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Brescia: benvenuti nel bosco dell’amore gay, tra sesso e violenza omofoba

Immagine di copertina
Credit: Marco Foglia

“C’è un tesoro lì dentro, se hai il coraggio di infilarti". Siamo stati nel parco di via Castagna, periferia sud di Brescia: qui ogni giorno centinaia di persone arrivano in cerca di rapporti omosessuali, ma tra i cespugli si nascondono anche minacce, furti, pestaggi e nei peggiori casi torture di matrice omofoba

C’è un pezzo nascosto di Brescia dove parole come ordine, sicurezza, polizia e tranquillità vengono sempre accompagnate da altre che invece hanno il suono dell’insulto. Oppure del vuoto. Benvenuti nel parco dell’amore gay. Benvenuti nella porzione di vasta vegetazione che da via Castagna scende fino alla zona industriale sud di via Stassano.

Sono almeno vent’anni che questo luogo attira centinaia e centinaia di frequentatori da ogni località della Lombardia e non solo. Arrivano in auto da Milano, Lodi, Pavia, ma anche Piacenza, Verona e Bergamo. C’è anche chi si fa portare in taxi. E non importa che piova a dirotto o che il sole spacchi le pietre. Il viavai di clienti è incessante e i sentieri del pratone, a partire dagli inizi della giornata, diventano affollati come una strada del centro alle cinque del pomeriggio.

Su un impasto di odori vari, prevale quello di sudore. L’aria stessa è appiccicosa. Più che un’etichetta è diventato un marchio. Il “boschetto”, così viene chiamato in gergo, significa automaticamente sesso e una volta entrato puoi soltanto restarne soddisfatto.

I frequentatori li riconosci dalle scarpe sporche di fango e dall’andatura svelta. Davide D., 43 anni, si sistema la maglietta e dà un’occhiata tra gli alberi. “C’è un tesoro lì dentro, se hai il coraggio di infilarti”, esordisce. “Io ci passo quasi tutte le sere dopo il turno di lavoro. Sono omosessuale e mi piace godere liberamente”. E non hai paura? “Beh, fortunatamente non sono mai stato aggredito proprio perché negli anni ho imparato a riconoscere i malintenzionati”.

Davide D. conosce così bene l’area da meritarsi il titolo simbolico di “guardiano del parco”. “Spesso capita che i più giovani mi chiedano consigli, oppure semplici indicazioni”, aggiunge. “Eppure, non lo nascondo, i rischi sono tanti, forse troppi”.

In origine, quindici anni fa, di rapinatori non ce n’erano. Lungo questa periferia boschiva tra magazzini e capannoni dismessi non ne trovavi uno. Poi, qualche utente incominciò a farsi avanti, raccontando in forma anonima di minacce, furti, pestaggi e nei peggiori casi torture. E così si scoprì che il “boschetto” era diventato un posto pericoloso.

“Ho visto gente girare con i coltelli e sentito racconti di amici legati e in seguito malmenati”, continua Davide D. “Pugni, sberle, calci e sputi. Del resto, passi intere giornate senza incrociare una volante della polizia, una pattuglia dei carabinieri o una macchina dei vigili urbani”.

Il delinquente pericoloso che vuole soldi, invece, è un’istituzione. “Purtroppo la violenza vince sulla paura di denunciare”. A dirlo con tanto rammarico è Louise Bonzoni, presidente del circolo bresciano Arcigay Orlando. “Al giorno d’oggi diversi omosessuali soprattutto non dichiarati, si rifugiano in posti defilati come il boschetto”, spiega. “Quello è un luogo che noi sconsigliamo in tutti i modi proprio per la sua pericolosità”.

Credit: Marco Foglia

L’ebbrezza dell’avventura del sesso all’aria aperta oggi corre velocemente sul web a colpi di click. Accendendo il computer basta digitare su Google “Car parking sex Brescia” e il risultato che appare è costituito da una miriade di nomi e posti, dove il parco di via Castagna è fisso in cima alla lista dei preferiti.

In Questura luoghi come questi vengono quotidianamente monitorati, si cerca di capire quanto possa essere sottile il confine tra perversione e prostituzione. Eppure, diventa praticamente impossibile quantificare le aggressioni che avvengono, proprio perché quasi nessuno, come detto, trova il coraggio di denunciare.

Ragazzi, uomini e persino anziani sulla settantina. Ma dentro al “boschetto” c’è chi giura di aver visto persino minorenni. Basta una passeggiata per vedere tutto, trovare tutti e osservare da vicino cosa avviene. Cravatta nera e giacca elegante. Nascosto dietro a un albero, un “colletto bianco” si slaccia i pantaloni. La targa del suo potente Bmw parcheggiato a breve distanza è svizzera e un po’ come tutti, pure lui sta qui alla ricerca di una “sveltina”.

