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Sea Watch, la capitana Carola: “Temevo suicidi a bordo. La mia non è stata violenza”, Gdf: “Potevamo morire”

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Carola Rackete Guardia di Finanza | “Erano iniziati atti di autolesionismo tra i migranti. Temevo si arrivasse ai suicidi”. Sono le parole di Carola Rackete, che parla attraverso i suoi legali nei diversi colloqui di questi giorni.

S&D

“Non è stato un atto di violenza. Solo di disobbedienza. Ma ho sbagliato la manovra”, ha detto la capitana della Sea Watch, che si trova ai domiciliari e non può rilasciare dichiarazioni, se non attraverso gli avvocati.

Rackete ricostruisce i motivi della sua decisione di forzare il blocco e la dinamica dell’urto con la motovedetta della Guardia di Finanza.

“La situazione era disperata”, fa sapere la capitana tedesca. “E il mio obiettivo era solo quello di portare a terra persone stremate e ridotte alla disperazione. Avevo paura, da giorni facevamo i turni, anche di notte, per paura che qualcuno si potesse gettare in mare. E per loro, che non sanno nuotare, significa: suicidio. Temevo il peggio”.

“Mai, mai, mai nessuno deve pensare che io abbia voluto speronare la motovedetta della Finanza”, “ho compiuto un errore di valutazione nell’avvicinamento alla banchina. Non potevo continuare a rischiare che andassero avanti gli atti autolesionistici. Però ho tentato di avvertire”, spiega, “ho chiamato più volte il porto, ma nessuno parlava inglese. Però ho comunicato che noi stavamo arrivando”, ha detto Carola Rackete.

Intanto, sempre al Corriere della Sera, cinque uomini della Guardia di Finanza che erano a bordo della motovedetta, raccontano: “Abbiamo solo intimato l’alt. È il comandante che, deliberatamente, non ha fermato la nave e ci è venuto addosso”, hanno detto.

“Se non fossimo riusciti a compiere una manovra veloce probabilmente saremmo morti. I parabordi hanno causato una sorta di movimento elastico e hanno per un attimo allontanato la nave. Con una mossa rapidissima siamo riusciti a sfruttare quell’istante e a sfuggire via prima che il rimbalzo tornasse indietro, perché a quel punto la Sea Watch avrebbe distrutto la motovedetta e noi saremo rimasti tutti schiacciati”, hanno detto.

“Noi siamo uomini dello Stato e abbiamo il dovere di far rispettare le leggi”. Anche a costo di compiere grandi sacrifici: “Abbiamo passato tre giorni a bordo senza dormire un attimo per contrastare i tentativi di avvicinamento. E abbiamo agito nel profondo rispetto di tutte le norme. Senza preoccuparci di mettere a repentaglio la nostra vita”.

“Ci siamo messi a protezione della banchina. Il nostro compito è non far attraccare le navi prive di autorizzazione e la Sea Watch si è avvicinata manovrando con le eliche di prua, spinta dal vento. Da bordo ci hanno detto “spostatevi” e nient’altro, il comandante non ha fatto nulla per evitarci”.

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