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In ricordo di Mondonico: da oggi il “Mondo” è più grigio e meno blu

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Emiliano Mondonico è morto a 71 anni.

Simone Gambino ripercorre le tappe dell’allenatore Emiliano Mondonico, scomparso giovedì 28 marzo all’età di 71 anni

In un calcio che oggi vive di look ed esternazioni variopinte, la figura di Emiliano Mondonico difficilmente calza quella del rivoluzionario ante litteram. Eppure, quando 50 anni fa apparve sulla scena la riccioluta aletta di Rivolta d’Adda, questo sembrava essere il ruolo a cui era predestinato.

Esordì in Serie A il 29 settembre 1968: prima giornata di campionato con il Torino che ospita il Pisa al Comunale. Partita ostica risolta proprio dall’esordiente abduano a 20 minuti dalla fine. Sembrava un grande inizio, ma poi mancò il seguito e nell’arco di poche stagioni il Mondo tornò alla sua alma mater, la Cremonese. Questa sua meteorica apparizione sui campi, non permise di mettere in luce nella contemporaneità alcuni aspetti che sarebbero emersi solo dopo che si sarebbe affermato come allenatore. Infatti, il giovane Emiliano era stato acquistato dal Torino per riempire un vuoto incolmabile: quello lasciato da Gigi Meroni, il George Best italiano scomparso tragicamente un anno prima del suo arrivo all’ombra della Mole. Di Meroni, il Mondo ricopriva lo stesso ruolo, ala destra, ed aveva alcune somiglianza morfologiche e comportamentali; ma poi nulla più. Per cui, le sue estrosità dentro e soprattutto fuori dal campo, come quando si fece squalificare per poter andare a vedere un concerto rock, non furono prese in considerazione all’epoca.

Trascorrono dieci anni. Siamo all’inizio degli anni ottanta. Mondonico ha appeso gli scarpini al chiodo da poco, passando direttamente dal campo al ruolo di allenatore delle giovanili dei grigiorossi. Ad inizio 1982, con la squadra destinata a tornare in Serie C dopo la promozione dell’anno precedente, il presidente della Cremonese, Domenico Luzzara, prende il coraggio a due mani ed affida la prima squadra al non ancora trentacinquenne di Rivolta d’Adda. E l’inizio di un ventennio di successi continui al limite della sfida all’impossibile. Prima di procedere, è importante soffermarsi sul rapporto speciale che legherà per sempre Mondonico a Luzzara. Il presidente della Cremonese, in un calcio che cominciava ad alzare i toni, fu uno dei pochi, forse l’unico, a tenerli sempre volutamente bassi. Questa filosofia fu trasmessa al suo giovane tecnico che non avrebbe mai abbandonato lo stile appreso dal suo pigmalione.

Le cinque stagioni con i grigiorossi registrarono una salvezza miracolosa, una A persa allo spareggio con il Catania, una promozioni trionfale nella massima categoria, una retrocessione netta ma comunque festeggiata in pieno stile Luzzara ed un anno di riassestamento in Serie B. Nell’estate del 1986, senza traslocare dalla sua cascina di Rivolta d’Adda, il Mondo accettò l’offerta del Como in Serie A, prendendo il posto di Rino Marchesi, appena passato alla Juventus. Seguì una stagione tranquilla con i lariani che conquistarono una salvezza senza affanni.

Nel maggio del 1987 Mondonico era sul mercato ricercato da molte società di Serie A. A sorpresa, ma mostrando grande lungimiranza, scelse l’Atalanta. La squadra era appena retrocessa in serie B in una stagione sfortunata che l’aveva vista anche perdere la finale di Coppa Italia dal neoscudettato Napoli. Con i partenopei impegnati in Coppa dei Campioni, agli orobici toccò il compito di rappresentare l’Italia in Coppa delle Coppe. Poteva sembrare un grosso onere per una squadra obbligata a vincere il torneo cadetto: il Mondo lo trasformò in un onore, facendo la Storia della Dea.

Le compagini italiane nella stagione 1987/88 naufragarono nelle coppe europee. A Natale, con l’allineamento ai quarti di finale restavano in corsa solo le due provinciali: l’Hellas Verona di Osvaldo Bagnoli in Coppa Uefa e l’Atalanta in Coppa delle Coppe. Per i bergamaschi il cammino era stato fino ad allora oggettivamente facile superando i gallesi del Merthyr Tydfil nei sedicesimi ed i greci dell’OFI Creta negli ottavi. Il responso delle urne per i quarti fu inevitabilmente maligno per le italiane: Werder Brema per l’Hellas e Sporting Lisbona per la Dea.

Gli scaligeri uscirono a testa alta contro i tedeschi ma l’Atalanta fu semplicemente eccezionale. Un classico due a zero al Brumana (come si chiamava a quei tempi) fu seguito da una partita tutto cuore all’Alvalade, in casa dello Sporting. Sotto 1 a 0 ad inizio ripresa, come Alì contro Foreman a Kinshasa, la Dea tenne duro sulle corde fino al liberatorio pareggio di Cantarutti all’85’, un gol che chiuse i giochi. L’Atalanta era la sola italiana arrivata alle semifinali ma il Mondo, in ossequio agli insegnamenti di Luzzara, tenne un profilo bassissimo. Erano rimaste in corsa, con la Dea, Ajax, Malines ed Olimpique Marsiglia e l’uscita dalla urna del nome della squadra belga fu accolto con favore dalla tifoseria orobica.

