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ESCLUSIVO TPI: “Senza cibo né acqua, pestati a sangue dai soldati”: la guerra in Libia vista dai migranti rinchiusi nei centri di detenzione

Immagine di copertina

“I rifugiati detenuti in Libia stanno subendo le più drammatiche conseguenze della guerra civile esplosa nel paese”.

È la denuncia a TPI di Giulia Tranchina, avvocato che, a Londra, si occupa di rifugiati per lo studio legale Wilson Solicitor.

Tranchina è in contatto con i migranti rinchiusi nei centri di detenzione libici e, da tempo, denuncia abusi e torture perpetrate ai loro danni.

L’esplosione della guerra ha reso le condizioni di vita delle migliaia di rifugiati presenti nei centri governativi ancora più disumane.

La gestione dei centri è stata bocciata anche dagli organismi internazionali in diversi rapporti, ignorati dai governi europei e anche da quello italiano, rapporti dove si evidenzia la violazione sistematica delle convenzioni internazionali, le condizioni sanitarie agghiaccianti e continue torture.

Qaser Bin Gashir

“Stiamo ricevendo appelli disperati dal centro di detenzione di Qaser Bin Gashir in una zona dove gli scontri sono molto intensi, da venerdì le forze di Haftar hanno conquistato l’area e sono da giorni senza cibo né acqua.

La situazione è tragica e non riescono a ricevere aiuti. Ci sono bambini, donne in gravidanza, sono più di 600 persone, di questi i minori sono oltre un centinaio. Sono sotto minaccia di trasferimento in un altro centro, a Zintan, dove ogni settimana muoiono persone di tubercolosi”.

Nei giorni scorsi i ragazzi hanno supplicato i militari di Haftar di portare cibo e quando sono usciti, due giorni fa, sono stati pestati a sangue dai soldati e si trovano ora senza trattamento medico. Proprio da Zintan mi scrive un rifugiato, l’ultimo messaggio whatsapp che mi ha inviato è il seguente: “Stiamo soffrendo a causa della guerra. Le guardie sono scappate, e ci hanno lasciati in questa prigione. Non abbiamo cibo né acqua, aiutateci, abbiamo bisogno dell’intervento dell’Unhcr”.

Ain Zara

“L’area di Ain Zara è stata coinvolta dagli scontri. Sono stati evacuati – racconta Tranchina – un centinaio di rifugiati, altri 120 sono stati trasferiti in un centro a Tripoli dove non mangiano da giorni. Rifugiati stanno soffrendo conseguenze inenarrabili, sono ridotti alla fame, vittime di tortura. Una situazione vergognosa per l’Europa”. Proprio ad Ain Zara era ospitato Awet (foto sotto).

Il bambino ha 11 anni ed è eritreo. È in Libia da quasi due anni, è solo.

“È stato un anno nelle mani dei trafficanti, venduto, torturato, ora era – continua Tranchina – da qualche settimana a Ain Zara. Ora è stato trasferito a Sabaa, centro di detenzione a Tripoli, dove non ha ricevuto cibo fino a oggi, ma sono riuscita ad avvertire Medici senza Frontiere”.

Dopo diversi tentativi Msf è riuscita a portare cibo ed assistenza così come in altri centri dove riesce ad entrare, ma la situazione resta gravissima in molti luoghi di detenzione. Dalle grate dei centri si vedono le immagini della guerra e i migranti, detenuti senza motivo, ora vedono il conflitto imprigionati senza cure ed assistenza.

E pensare che pochi giorni fa il nostro ministro dell’Interno Matteo Salvini diceva della Libia: “È un porto sicuro”.

Tarek al Sika

In questo centro protestano donne e bambini come mostra questo video esclusivo che TPI pubblica.

“Chiedono aiuto – conclude Tranchina – per gli eritrei detenuti e torturati a fine febbraio. È il quartier generale del Dcim, autorità libica che si occupa di immigrazione illegale”.

Torture, sofferenze, assenza di cibo e difficoltà di accesso da parte delle autorità internazionale, come l’Unhcr. La Libia non è mai stato un porto sicuro e i respingimenti, voluti dall’Italia, nel silenzio dell’Europa, riporta in questo inferno migliaia di disperati, colpevoli solo di sognare un futuro.

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