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Smettetela di linciare Pietro Genovese, non c’è sempre bisogno di un carnefice: in questa storia ci sono solo vittime

Immagine di copertina

Per l'incidente a Roma stiamo linciando Pietro da giorni perché abbiamo sempre più bisogno di un colpevole da attaccare

Incidente Roma, basta linciare Pietro Genovese per una tragedia

Il primo punto è che da giorni stiamo linciando Pietro. Facciamo finta che non sia vero, ma è così. Ma provate a invertire i fattori. Invece da giorni stiamo linciando Pietro Genovese perché abbiamo sempre più bisogno di colpevoli, e di cliché, in questo tempo malato. Ma, ripeto, dovremmo invertire i fattori.

Siamo tutti affranti per Gaia e Camilla. E ci spiace per loro, e sono due splendide ragazze che emergono a sbalzo dai ritratti di queste ore, dai funerali, dai ricordi dei professori, come quello che erano: due ottime persone, vive, solari, felici.

> Il fatto è che mia figlia, a 16 anni, non può girare da sola per Roma all’una di notte (di Giulio Gambino)

Ma il punto non è questo. Il punto è che tutte le testimonianze dell’incidente a Roma dicono che Gaia e Camilla hanno attraversato Corso Francia e che lo hanno fatto sotto la pioggia. Lo hanno fatto, per di più, con il rosso.

Il punto è che una loro amica – nello stesso giorno de funerale – racconta addirittura a La Repubblica di aver attraversato anche lei fuori dalle strisce, di averlo fatto diverse volte, di averlo visto fare a loro, e addirittura dice che lo facevano in tanti: “E forse lo so che è stupido. Ma é divertente”.

Dovremmo invertire i fattori. E i testimoni che erano lì, quella sera, aggiungono che Gaia e Camilla sono saltate fuori all’improvviso, e che era molto difficile evitarle.

Così, dovremmo avere il coraggio di dire con più chiarezza che per mantenere il diritto a piangere queste due ragazze, e a maledire il cielo, non abbiamo necessariamente bisogno di un colpevole. Ma dicono: “Gli avevano ritirato la patente!”. E allora? Se poi gliela avevano restituita significa che in quel momento aveva diritto a guidare quanto voi e me.

Provate a invertire i fattori, invece, per capire meglio.

Incidente a Roma, Pietro è il capro espiatorio perfetto

Ma il punto è che Pietro Genovese pare perfetto per il ruolo del colpevole. Non poteva evitarle, loro due non avrebbero dovuto essere lì e attraversare in quel momento, ma lui è un capro espiatorio ideale. Per di più, avendola chiesta a gran voce, adesso abbiamo una legge che serve a questo: a trovare colpevoli, ad alzare i livelli di responsabilità, a spolverare la parola “omicidio” e a farla luccicare nel caos.

E poi abbiamo anche un sistema mediatico che pare perfetto per cristallizzare cliché trovare capri espiatori. Dovremmo invertire i fattori, ma non lo facciamo.

Così se hai una legge che rende tutti potenziali omicidi stradali, se abbiamo un apparato mediatico che segue le tendenze dei social (o – peggio – cerca di prevenirle), se infine abbiamo dei social che cercano un capro espiatorio e hanno bisogno di un colpevole, il gioco è fatto. Invece di onorare due vittime salvando un ragazzo dalla dannazione, ci illudiamo di vendicare le vittime trovando un colpevole e sbranandolo in pubblica piazza. La catarsi pubblica del lutto che si celebra, in queste ore, sul corpo di Pietro.

Il lavacro collettivo che si celebra dando la caccia al mostro. Se hai bevuto una birra e sei grasso- come capita a me – non risulti positivo al test etilometrico. Quindi sei sobrio. Ma se hai bevuto un bicchiere di vino e sei magro, per questa legge, sei tecnicamente “un ubriaco”. Tuttavia, finché capita ad un altro che cosa ce ne frega?

“Il drogato”, “il figlio del regista”, il “ma “perché mai gli hanno comprato un suv” sembra perfetto per la parte che serve. Tutto torna, e dunque “a morte #pietrogenovese”.

Ma provate per un attimo a immaginare il contrario: che fossero state le due splendide ragazze al volante, magari a bordo di una simpatica Panda, e che invece fosse stato “il drogato”, “ricco”, “il figlio del regista” ad attraversare con il rosso e ad essere falciato. Oh, come saremmo accondiscendenti e pacificati, in questo caso.

Incidente Corso Francia: un dibattito polarizzato

Come ci batteremo in questa eroica guerra di tweet, animati da furore leonino! Adesso avremmo già sui giornali le immagini delle due ragazze innocenti che piangono e si abbracciano uscendo dal commissariato dopo un interrogatorio, adesso sì che saremmo autenticamente e sinceramente commossi, e i giornali anziché titolare sul “drogato”, o “assassino”, scriverebbero “è stata una tragedia”. Mentre invece di lui, direbbero, anche da morto: “forse aveva bevuto”, “non era abbastanza lucido da vedere il semaforo”, “ha commesso un errore fatale”.

Ecco, basta questo: non c’è bisogno di immaginare altro, mettete fine all’esercizio mentale. Anche a parti invertite il risultato non cambia. Non c’è davvero nessun “assassino”, “drogato”, “figlio di regista”, o possessore indebito “di suv” da appendere al palo. Il trenta per cento degli italiani comprano macchine alla moda che per semplicità vengono definite “suv”.

L’80 per cento degli italiani bevono un bicchiere di prosecco, quanto basta per essere definiti “tecnicamente ubriachi”. Quasi tutto questi ubriachi inconsapevoli guidano tornando a casa.

Non per questo Gaia e Camilla non devono essere vendicate con l’aggiornamento social della legge del Taglione.

In qualsiasi modo la rigiri, questa storia, è storta: ma non deve diventare un orco che va sfamato con un sacrificio umano.

È stata una tragedia. Passare con il rosso e andare veloce. Aver bevuto un bicchiere. Essersi fatti una canna, forse. Anche se non quella sera. Essere figli di un regista o di un impiegato, guidare un suv o una panda. È stata lo stesso una tragedia, non un delitto. Non ci sono assassini, stavolta. Solo vittime.

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