Ats ci ha chiamati, quindi abbiamo fatto il tampone presso la stessa clinica privata, spendendo altri 92 euro a testa”. Tra test sierologici per 5 persone e tamponi per 3, la spesa totale è di 476 euro.

“Il risultato del tampone arriverà il 29 maggio, nel frattempo non posso uscire di casa”, si sfoga Consuelo. “Potrei ricominciare a lavorare dal 30 maggio, se va bene e il tampone sarà negativo. Dopo il 4 maggio si poteva riaprire, ma a chi era stato segnalato non è stata data la possibilità di essere testato. Tutto è stato lasciato all’autonomia e al senso di responsabilità dei singoli. Io ho fatto il test per mettere in sicurezza i miei clienti, e chi non lo ha fatto?”, si chiede Consuelo. “Non so neanche se dargli torto a questo punto. Sono ferma con la mia attività dal 6 marzo, ho fatto tre quarantene”.

“La mia situazione è molto comune, purtroppo è successo a tutti coloro che hanno avuto dei decessi in famiglia”, sottolinea. “Siamo stati abbandonati dall’Ats e ora questo è il risultato della privatizzazione della Sanità. Non si possono obbligare le persone a rivolgersi ai privati per veder tutelato il proprio diritto alla Salute, così si crea solo una distinzione tra classi. Chi può permettersi il tampone lo fa, chi non può esce senza certezze o resta a casa”, conclude amara. “Ora sono terrorizzata: da ieri vedo la gente che esce, che va a fare gli aperitivi, non si capisce più chi ha fatto i controlli e chi non li ha fatti”.

 

Leggi anche: 1. L’ultima follia di Gallera e Fontana: chiedono ai lombardi di farsi i tamponi da soli. Ma pagando 70 euro (di S. Lucarelli) /2. Storia di un lombardo che vorrebbe tornare a vivere sapendo se è positivo/3. La Lombardia è ancora un lazzaretto, ma Fontana si vanta: “Abbiamo contenuto bene il contagio”

4. “L’ospedale di Alzano ha ucciso mio marito: entrato per un controllo il 26 febbraio, ne è uscito morto. E a me ancora non hanno fatto un tampone”/5. Casi simil-Covid: “Rilevati pazienti con pochi sintomi, tamponi negativi e polmoniti interstiziali in corso”

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