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Roma, i rifugiati sudanesi di via Scorticabove in presidio permanente: “Ecco perché rifiutiamo l’offerta del comune”

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La comunità sudanese ha presentato una proposta all'assessora Baldassarre: l'assegnazione di un bene pubblico inutilizzato con una sperimentazione di rigenerazione urbana e co-housing

Dopo lo sgombero del 5 luglio scorso (che abbiamo raccontato qui), i rifugiati sudanesi di via Scorticabove, nel quartiere Tiburtino di Roma, hanno incontrato per la seconda volta l’assessora alle politiche sociali del Comune di Roma, Laura Baldassarre, in un tavolo istituzionale tenutosi lunedì 23 luglio.

Dal giorno dello sgombero – in realtà uno sfratto nei confronti della cooperativa che gestiva il centro fino a qualche anno fa, poi coinvolta in Mafia Capitale – i rifugiati hanno installato un presidio permanente in via Scorticabove, resistendo sotto il sole e l’acqua per chiedere una soluzione dignitosa e definitiva alla loro situazione (qui la lettera in cui ripercorrono la storia della loro comunità).

Nel corso del nuovo tavolo istituzionale, la comunità sudanese ha rifiutato l’offerta del comune, che proponeva di collocarli in istituti temporanei di accoglienza per toglierli dalla strada.

“Siamo arrivati a questo secondo appuntamento del tavolo istituzionale riaffermando quelle che sono le nostre tre rivendicazioni fondamentali”, si legge nel resoconto dell’incontro pubblicato dall’associazione Alterego – Fabbrica dei diritti. “Non si può risolvere la nostra situazione attraverso la “risposta emergenziale” dei centri istituzionali temporanei; non si può più parlare di “accoglienza”, trovandoci in Italia da ben 15 anni; deve essere riconosciuto il fondamentale ruolo sociale che la nostra comunità ha svolto in questi anni”.

“Per questo abbiamo nuovamente rifiutato l’unica proposta che la Giunta capitolina ha messo in campo rispetto alla nostra situazione, ossia offrire temporaneamente un posto alloggio presso i centri istituzionali. Proposta che non tiene conto di un percorso di autonomia da noi faticosamente messo in campo ed attuato non tramite l’aiuto delle istituzioni ma completamente realizzato da noi stessi”, prosegue la nota.

I rifugiati hanno ricordato all’assessora Baldassarre di aver vissuto sulla propria pelle quella che definiscono “mala-accoglienza“.

La cooperativa cui era stata data in gestione l’accoglienza nell’immobile di via Scorticabove, infatti, non ha mai attuato i servizi che avrebbe dovuto predisporre, come la scuola di italiano e il supporto nella ricerca di lavoro. La cooperativa, inoltre, non ha neanche provveduto al pagamento delle utenze e dell’affitto, abbandonando di fatto i rifugiati a loro stessi.

“Dopo l’abbandono dell’immobile da parte della cooperativa, abbiamo dato vita ad un percorso di autogestione, creando un fondo comune per pagare le utenze e per garantire il soddisfacimento dei bisogni primari di chi, tra noi, si trovava in difficoltà; prestando servizi di assistenza ed orientamento per i richiedenti asilo appena arrivati in città”, scrivono i rifugiati.

“Abbiamo fatto tutto questo solo attraverso la forza della nostra comunità”, si legge nella nota, “Noi, dunque, non eravamo “fragili”, lo siamo diventati il 5 luglio a causa di uno sfratto che si è attuato per colpa di una cooperativa disonesta, lasciata operare nel completo silenzio delle istituzioni competenti”.

I rifugiati sostengono che l’assessora Baldassarre era a conoscenza dello sfratto, avendo effettuato un censimento nell’immobile di via Scorticabove nel febbraio 2018, ma non avendo predisposto una collaborazione con gli inquilini e una soluzione diversa da quella “emergenziale” da proporre loro.

“Nell’incontro del 23 luglio abbiamo dimostrato all’assessora Baldassarre che vi è la possibilità di adottare una soluzione che mantenga unita la nostra comunità, preservando l’importante lavoro sociale da noi svolto in questi anni”, si legge nel resoconto.

“Si tratta di una proposta che potrebbe vedere l’assegnazione alla nostra comunità di un bene pubblico inutilizzato, per avviare una sperimentazione di rigenerazione urbana e di co-hounsing”.

“Si tratta di una proposta che abbiamo presentato all’assessora Baldassare, corredata da normativa di riferimento (legge regionale n.7/2017 sulla rigenerazione urbana); da valutazioni sulla sostenibilità finanziaria (fondo sociale europeo; pon metropolitano; fami); dalla richiesta di effettuare un appello ai municipi per la ricognizione dei beni pubblici dismessi esistenti, con l’individuazione altresì di una struttura -“Tenuta del Cavaliere”- su cui effettuare una immediata verifica della disponibilità”.

“L’assessora si è dimostrata ben propensa a vagliare la proposta di assegnazione di un bene da noi effettuata, rimandando tuttavia la possibilità di avviare una co-progettazione sul co-housing ad una richiesta di parere da parte dell’Avvocatura di Stato. Questione che ci preoccupa rispetto ai tempi di rilascio del suddetto parere, constatando inoltre che la normativa regionale di riferimento non pone limiti rispetto alla possibilità di una co-progettazione, che rientra tra gli strumenti giuridici di cui un’amministrazione può e deve servirsi”.

Il prossimo tavolo istituzionale con l’assessora è per lunedì 6 agosto. Nel frattempo la comunità sudanese rimane per strada e non ha ricevuto rassicurazioni sulla possibilità di uno sgombero.

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