Invece, il Malines si rivelò un osso durissimo, troppo duro anche per una Atalanta superlativa. Sconfitti di misura 2 a 1 in Belgio, gol decisivo a pochi minuti dalla fine, ai bergamaschi bastava vincere 1 a 0 al ritorno. Un rigore trasformato da Garlini sembrava aver gettato i presupposti del sogno, con l’Atalanta virtualmente in finale alla fine del primo tempo. Fu una delle prime partite RAI con il giornalista a bordo campo e Mondonico fu sempre cortese e disponibile anche nei momenti topici continuando a predicare prudenza. Nella ripresa il Malines uscì alla distanza, complice due pali presi dalla Dea e la cavalcata europea ebbe fine. Non c’era però tempo per commiserarsi. L’impegno in Europa aveva eroso il cuscinetto di sicurezza che la squadra aveva costruito in classifica nei mesi invernali. Con le unghie ed i denti, non dissimile da un Dorando Petri a lieto fine, la Serie A fu conquistata, conservando il 4° posto per un sol punto sul rimontante Catanzaro.

Di fronte a questo primo anno eclatante, le seguenti due stagioni bergamasche del Mondo furono roba da normale amministrazione con un 6° ed un 7° posto entrambi buoni per la qualificazione in Coppa UEFA. Nel luglio del 1990, il Mondo chiuse il suo primo ciclo con l’Atalanta, e soprattutto traslocò da Rivolta d’Adda dove aveva sempre vissuto, per riabbracciare il suo Toro.

Il quadriennio granata (1990 – 1994) fu composto da tre anni esaltanti ed un quarto drammatico. Ma fu proprio in quest’ultimo che Mondonico diede la suprema prova delle sue capacità. Un 5° posto nel ’91 ed un 3° nel ’92, accompagnato dalla leggendaria doppia finale della sedia alzata in Coppa Uefa, persa per colpa di tre pali del Olympisch Stadion di Amsterdam, fecero da preludio alla sofferta conquista della Coppa Italia 1993 contro la Roma in finale. Fu a quel punto che il giocatolo si ruppe. Il presidente Borsano fu colpito da traversie giudiziarie che lo costrinsero a smobilitare la squadra. Tutto crollava intorno al Toro ma il Mondo era sempre lì. Ufficialmente solo allenatore ma in realtà garante, davanti all’intero cosmo calcistico, del buon nome e della integrità granata.

Nell’estate 1994, il Mondo tornò alla cascina di Rivolta d’Adda, accettando l’offerta dell’Atalanta retrocessa nel frattempo in Serie B. Questo secondo periodo con la Dea fu meno esaltante ma pur sempre fruttuoso. Immediato il ritorno in A cui seguì una stagione tranquilla condita con la finale di Coppa Italia persa dalla Fiorentina. L’Atalanta 1996/97, pur senza vincere nulla, fu sicuramente la creatura più spettacolare del Mondo con il tridente offensivo composta dall’emergente Filippo Inzaghi (capocannoniere della Serie A) sostenuto dal redivivo Gianluigi Lentini e da un ragazzino minuto ma dalle capacita di palleggio immense, Domenico Morfeo. Senza questi trio, discioltosi nel mercato estivo, l’Atalanta, al termine della stagione successiva, retrocesse in Serie B.

Anche il Toro si trovava tra in quel frangente tra i cadetti, conseguenza non ancora sanata del crack di Borsano del 1993. Al nuovo presidente granata Gianmarco Calleri, il Mondo parve la scelta ovvia per rivitalizzare un ambiente depresso. La missione fu compiuta a metà con una promozione immediata cui seguì una altrettanto rapida retrocessione. E’ di questo periodo uno dei commenti più divertenti mai fatti su Mondonico. Il tifosissimo del Toro e noto scrittore Alessandro Baricco, in un articolo su La Stampa per festeggiare il ritorno in Serie A, avanzò la teoria che l’allenatore granata, che aveva il vezzo di rimboccarsi le maniche della giacca, portasse sotto la stessa una camicia smanicata con i polsini posticci cuciti dentro la giacca.

All’inizio del nuovo millennio, la carriera dell’uomo di Rivolta d’Adda sembrava volgere al termine. La teoria in voga negli ambienti calcistici è che l’introduzione dei tre punti per la vittoria abbia stroncato il suo modo di fare calcio, fortemente teso ad evitare la sconfitta ancor prima di cercare la vittoria. C’è molto di vero in tutto ciò anche se, per un ironico gioco del destino, il momento più luminoso della carriera di Emiliano Mondonico doveva ancora arrivare.

