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I nomi della mafia a Roma, ecco i clan attivi nella Capitale

Immagine di copertina

I gruppi criminali dall'ultimo rapporto del Ministero dell'Interno sull'operato della Dia

Mafia a Roma, ecco i nomi dei clan attivi nella Capitale e nella provincia

I nomi dei clan della mafia attivi a Roma e nella sua provincia. È un lungo elenco che spunta dall’ultimo rapporto della Direzione investigativa antimafia, l’organismo interforze inquadrato nel Ministero dell’Interno che ha come obiettivo il contrasto alla grande criminalità organizzata. Oggi, venerdì 19 luglio, a Roma è stata presentata la relazione del Viminale al Parlamento su attività e risultati conseguiti dalla Dia, relativa al secondo semestre del 2018, che conferma la capacità pervasiva dei gruppi malavitosi nel tessuto socio economico romano. Gruppi locali, ma anche di ‘ndrangheta, camorra, famiglie di Cosa Nostra, stranieri.

Mafia a Roma, le caratteristiche

La Dia chiarisce innanzitutto che sul territorio di Roma “sussistono cointeressenze tra le molteplici organizzazioni criminali comuni, comprese quelle che agiscono con il metodo mafioso”. “Soprattutto nella Capitale – si legge nel rapporto del Ministero – risultano, da tempo, operativi sia aggregati criminali di matrice locale, che proiezioni di gruppi mafiosi calabresi, campani e siciliani, perfettamente in grado di gestire qualsiasi tipo di illecito, rispettando le caratteristiche delle omologhe compagini delinquenziali operanti nei territori di elezione”.

Le attività della criminalità a Roma e provincia vengono svolte con metodi perlopiù inavvertibili. Tra gli elementi comuni ai diversi gruppi malavitosi viene infatti indicata la “strategia di ridurre progressivamente le componenti violente e militari”, che è un modo per fare spazio proprio alla “promozione di proficue relazioni finalizzate ad un’infiltrazione silente nel territorio”. Non si spara, ma si fa business. E tanto.

Nella Capitale la grande criminalità, viene spiegato, ha la “tendenza a svolgere affari mediate il ricorso a prestanome e società fittiziamente intestate”, ed è una tendenza che “ha inquinato parte del settore economico” anche “con acquisizioni indebite di appalti e finanziamenti pubblici”. Tuttavia, non vengono tralasciate attività tipiche della mafia: il traffico e lo spaccio di droga restano per i molteplici gruppi criminali gli affari illeciti più redditizi.

Lo aveva detto anche il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma, pochi mesi fa, all’inaugurazione dell’anno giudiziario: a Roma “si affermano forme complesse di investimento delle ricchezze mafiose” e “famiglie di camorra e cosche di ‘ndrangheta vi stanno esportando interi affari, delocalizzando e più spesso replicandovi attività”, come la commercializzazione degli stupefacenti ma anche la gestione delle sale gioco e delle slot machine.

I nomi dei clan della mafia romana

I nomi più noti della mafia sono ovviamente quelli legati ai casi che più hanno fatto discutere. Come Mafia Capitale. Il gruppo Buzzi-Carminati si era avvalso di metodi intimidatori e metodi corruttivi per infiltrarsi in alcuni importanti settori della struttura amministrativa del Comune, arrivando anche a condizionarne le scelte. Il sodalizio ha rappresentato un'”evoluzione della criminalità romana tradizionale”, perché dal punto di vista giuridico viene assimilata alle mafie classiche (nelle aule di tribunale è stato riconosciuto il modello strutturale ed organizzativo proprio dell’associazione di tipo mafioso). Ma la criminalità locale ha certamente anche altri volti. (aggiornamento del 23 ottobre: la Cassazione ha escluso per Mafia Capitale l’associazione mafiosa riconosciuta in Appello)

La realtà criminale in città e nel suo hinterland, spiega ancora il Ministero nel suo rapporto, è “particolarmente articolata e complessa”.

Un’eccezione nel modus operandi della mafia a Roma è rappresentata soprattutto dai gruppi autoctoni di origine rom e sinti, da tempo stanziali in città. Famiglie come i Casamonica, gli Spada, i Di Silvio, attivi in zone diverse, dalla Romanina a Ostia, a differenza di altre organizzazioni non hanno scelto una strategia dell’inabissamento, preferendo al contrario comportamenti violenti e intimidatori, come peraltro ampiamente dimostrato dai casi di cronaca.

