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L’attrice Antonella Carone a TPI: “Mi piace il ruolo della ‘cattiva’: è la benzina della narrazione”

Immagine di copertina
Antonella Carone nel ruolo di Carmela in un fotogramma del film “Malumore”. Per gentile concessione della produzione

Nota per il ruolo di Perfidia nella saga dei “Me contro te”, l’artista pugliese interpreta l’ambiziosa moglie di un capoclan nel nuovo film di Francesca Schirru “Malamore”, nelle sale dall’8 maggio.“Mi piace interpretare questo tipo di personaggi e più sono lontani da me, più provo gusto”, spiega a TPI

Ha uno sguardo dolce, incorniciato da lunghi capelli neri e da una pelle di porcellana eppure Antonella Carone, 37 anni, attrice diplomata alla libera Università di Alcatraz fondata da Franca Rame e Dario Fo, è diventata nota al pubblico per i suoi ruoli di “villain”: da Perfidia, nella saga dei “Me contro te”, fino al ruolo dell’ambiziosa moglie di un capoclan in “Malamore”, film crime ambientato in Puglia, diretto da Francesca Schirru e nelle sale dall’8 maggio con 01 Distribution.
«Interpreto Carmela, una donna fredda e ambiziosa, che si sostituisce al marito Nunzio (interpretato da Simone Susinna), capo di una organizzazione criminale, rinchiuso in carcere», racconta l’attrice pugliese a TPI. «Il film è un melo-crime di genere, in cui l’elemento sentimentale è molto presente. Infatti, più che raccontare l’aspetto criminale si mette il punto sul rapporto con il marito e su questa maternità che lei cerca in maniera spasmodica, ma che fatica ad arrivare, nonostante Carmela riesca tramite un sistema di corruzione ad entrare in carcere e ad avere rapporti frequenti con il marito».

Si narra un mondo decisamente patriarcale.
«Assolutamente. All’inizio Carmela crede davvero di poter avere un ruolo importante, decisionale e indipendente dal marito. Però pian piano che la storia va avanti, viene accantonata, non solo come boss ma anche come moglie, per la pressione da parte della famiglia del marito, di avere un erede che non arriva. C’è una scena in cui Carmela e Nunzio, fantasticano sull’idea di avere un figlio ma in nessun modo c’è la possibilità che possa nascere una femmina. Lei è messa in discussione anche quando scopre il tradimento del marito. Ci sono delle dinamiche di amore tossico che permea tutti i rapporti e porterà a un epilogo piuttosto drammatico».

Fin dal suo esordio ha interpretato personaggi oscuri, cattivi, nonostante il suo aspetto per cui la si immagina più nel ruolo di Biancaneve che in quella della matrigna. Come mai?
«Mi piace interpretare questo tipo di personaggi e più sono lontani da me, più provo gusto. Il lavoro sul personaggio di un “villain” è molto più interessante, perché di solito sono il motore di una storia. Il cattivo è la benzina della narrazione. Nel costruire questi personaggi gioco con il mio aspetto dolce perché il male è ambiguo, non è riconoscibile e spesso si nasconde dietro qualcosa di insospettabile».

Ha interpretato sette film in cinque anni nel ruolo di Perfidia nella saga di successo dei “Me contro Te”, inventata dagli youtuber Lui e Sofi. Non ha avuto paura di restare incastrata in questo ruolo e in film del tutto ignorati dal mondo del giornalismo cinematografico?
«Lo snobismo e la freddezza nei confronti di questi film, non solo l’ho avvertita ma l’ho anche sofferta. Avevo paura di rimanere inglobata in questo personaggio senza riuscire più ad uscirne. A un certo punto ho superato questa impasse dicendo a me stessa che dovevo essere grata al regista Gianluca Leuzzi che mi ha offerto di interpretare il ruolo di Perfidia. Per la prima volta sono arrivata al cinema con un ruolo da co-protagonista, ho fatto veramente tanta esperienza, perché girare sette film in cinque anni ti fa acquisire una dimestichezza con il set e la camera da presa, che è molto preziosa. In più ho avuto l’opportunità di creare da zero questo personaggio, disegnandola come una cattiva fallibile ed empatica, un po’ come Willy il Coyote. Questa è una cosa impagabile. Di solito un personaggio ha già la sua biografia, l’aspetto psicologico, sai da dove viene, quali sono le sue caratteristiche, in questo caso mi sono creata da sola la biografia di Perfidia. Consapevole di questo, ho superato ogni paura».

Com’è nata la sua passione?
«Fin da piccola mi piaceva esibirmi. Il sabato sera vedevo “Il Bagaglino” in televisione con i miei genitori e imitavo Oreste Lionello che faceva Andreotti. Inforcavo gli occhiali di mio padre, un vecchio cappotto e tutti ridevano. Soprattutto mi piaceva vedere le persone che si divertivano ed erano felici. La consapevolezza è arrivata quando alle scuole medie ebbi la possibilità di partecipare a un corso di recitazione portato avanti da professionisti, dove oltre alla recitazione, si insegnavano fonetica e dizione. Ci sono entrata con tutta me stessa e ho scoperto un mondo che mi ha travolto e che non ho più lasciato».

Ha portato in teatro un monologo, “88 Frequenze”, raccontando la storia di Hedy Lamarr, diva degli anni Trenta, bellissima bionda, che proprio per questo non veniva presa in considerazione come donna intelligente.
«Non è una biografia perché il nucleo dello spettacolo è la credibilità. Ognuno di noi almeno una volta nella vita ha trovato faticoso, estremamente difficile e sfiancante dimostrare di essere molto altro rispetto a come ci percepiscono. Per tutta la sua vita Hedy Lamarr è stata la bella bionda che ha fatto il primo nudo della storia del cinema e per questo non è mai stata presa sul serio. Questo spettacolo invece vuole affermare la possibilità di poter essere tante cose. Hedy Lamarr non era solo un’attrice, aveva studiato ingegneria a Vienna, dov’era nata e cresciuta, fino a quando non si era trasferita in America, per diventare un’attrice di successo. Soffriva la lontananza dall’Europa, era preoccupata per la guerra e così le venne in mente di mettere a punto un sistema per far sì che i siluri della Marina statunitense, che viaggiavano su un’unica frequenza, non venissero intercettati. Inventò un sistema di frequenze diverse, come una melodia, che proseguiva a salti, difficile da intercettare. Un’intuizione geniale, che anticipava il wi-fi e che divenne realtà grazie all’amico compositore George Antheil. I due si presentarono all’ufficio brevetti nel 1941 ma per diffidenza nei confronti della star di Hollywood, la richiesta fu completamente dimenticata fino alla scadenza. Le dissero di fare l’attrice e di prodigarsi per tirare su il morale dei soldati».

Per questo la fine del monologo lo descrive come un urlo?
«Certo, perché come Lamarr spesso abbozziamo. Lasciamo correre. E invece dobbiamo smetterla di prestare il fianco a questi pregiudizi e di lasciarci togliere ogni possibilità di essere tutto quello che vogliamo. Farci rinchiudere in uno schema, senza ribellarci, senza rivelare tutta la nostra complessità, che è meravigliosa».

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