Tre mezze stagioni interlocutorie da subentrato al sud, una a Napoli e due a Cosenza, confermarono il trend negativo dell’ultima granata. Dell’anno partenopeo il ricordo più memorabile è televisivo e non calcistico. Il 4 febbraio 2001 il Napoli ospitò la Fiorentina sul campo neutro di Palermo causa squalifica del San Paolo. La squadra napoletana era malmessa in classifica e la striminzita vittoria contro i viola, 1 a 0 in extremis, portò ossigeno prezioso agli uomini del Mondo. Lui si presentò euforico ai microfoni della Domenica Sportiva dove trovò ad intervistarlo, dallo studio di Milano, il suo vecchio sodale dei tempi del Toro fine anni ’60 Aldo Agroppi. Questi aveva chiaramente voglia di scherzare. Nel giro di pochi secondi, Agroppi e Mondonico trasformarono la DS nel Derby, il mitico cabaret Milanese che ha sfornato centinaia di comici dal dopoguerra ad oggi. Partendo dal loro Toro per arrivare alla partita di quel giorno, in 20 minuti rivisitarono satiricamente 30 anni di calcio italiano senza possibilità di contraddittorio da parte di terzi.

Dopo le sfortunate esperienze al sud, la stagione 2003/04 vide il Mondo disoccupato nella sua cascina di Rivolta d’Adda. Era una stagione particolare per la dinamica dei campionati. La Serie A si giocava a 18 squadre con sole tre retrocessioni; la B a 24 con ben cinque promozioni. In aggiunta a ciò, la sesta di B avrebbe spareggiato con la quartultima di A per l’ultimo posto nella nuova massima divisione, allargate a 20 squadre mentre la cadetteria sarebbe scesa da 24 a 22.

Chiedendo scusa per l’intromissione personale, attingom a questo punto, ai miei ricordi. Martedì 10 febbraio, mezzogiorno, squilla il telefono. E’ Giancarlo Padovan, l’amico fraterno che all’epoca dirigeva Tuttosport: “La Fiorentina ha preso Mondonico. Te la senti di scrivere un pezzo”. Non credevo alle mie orecchie. Faticai a dire si e mi misi davanti al computer. Lo spazio era poco, le cose che vorrei scrivere tante. 1955/56: a Rivolta d’Adda c’era un ragazzino di otto anni che si innamorò del calcio grazie ad una squadra che forse non ha avuto pari nella storia del gioco in Italia. Era la Fiorentina del Dottor Fulvio Bernardini, il sommo studioso del gioco, colui che portò in Italia gli schemi della Grande Ungheria ed a cui, 20 anni dopo, la Federazione affidò la rinascita del calcio italiano dopo la disfatta di Stoccarda. Soprattutto, ed in questo il Mondo si rivedeva, l’unico capace di vincere due scudetti senza mai allenare le tre nerostrisciate. E’ la Viola, quindi, il solo grande e mai dimenticato amore di Emiliano Mondonico!

Lui prende la squadra da Cavasin a sei punti dalla zona retrocessione (33 punti in 26 partite). L’inizio è tutt’altro che facile ma gradualmente le cose si aggiustano: 12 vittorie, 4 pareggi e sole 4 sconfitte in 20 partite fruttano 40 punti, buoni per quella sesta posizione che vale lo spareggio per la Serie A contro il Perugia di Serse Cosmi. A portare i viola a questo decisivo agone erano stati, durante le 46 giornate di campionato, soprattutto i 23 gol di Christian Riganò, un bomber proveniente dall’isola di Lipari arrivato tardi al grande calcio. Riganò, tuttavia, non è al meglio e, sfidando la piazza, il Mondo decide di lasciarlo fuori schierando Enrico Fantini, una seconda punta arrivata a gennaio dal Venezia, al centro dell’attacco. Sarà la mossa vincente.

Fantini è quello che si definisce nel gergo un giocatore di categoria. Sfornato dal vivaio della Juventus ha girato per una dozzina di squadre prima di arrivare a Firenze. Non ha ancora segnato in maglia viola. Segnerà gli unici due gol della sua carriera negli spareggi con il Perugia. Quello della vittoria in trasferta al Curi al termine di un veloce contropiede, replicando di testa al Franchi. Si farà anche espellere nel finale della seconda partita ma non importa. Resterà per sempre nella storia viola come l’uomo del ritorno in serie A. questo grazie al coraggio ed alla lungimiranza del Mondo.

Con la promozione viola, che vale più di uno scudetto per il tecnico abduano, partono i titoli di coda della sua carriera. Compirà ancora qualche miracolo con l’Albinoleffe salvandolo ripetutamente dalla Serie C e chiuderà con una breve parentesi al Novara in Serie A nel quale si toglie l’ultima soddisfazione della sua carriera: battere a domicilio quella Inter che nell’estate 1997 gli aveva preferito Gigi Simoni come successore di Roy Hodgson.

Sarà spesso in tv negli ultimi anni con quella sua cantilena vocale che ci ricordava sempre che “i complimenti sono ingannevoli perché, alla lunga, trovano il tempo che non hanno”.

Addio, Mondo, per te lo posso proprio dire: ti porti via anche un pezzo di me che nel 2007 dichiarai alla radio a Caterpillar che ti volevo come allenatore della Nazionale italiana di cricket. Non ho dubbi che avresti fatto benissimo.

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