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Sperimentazioni su macachi, l’animalista in sciopero della fame a Parma: “Lotto contro il business della vivisezione”

 

 

Le associazioni animaliste sono sul piede di guerra per un progetto di ricerca su sei macachi messo in agenda dalle università di Parma e Torino. La Lav (Lega anti-vivisezione) ha lanciato una petizione online che ha già raccolto oltre 200mila firme e negli ultimi giorni l’attivista Tony Curcio, presidente dell’Avi (Associazione vegani italiani), ha iniziato uno sciopero della fame a oltranza, con annesso presidio permanente in piazza Garibaldi, nel cuore del centro storico.

“Questi sei macachi verranno resi ciechi, maltrattati, tenuti in gabbia per cinque anni e poi, quando non serviranno più, verranno soppressi. Voglio fermare questo abominio”, spiega a TPI, avvertendo che non mangerà “finché l’esperimento sarà bloccato”.

Il progetto di ricerca, che ha ottenuto un finanziamento di 2 milioni di euro, è promosso dal dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, in collaborazione con l’ateneo di Parma: le sperimentazioni partiranno a ottobre, ma i macachi sono già ospitati nei laboratori parmigiani.

Lo studio, intitolato “Lightup-Turning the cortically blind brain to see”, ha ad oggetto il blindsight, disturbo neuropsicologico che consiste nella perdita della vista non a causa di un danno all’occhio ma per un trauma cerebrale.

I macachi saranno sottoposti a un intervento chirurgico: secondo gli animalisti, questa operazione li renderà ciechi, ma l’Università di Torino smentisce.

L’ateneo piemontese ha risposto alla Lav con un fact checking in cui si sottolinea che nei primati sarà prodotta una “macchia cieca, circoscritta ad una zona di pochi gradi del loro campo visivo e limitata a un solo lato”, tale per cui “l’animale resterà in grado di vedere e spostarsi normalmente nell’ambiente”.

“È un modo per ‘indorare la pillola’ e rendere la descrizione della procedura meno impattante sulla sensibilità delle persone, giustamente scandalizzate”, replicano dalla Lav.

“E poi il cervello dei macachi è diverso dal nostro: quello umani ha due emisferi, quello dei macachi uno”, sottolinea Curcio, ausiliario al Pronto soccorso di Vercelli. “Il fatto è che le sperimentazioni sugli animali costano meno di quelle sugli umani”.

Secondo l’attivista, dietro al progetto di ricerca si nasconde in realtà un business economico: “La vivisezione – attacca – è solo un affare per quei falsi scienziati, che, attraverso questi esperimenti a basso costo sui macachi, mettono a curriculum pubblicazioni con cui acquistano prestigio”.

Curcio cita poi i dati di alcune associazioni come Ricer Care secondo cui nel 90 per cento dei casi gli esperimenti su animali falliscono il loro obiettivo. Ma anche su questo tema, sollevato pure dalla Lav, l’Università di Torino ribatte con il fact-checking: “Il dato non compare in nessuna pubblicazione scientifica e viene spesso frainteso”, si legge nella replica dell’ateneo.

Tra i punti più controversi c’è infine il livello di sofferenza inflitto ai primati: oltre all’accusa di cecità procurata, gli animalisti parlando di maltrattamenti e di animali che saranno tenuti in gabbia per cinque anni, per poi essere soppressi.

Nel documento di sintesi “non tecnico” che accompagna il progetto di studio c’è scritto che “si ritiene cautelativamente opportuno stimare il livello di sofferenza atteso come grave”.

Dall’Università di Torino, peraltro, precisano che “questo non significa che si faccia soffrire l’animale”. Inoltre, il senso del termine “cautelativo”, aggiunge l’ateneo piemontese, “è quello di indicare l’assunzione di responsabilità e consapevolezza del proponente riguardo ciò che potenzialmente potrebbe accadere di imprevisto e indesiderato, come nei casi di chirurgie analoghe sull’uomo”.

L’Università di Parma, da parte sua, in una deliberazione unanime del Senato accademico, afferma di riconoscere “il valore e la validità della sperimentazione su modelli animali, quando questa si configuri come l’unico mezzo possibile per poter rispondere ad importanti domande di tipo scientifico o clinico”.

“Fare riferimento a pratiche di vivisezione  – prosegue la nota – è falso e offensivo nei confronti dei ricercatori e delle Istituzioni preposte a giudicare e vigilare sulla piena conformità dei progetti di ricerca alle vigenti norme che tutelano il benessere degli animali”.

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