Uno dei luoghi prediletti per appartarsi è una struttura di legno in un angolo del parco. Lo chiamano il “ponticello”. Vicino, troviamo seduto un signore sulla cinquantina che si masturba. Infastidito dalla nostra presenza appena ci vede si nasconde. Più avanti, mentre usciamo, ci imbattiamo in un’altra persona, stavolta si tratta di un ragazzo sui trent’anni. “Ho un appuntamento con un quarantenne rasato, l’avete per caso visto?”, domanda ansioso.

Qui proprio a due passi sorgeva la vecchia discoteca Trap, un tempo meta gettonatissima da gay, lesbiche e transgender. “È stato proprio il locale notturno a dare origine a questo movimento. L’attività si è poi estesa a sud”, racconta Davide D. “Per chi arriva la sera tardi in automobile la tecnica di abbordaggio è piuttosto semplice. Servono due colpi di abbagliante dalla vettura per l’intesa e poi ci si accorda sul tipo di prestazione”.

In realtà, proprio nell’oscurità della notte, l’area diventa completamente off-limits e il posto si riempie ulteriormente. “La sicurezza è completamente assente. Di conseguenza, tra gay ci si aiuta come meglio si può. Anni fa misi dei cartelli in cui invitavo a prestare attenzione, durarono qualche ora. Gli spacciatori li distrussero”.

Ammesso che siano ancora in funzione, ci sarebbero le telecamere di un’azienda lungo la via. Ma non servono a niente. Invisibile dalla strada, sconosciuto agli estranei e così distaccato dall’immaginario collettivo della vita reale cittadina, il “boschetto” è un luogo lurido e disperato allo stesso tempo. La gente che lavora in zona se ne tiene ben lontana.

Chi passa a piedi a curiosare è ben consapevole del rischio che corre. Più ti inoltri nella fitta vegetazione, più vai incontro al tuo destino. In una specie di rotonda sterrata, a terra rimangono le tracce dei rapporti, sangue sui fazzoletti di carta, biglietti dell’autobus, una distesa di preservativi usati, avanzi di cibo e cocci di bottiglia.

Altre due ombre si muovono dentro al parco, sono uomini dalla pelle olivastra. Uno ha in mano un bastone, l’altro, il cappuccio calato in testa. Ci puntano e tra loro mormorano qualcosa. Le chiamano vedette e sono coloro da cui bisogna tenersi alla larga.

Il parco dell’amore gay è poi la storia controversa di Giacomo, nome di fantasia di un giovane pusher italiano, uscito da poco dalla comunità. Il suo è un racconto di disagio che trova sfogo soltanto nella criminalità spicciola. “Tra gli anni 2012 e 2015 rapinavo gli omosessuali che si appartavano dentro. Nella banda ad agire eravamo in sei, io e altri cinque nordafricani. Tutte le tre vie d’accesso venivano controllate da noi pali. Una volta, a calci ho spedito indietro un gay soltanto perché mi dava noia. I soldi delle rapine servivano a comprarci le dosi”.

Sguardo scavato, vistosi tatuaggi sulle braccia e pupille degli occhi dilatate. “Mi faccio da una vita, ho ventiquattro anni ma sono almeno dieci che uso roba”, ammette. Giacomo sostiene che a capo della “cupola” del parco ci fossero in realtà gli slavi. “Loro avevano le pistole e stavano ai margini”, continua. “Hanno comandato il territorio sino a quando dopo una grossa retata li hanno blindati”.

Diversamente da un suo complice, il ragazzo nega di aver mai costretto una delle vittime ad avere un rapporto per estorcere una maggiore quantità di denaro. “Quando volevamo divertirci, da ubriachi urinavamo loro in testa. Una volta, ricordo di aver rapinato prima un carabiniere in borghese e poi a un sacerdote”.

La versione della presenza assidua di un religioso nel “boschetto” ci è stata confermata anche da Davide D.: “È capitato di incontrare un prete appartato in compagnia di un giovane straniero. Mesi dopo, l’ho rivisto a messa nell’hinterland. Era davvero imbarazzato, suppongo mi avesse riconosciuto”.

Religiosi, commercialisti, impiegati, operai, studenti e persino forze dell’ordine. Sono alcune delle tante facce insospettabili in mezzo a questi altissimi arbusti. Come gli altri pure loro sono qui per esternalizzare il brivido di un piacere costretto di fatto ancora a nascondersi. Giorno o notte, ormai, non fa più differenza.

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