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Le gang anti-gay di Putin

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Agguati, pestaggi. Persino un morto. In Russia ci sono 445 gruppi anti omosessuali. E hanno più di 200 mila seguaci

Andrey Ivanov ha 22 anni. A Kurgan, la città russa in cui è nato e cresciuto quasi al confine con il Kazakistan, tutti i suoi coetanei lo conoscono e gli tributano rispetto.

S&D

Studia ingegneria e intanto fa il picchiatore nel tempo libero. Non gli piace parlare di sé: fa poche domande e risponde quasi sempre telegraficamente. Parla poco al telefono, le persone gli piace guardarle in faccia.

Riconoscerlo per strada è facile: il suo abbigliamento ricorda quello dei personaggi del celebre film “Fight Club”, di cui conosce a memoria gran parte delle battute e il cui messaggio è: sii cattivo se vuoi vincere sui ring underground.

Andrey ha una feroce avversione verso i gay: «Li annienterei tutti. Quegli inetti e dementi senza coraggio non sono uomini. Quando coi miei amici li vediamo volano ceffoni, li prendiamo a calci e gli sputiamo addosso. Di tanto in tanto gli uriniamo anche in testa, per depurarli dalla loro malattia».

Andrey sostiene di difendere «i valori tradizionali della madre patria russa». Per lui gli omosessuali sono persone «antropologicamente deviate» che pretendono di avere gli stessi diritti degli altri. In perfetta sintonia con la Duma che l’estate scorsa ha varato una legge per la quale è persino vietato affrontare in pubblico il tema-gay.

Recentemente Andrey, ad esempio, ha impiegato buona parte del suo tempo alla ricerca di qualcuno che dagli Stati Uniti gli spedisse una mini-pistola ricaricabile in grado di rilasciare scariche di tensione elettrica a 19 milioni di volt per scioccare o paralizzare parzialmente le sue vittime: «Non ho paura di fargli male, se lo meritano. L’importante è spaventarli, tenerli alla larga, umiliarli».

In Russia esistono 445 gruppi registrati on line per combattere attivamente la comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transgender). Sono le gang anti-gay del terrore. Si spartiscono il territorio in diverse città, collaborano tra loro e sono composte in media da ragazzi tra i 14 e i 30 anni.

Dicono di essere contro le droghe e l’alcol mentre adorano il body-building. Si dividono in due strutture principali: Occupy Pedofilyaj e Occupy Gerontilyaj. La prima si occupa di scovare sulla rete i pedofili (spesso ambiguamente equiparati ai gay, cosa che ha fatto di recente lo stesso Putin); mentre la seconda dà la caccia ai teenager che cercano prestazioni sessuali con i più anziani in cambio di denaro.

Complessivamente i membri che in Russia hanno deciso di aderire sia pure solo virtualmente a questi movimenti violenti contro i gay sono oltre 200 mila. Secondo Tanya Cooper di Human Rights Watch Russia, la comunità gay russa è pari a circa il 4 – 7 per cento della popolazione (142 milioni circa).

Un recente sondaggio Pew Poll mostra come tre russi su quattro non accettino l’omosessualità. Il 5 per cento crede che i gay vadano «liquidati.». L’85 per cento è contro il matrimonio fra persone dello stesso sesso, mentre il 34 considera l’omosessualità una malattia.

Sulla base di queste premesse, non è difficile credere quanto afferma Larry Poltavtsev, fondatore di Spectrum Human Rights Alliance, una Ngo con base a Washington e l’obiettivo di monitorare la condizione dei gay nei vari paesi del Pianeta: «Lo Stato russo sta perpetrando una campagna incentrata sull’odio e la violenza per tenere a bada le minoranze del Paese, gay in primis. Putin mette le minoranze una contro l’altra secondo il principio del “divide et impera”.»

«Fa il gioco delle tre carte tra ebrei, gay e altre minoranze etniche, col solo obiettivo di consolidare il suo consenso. L’importante è fare in modo che la società civile sia sempre più divisa e spaccata (uno fra i più famosi attivisti gay russi si è di recente rivelato un antisemita per eccellenza), in modo tale che le minoranze del Paese non possano trovare punti di accordo per mettere in discussione il regime di Putin. Il tutto grazie anche a una complicità tra Stato e Chiesa Ortodossa, un’unione di forza che in molti considerano intoccabile».