C’è infine una criminalità comune, anch’essa spesso organizzata, piuttosto diffusa soprattutto in alcuni quartieri periferici, dove “insistono situazioni di degrado materiale, sociale e culturale” e dove “è più agevole il reperimento di manovalanza criminale”.

Elencando le operazioni antimafia che riguardano gli interessi di gruppi criminali di ‘ndrangheta, camorra, mafia siciliana o pugliese, il rapporto del Viminale ricorda ad esempio l’attività di pregiudicati napoletani affiliati al clan Mazzarella e imparentati con una donna a capo di un gruppo federato al clan Vollaro di Portici, in provincia di Napoli, che grazie a un’ingente disponibilità di capitali, prestavano denaro a imprenditori in difficoltà applicando tassi usurari.

Ma nello stesso periodo è poi emersa la presenza di due distinte associazioni criminali campane, con base a Roma e a Monterotondo, capeggiate da un pregiudicato contiguo al clan partenopeo degli Amato-Pagano e da uno collegato ai locali Cellamare, dedite alla gestione di sale giochi, bar e ristoranti con la finalità del riciclaggio del denaro sporco e l’intestazione fittizia di beni.

Le ‘ndrine

Il territorio di Roma e della sua provincia è dunque un enorme centro d’interesse dove la mafia tradizionale proietta le sue mire criminali e dove può verificarsi anche una convergenza tra organizzazioni di diversa matrice. Quest’ultimo aspetto è emerso ancora una volta con un’operazione che ha riguardato lo scorso anno usurai romani e la cosca della ‘ndrangheta Grande Aracri di Cutro, in provincia di Crotone.

Ma la cooperazione tra mafia di origine meridionale e mafia autoctona nella Capitale può verificarsi anche tra gruppi della camorra e della ‘ndrangheta: come accaduto con la pianificazione ed esecuzione di traffici illeciti del clan campano Senese e, insieme, della cosca reggina Rango-Zingari.

La lista dei sodalizi calabresi non è breve perché le ‘ndrine calabresi sono sempre risultate ben radicate nel tessuto economico di Roma. Negli ultimi tempi i Mancuso di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, sono risultati attivi nell’acquisizione di attività commerciali in cui reinvestivano i capitali di provenienza illecita. Gli Alvaro di Sonopoli, in provincia di Reggio Calabria, sono stati invece attivi nel riciclaggio attraverso la ristorazione e le acquisizioni di immobili. Gli Alvaro anche nel rifornimento di stupefacenti. In manette sono finiti anche affiliati alla ‘ndrina reggina Mulè di Gioia Tauro.

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La Commissione parlamentare antimafia ha evidenziato una “assai preoccupante” situazione nei Comuni di Nettuno e Anzio, nella parte meridionale della provincia romana, che è interessata da tempo dalla presenza di una proiezione della cosca Gallace di Guardavalle, in provincia di Catanzaro. È stato accertato che la cosca Gallace ha operato fin dal 2013 in sinergia con le famiglie Romagnoli di Roma e Andreacchio di Nettuno.

Mentre a Pomezia è emersa la presenza di esponenti delle ‘ndrine e della locale famiglia Gangemi, impegnati prevalentemente nell’usura.

I clan della mafia calabrese a Roma hanno messo in atto negli anni una “tecnica di mimetizzazione nelle attività economiche legali”, dice il Ministero dell’Interno nel suo rapporto sull’operato della Dia, che è stata adottata anche da Cosa Nostra siciliana, intenzionata a infiltrarsi “con decisione” nel tessuto economico della Capitale e della sua provincia.

Le famiglie della mafia siciliana

Per quanto concerne la mafia siciliana attiva a Roma la Dia segnala “autonomia e flessibilità” dei gruppi “nell’individuare le collaborazioni più proficue ai propri obiettivi”, che sono “rivolte anche a contesti politico-istituzionali”. L’obiettivo è sempre lo stesso: “fare impresa nei mercati legali”, inquinarli immettendo denaro di provenienza illecita, e infine compromettere il funzionamento del mercato stesso, la libera concorrenza. In questo caso però “l’assetto gerarchico e l’imprinting familistico si stemperano e si coniugano con la capacità di saper creare relazioni delle reti”.

