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Covid, in Italia più contagi e meno ricoveri: ecco cosa rivela il confronto tra i dati di oggi e quelli di marzo

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Covid, più contagi e meno ricoveri: il confronto tra i dati di oggi e quelli di marzo

L’Italia è in piena seconda ondata di Covid, ma cosa dicono i dati di oggi se paragonati a quelli di marzo? Che la situazione è ben diversa da quella che ha portato il nostro Paese al lockdown. Solo per quanto riguarda i tamponi, tanto per citare un dato, i numeri parlano chiaro: a marzo, infatti, venivano realizzati 20-30mila tamponi al giorno, mentre oggi il nostro Paese riesce a testare mediamente 120mila-130mila persone (nella giornata di giovedì 15 ottobre è stata raggiunta la cifra record di 162.932 tamponi). Il fatto che i numeri siano diversi, però, non significa che la situazione sia da sottovalutare, anzi. Nel dettaglio, ecco cosa emerge dal confronto tra i dati di oggi e quelli di marzo.

Aumento dei positivi e numero dei tamponi

Come sottolinea il Corriere della Sera, il primo dato che emerge è l’aumento dei nuovi contagi giornalieri. Il 21 marzo, uno dei giorni più drammatici dell’epidemia di Covid in Italia, sono stati registrati 6.557, nell’ultimo bollettino della Protezione Civile, datato 15 ottobre, invece, sono emersi 8.804 nuovi casi. Il caso è ovviamente influenzato dal numero di tamponi effettuato. Il 21 marzo, infatti, i tamponi furono 26mila, il 15 ottobre sono stati più di 163mila. Altra differenza sostanziale è sul tasso di positività, ovvero la percentuale di tamponi che risulta positiva rispetto a quelli realizzati. A marzo era del 25%, ora è del 5,4%. Il motivo? Nella prima ondata venivano testati solo i sintomatici, ora sono sopratutto gli asintomatici a essere “scovati”. Se il tasso è basso significa che il virus circola di mano, ma è ovvio che il dato è anche influenzato da come e a chi vengono fatti i tamponi.

L’indice di contagio

Nel corso della prima ondata, l’indice Rt, ovvero la misura con cui si calcola il tasso di contagiosità, era al centro dell’attenzione, mentre oggi sembra aver perso di importanza. A spiegare il perché è il presidente della società di virologia Giorgio Palù: “In questa fase conta poco. Perché è relativo a sintomatici e ricoverati, mentre il grosso ora è costituito dagli asintomatici. Quello che conta è l’indice di riproduzione virale. Bisogna capire se il virus si sta riproducendo con un andamento lineare o esponenziale. E in questo momento è esponenziale”.

Ricoveri ospedalieri e terapie intensive

Nonostante il costante aumento dei tamponi effettuati, non avremo mai una fotografia precisa dei contagi. Vi saranno, infatti, sempre dei casi asintomatici che sfuggiranno alla rete di controllo. L’unica certezza, dunque, è rappresentata dal numero di ricoveri ospedalieri. Quelli ordinari attualmente sono 5.796, mentre il 21 marzo erano 17.708 (ma si è arrivati anche a 30mila), mentre per quanto riguarda le terapie intensive, il 21 marzo erano di 2.857 unità, mentre i dati di ieri parlano di 586 posti occupati, un quinto. Questo non significa che il virus sia meno buono, ma semplicemente che lo sappiamo intercettare e affrontare meglio rispetto alla prima ondata, quando eravamo completamente impreparati. “Abbiamo imparato a capire i sintomi e usiamo meglio i farmaci per impedire che il paziente vada in rianimazione – spiega sempre Palù – Il virus cresce meglio in uno stato di infiammazione. Ora interveniamo con il Remdesivir e l’eparina in fase precoce e con il cortisone in fase avanzata. Dopo sei mesi abbiamo anche capito che i farmaci anti-Hiv non funzionano con il Covid”.

Numero dei decessi e letalità

Anche il numero dei decessi cala, nonostante il brusco raddoppio registrato il 15 marzo. Ieri, infatti, sono stati conteggiati 83 morti, il 21 marzo 793. Il motivo? Lo stesso della diminuzione dei ricoveri in terapia intensiva. Abbiamo imparato ad affrontare meglio la malattia e inoltre è cambiata la fascia di popolazione più colpita dal virus. A dimostrazione di ciò vi è l’età media calcolata degli attualmente positivi, che si aggira intorno ai 42 anni. All’inizio dell’epidemia era sui 65 anni, mentre nel corso dell’estate era scesa sui 29 anni. Più giovani sono contagiati e ovviamente più il tasso di letalità si abbassa.

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