I gruppi anti-gay sono diffusi nelle città di tutta l’estesa Russia (vedi mappa nella pagina precedente). Organizzano “spedizioni punitive” che vengono regolarmente filmate e poi postate su Internet. Senza che le autorità intervengano per quella connivenza che si è creata tra il potere centrale repressivo e le gang violente: con metodi diversi, tutti uniti per lo stesso scopo. Capelli liscissimi e lunghi fino a oltre le spalle, Poltavtsev è un uomo sulla quarantina.

Gay e per questo americano d’adozione, risiede a Washington e ha un accento russo ancora marcato. Commenta: «Quello che è più grave è che in Russia i gay vengono massacrati e umiliati con la complicità della polizia, che si rifiuta di prendere provvedimenti nonostante le prove siano evidenti. Lo scorso maggio un ragazzo è anche morto a Volgograd dopo le torture subite».

Le gang anti-gay sono attive soprattutto on line e sul social network russo VK.com (l’equivalente del Facebook occidentale), molto popolare tra gli adolescenti perché permette la diffusione di contenuti illegali. In questo modo sono potute nascere pagine apposite per dare la caccia ai gay che principalmente servono a organizzare e ottenere fondi per le attività di pestaggio (il proprietario del social network si è rifiutato dal commentare pubblicamente, interferire o reprimere i video contro i gay presenti sul proprio sito).

I membri di queste comunità virtuali navigano sulla Rete sotto falso profilo a caccia di gay, anche minorenni, e si danno appuntamento fingendosi interessati a conoscerli davvero; oppure battono i quartieri più sensibili delle loro città armati di coltello e taglierini in cerca di vittime da spaventare. In entrambi i casi riprendono i loro incontri con la videocamera: prima li umiliano e li deridono in gruppo, costringendoli a dire il proprio nome e la scuola che frequentano. Poi passano alle mani. Talvolta chiedono anche che venga dato loro il numero di telefono dei genitori o dei datori di lavoro, i quali sono chiamati in diretta per essere informati delle tendenze dei figli o del dipendente di turno.

Il materiale viene successivamente postato su YouTube, e quindi reso pubblico col preciso obiettivo di annientare la vita dei gay presi di mira, molti dei quali sono obbligati a cambiare residenza o persino vita. «Quando esce un nuovo video on line di qualche pestaggio mi diverto a guardarlo davanti a una tazza di tè», ammette Andrey. Tanta è la volontà di ferire i gay che in una filiale di Occupy Pedofilyaj a San Pietroburgo è prevista una ricompensa di 50 mila rubli (1.130 euro) per chi ne scova uno.

Così le vittime disposte a parlare sono sempre meno. Il pugno duro di Vladimir Putin verso la comunità LGBT dissuade i gay russi dal rivelare la loro identità sessuale. Molti sono così costretti a fuggire all’estero come rifugiati politici. Ma l’aspetto forse più importante delle gang anti-gay in Russia è la loro complicità con lo Stato. Si definiscono “un braccio armato e culturale” del governo. «Laddove lo Stato non riesce a tenere sotto controllo la popolazione, subentriamo noi per far capire alla gente cosa è giusto e come ci si deve comportare», racconta un membro di Occupy Pedofilyaj.

Il loro intento, in sintonia con quello di Putin, è quello di «creare una unione di russi sani e genuini, in grado di ribaltare l’attuale degrado sociale». Parole che mettono i brividi. Concedere alla comunità LGBT i diritti vorrebbe dire, per chi sta al potere, «avvelenare la società russa con i valori dell’Occidente», spiega Robert Orttung, professore alla Georgetown University.

Putin sotto questo punto di vista ha trovato terreno fertile nelle gang auto-costituitesi contro i gay russi. Non a caso, il leader dell’attivismo omofobo in Russia, Maxim “Slasher” Martsinkevich (29 anni, una ossessione per la manicure, capelli da moicano, un passato da skinhead e tre anni in prigione, oltre che braccio e mente di Occupy Pedofilyaj e numero uno del movimento sociale ultra-nazionalista Restrukt) è tra i promotori più attivi dei valori tradizionali russi.

Il movimento di Martsinkevich svolge un duplice ruolo di estrema utilità per Putin. In primis, favorisce la cultura russa a discapito dei “principi corrotti liberali dell’occidente”; e poi, paradossalmente, garantisce che si continui a parlare, tanto in Russia quanto all’estero, sì, della tortura dei gay, ma non delle altre instabili questioni cruciali interne al paese: quelle davvero capaci di minare il potere di Putin.

La storia di Giulio Gambino* è in co-pubblicazione con l’Espresso (qui il link).
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