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Guerra in Libia: perché si combatte, chi sta con chi e come siamo arrivati fin qui

Immagine di copertina
Credit: Abdullah DOMA / AFP

Il 3 aprile scorso il generale libico Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, ha iniziato l’avanzata verso Tripoli. La capitale libica è la sede del governo di Fayez al Serraj riconosciuto dalla comunità internazionale, e che Haftar vuole rovesciare per “liberare Tripoli dal terrorismo”. I combattimenti non accennano a smettere, nonostante i numerosi appelli internazionali.

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“Il generale Haftar ha attaccato la città di Tripoli senza giustificazioni. Ha semplicemente dichiarato che il governo di Tripoli è nemico della Libia e ha avviato le operazioni militari. Difficile immaginare un’aggressione più smaccata”, scrive Alessandro Orsini sul Messaggero.

Dall’inizio della guerra, ci sono almeno 147 morti, 614 feriti, e 13mila sfollati, come riferiscono l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (Ocha) e l’Organizzazione mondiale della Sanità.

L’esercito governativo che fa capo a Serraj ha risposto all’offensiva di Haftar, con bombardamenti aerei e razzi.

Sono ormai 11 giorni che i combattimenti vanno avanti. “La guerra lampo lanciata dal generale Haftar rischia di trasformarsi in una battaglia casa per casa a Tripoli, che potrebbe provocare un massacro e segnare il fallimento dei suoi piani”, scrive Di Feo su Repubblica.

Guerra in Libia | Chi è il generale Haftar

Tutti lo conoscono come generale Haftar, ma in realtà è un maresciallo. Solo un anno fa era stato dato per morto, ma era solo ricoverato a Parigi, probabilmente per un ictus.

Dopo alcune settimane in ospedale, a fine aprile 2018 era tornato in Libia.

Qui TPI ha fatto un profilo dettagliato di Khalifa Haftar e della sua lunga storia di potere nel paese nordafricano.

Guerra in Libia | Chi sta con Haftar e chi con Serraj

Haftar, che ha già il sostegno finanziario dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, sta cercando sponda a Mosca per avere un sostegno sul campo, con uomini addestrati.

Anche l’Egitto di al-Sisi ha dichiarato sostegno al militare della Cirenaica.

“Uno dei maggiori successi di Haftar è stato di avere diviso il fronte internazionale che appoggiava Serraj”, scrive il Post.

L’appoggio più controverso è quello della Francia. L’Eliseo non ha mai ammesso apertamente il suo appoggio ad Haftar.

La Francia è tra i paesi europei che, insieme all’Italia, ha numerosi interessi in Libia e questa contrapposizione ha più volte generato scontri diplomatici tra il Governo italiano e quello francese.

Lo scorso 10 aprile, la Francia aveva bloccato una risoluzione dell’Unione europea per chiedere al generale Haftar di fermare la sua offensiva su Tripoli. “Se la Francia gioca a fare la guerra non starò a guardare”, aveva detto Matteo Salvini.

Secondo quanto ha riferito il giorno successivo il quotidiano la Repubblica, una delegazione del maresciallo Haftar si è recata a Parigi, per parlare con Macron proprio dell’attacco contro Tripoli.

Dall’altra parte, Serraj e il suo governo stanno cercando di convincere gli Stati Uniti ad appoggiarli pubblicamente. “Per costruire un’alleanza che faccia pressione sugli Usa, oggi a Roma arriva il vicepresidente libico Ahmed Maitig. È il numero due del Consiglio presidenziale, vedrà Giuseppe Conte, il ministro degli Esteri Moavero e quello degli Interni Matteo Salvini, con cui ha un rapporto continuo”, scrive Vincenzo Nigro su Repubblica.

Maitig chiede all’Europa di non appoggiare Haftar: “Vende all’Europa, al mondo, l’idea che placherà il terrorismo. E invece porterà una guerra civile di 30 anni. State aprendo la strada a una mostruosità che produrrà una guerra civile tipo Siria, in faccia all’Italia”, ha detto in un’intervista a Repubblica.

Dopo la visita a Roma, Maitig si recherà in Germania e nel Regno Unito per ottenere il loro sostegno in funzione anti-Haftar.

Il governo di Serraj gode intanto dell’appoggio di Qatar e Turchia.

Guerra in Libia | Come siamo arrivati fin qui

La situazione in Libia è esplosiva ormai da anni. Il caos regna sovrano nel paese nordafricano dall’ottobre 2011, quando fu deposto Muammar Gheddafi. È apparso evidente fin da subito che la morte di Gheddafi aveva aperto la strada a una tragedia ben più grande del suo regime: l’anarchia. Una situazione di guerra di tutti contro tutti, di divisione tribale, di milizie armate contrapposte, che ha sfinito il paese.

Nel 21012 si tennero le prime elezioni dopo la caduta del regime di Gheddafi. A vincere fu la National Forces Alliance (Nfa), una forza liberale contrapposta ai Fratelli musulmani. Ad agosto di quell’anno veniva costituito il General National Congress (Gnc), in sostituzione del Consiglio Nazionale di Transizione, guidato dal Primo Ministro al-Thani.

Nel 2014 le milizie islamiste lanciarono un attacco all’aeroporto di Tripoli, strappandolo alle milizie vicine al partito di governo Nfa. A giugno di quell’anno Khalifa Haftar, lanciò la Operazione dignità per contrastare le milizie islamiste. Nel luglio 2014 si tennero delle nuove elezioni e gli islamisti furono sconfitti nuovamente. Questi risposero lanciando una controffensiva militare, denominata Alba Libica, per bloccare l’offensiva di Haftar.

Il nuovo parlamento si stabilì a Tobruk e riconfermò come primo ministro al-Thani. In Agosto Alba Libica creò un parlamento parallelo a Tripoli, composto dai dissidenti della Camera dei Rappresentanti di Tobruk e chiamato New General National Congress (NGNC).

Per superare le divisioni e il caos portato dalle guerre civili, nel 2016 a Tripoli si è insediato il governo di unità nazionale guidato dal premier Faiez Serraj.

Il primo ministro designato dalle Nazioni Unite ha ottenuto il sostegno della Comunità internazionale per condurre il paese a una pacificazione. Pacificazione che è ancora ben lontana, come dimostrano gli ultimi eventi che hanno fatto precipitare di nuovo il paese nella guerra civile.

Guerra in Libia | La vera posta in gioco: il petrolio

Da sempre il petrolio libico fa gola, non è un mistero. “Non è un caso che il numero uno della Noc, Mustafa Sanalla, abbia lanciato l’allarme al Financial Times, sostenendo che il Paese si trova a fronteggiare la più grande minaccia dal 2011, cioè dalla caduta di Gheddafi. Senza produzione, senza quelle entrate e senza l’elettricità il Paese sprofonderebbe nel baratro. E il prezzo internazionale del petrolio potrebbe subire contraccolpi al rialzo”, scrive Stefano Agnoli.

Per il momento l’estrazione del gas non sta subendo problemi dovuti ai combattimenti, che si stanno svolgendo lontani dai giacimenti.

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