Relativamente a periodi recenti viene ricordata l’attività nel settore immobiliare romano delle famiglie Galatolo e Graziano, legate ai Madonia del mandamento mafioso di Palermo-Resuttana, che sfruttando relazioni con professionisti della Capitale si erano inserite in diverse compravendite e anche nell’aggiudicazione di un appalto per la costruzione di un complesso di abitazioni nel comune di Marino.

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Si ricorda poi l’attività di un’organizzazione criminale riconducibile al mandamento di Brancaccio, che gestiva attività illecite e reinvestiva in imprese fino ad arrivare al monopolio nel settore degli imballaggi industriale. E ancora: un altro gruppo comprendente anche esponenti della famiglia di origine siciliana dei Gambacurta era impegnato a gestire lo spaccio nei quartieri di Primavalle, La Pisana e Montespaccato. I membri sono stati arrestati con le accuse anche di usura, estorsione, e sequestro di persona a scopo di estorsione.

I clan della camorra

La camorra è presente a Roma già dagli anni ’90, quando emersero le attività del clan senese nello spaccio di droga e più recentemente nell’infiltrazione nei settori imprenditoriali puliti. Nel 2018 si è arrivati alla condanna di membri della famiglia Pagnozzi. Ed è spuntata in territorio romano l’attività usuraria dei clan Mazzarella e Vollaro, svolta mediate affiliati, e con un successivo reinvestimento dei proventi in attività economiche, come l’acquisizione di case di riposo per anziani.

Ostia

È un capitolo a parte quello che riguarda l’influenza della criminalità sul litorale romano. L’allerta è ovviamente alta a Ostia, dove si sono verificate anche azioni violente per la spartizione del territorio. La violenza è scaturita dalla rivalità tra gruppi degli Spada, il clan dei Fasciani e quello dei Triassi, alleati alla cosca agrigentina dei Caruana-Cuntrera.

Nel tempo sul litorale Spada e Casamonica si sono sostituiti a Triassi e Fasciani, con una vocazione “prettamente militare” ma anche “imprenditoriale” dei due clan mafiosi. “Hanno mirato al controllo di attività economiche” e “all’acquisizione di concessioni, appalti e servizi di pubblica utilità in quell’area”.

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Gli Spada in particolare, come svelato da una recente operazione con sequestro di beni per 19 milioni di euro, erano riusciti a controllare attività di balneazione, sale giochi, destinando a queste attività il provento di estorsioni, usura e traffico di droga.

Mafie straniere

Infine, uno sguardo alle mafie etniche attive a Roma, che prevalentemente mantengono rapporti con i Paesi di origine, di cui conservano mentalità e modo di operare. Sono caratterizzate da una “struttura organizzativa definita e dalla dimensione transnazionale”. Questi gruppi, spiega la relazione della Dia, “non trascurano alcun settore pur di ottenere guadagni illeciti: dalla prostituzione allo spaccio di droga, dalle rapine al traffico di esseri umani”.

Sembra essere piuttosto chiara anche il primato nelle diverse attività criminali. “Lo sfruttamento della prostituzione è per lo più appannaggio di gruppi criminali dei Paesi dell’ex Unione Sovietica e romeni, con questi ultimi dediti anche allo sfruttamento della manodopera maschile destinata al lavoro nero sia nell’edilizia che nell’agricoltura. Le giovani connazionali, da destinare alla prostituzione, mediante forti pressioni intimidatorie, vengono sfruttate anche dai nigeriani, come accade per i transessuali brasiliani e colombiani da parte di gruppi criminali sudamericani. Rapine e furti sono ad appannaggio di sodalizi albanesi; mentre il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è proprio di sodalizi nordafricani”.

La mafia cinese opera invece nel consistente mercato delle merci contraffatte e si contraddistingue per la spiccata capacità imprenditoriale, in particolare l’abilità a trasferire illecitamente nel Paese di origine grandi capitali attraverso società fittizie. Anche in questo caso non mancano collaborazioni con i gruppi italiani. La Dia ricorda il rapporto con un gruppo autoctono, Terenzio, e altri camorristici, Giuliano e Anastasio, per lo stoccaggio di merci contraffatte, proveniente dai porti di Napoli, Civitavecchia e Gioia Tauro e stoccata nei magazzini dei quartieri Casilino e Prenestino.

Per i soldi sporchi i confini sono più labili che mai.

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