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“Dio salvi la vagina”, il libro che celebra la femminilità in ogni suo aspetto

Immagine di copertina
Copertina del libro Dio salvi la vagina, di Francesca Marchesani. Credit: Francesca Marchesani

Dio salvi la vagina è un libro in cui vengono presi in considerazione tutti i lati dell'essere donna, in una serie di racconti, alcuni ironici, altri più seri

Francesca Marchesani è una giovane donna di 26 anni che vive a Bologna e che coltiva da tutta la vita il desiderio di diventare una rinomata scrittrice.

Scrive e legge tanto, e nell’attesa che il suo sogno si realizzi lavora come cameriera nella sua città natale.

Ha già scritto un primo libro nel 2015, “Diario di una cameriera superstar”, e ora torna sulla scena editoriale con una raccolta di racconti eterogenei, ma legati da un unico, grande filone: la vagina.

“Dio salvi la vagina” è la sua nuova opera e, com’è scritto sulla quarta di copertina, “è un inno. Un inno alla femminilità, un inno alla vaginità”.

“Al come si può essere allo stesso tempo donne, focose amanti, depresse croniche, innamorate perse e gattare. Sono tanti episodi uno sopra l’altro, qualcuno piccante, qualcuno romantico, qualche altro tragicomico”.

“Una scrittura irriverente che interagisce con lettori e lettrici per fargli sussurrare tra una pagina e l’altra: ‘È vero, quanto hai ragione’, e farli sentire un po’ a casa”.

La copertina del libro Dio salvi la vagina, di Francesca Marchesani

vagina
Copertina del libro Dio salvi la vagina, di Francesca Marchesani. Credit: Francesca Marchesani

Il fenomeno delle bambine che si rifanno la vagina nel Regno UnitoPerché alcune donne inseriscono nidi di vespe nella loro vagina | Alcuni miti da sfatare sull’orgasmo femminile | Orgasmo femminile e squirting: tutto quello che avreste sempre voluto sapere | Cosa significa vivere col vaginismo, il disturbo che rende il sesso un’esperienza straziante

Un estratto del libro: Il cannolo

Il cannolo

Quella fra me e il cannolo è una storia lunga. Soprattutto in termini di tempo, oltre che di centimetri.

Come si può facilmente evincere questo ragazzo/uomo viene dalla rinomata isola a tre punte che sforna figli dai lineamenti morbidi, dagli occhi e dai capelli scuri, la parlata scorrevole e a volte incomprensibile e una scarsa conoscenza della grammatica.

Ottimi lavoratori e uomini incredibilmente orgogliosi e instancabili questi siculi. La propensione alla poligamia poi è un’altra caratteristica che li rende noti in tutto il mondo. Ma andiamo con ordine.

Io e il cannolo siamo sotto lo stesso tetto lavorativo da anni. E le cose hanno un incredibile svantaggio quando te la fai con un collega. Che la tresca vada bene o vada male, in ogni caso lo devi vedere tutti i giorni, sei costantemente sotto controllo e i pettegolezzi con le amiche vanno raccontati a bassa voce perché anche i muri hanno orecchie in quel contesto.

Il siculo mi aveva notato dalla mia prima apparizione durante il colloquio in quell’anfratto del diavolo, ma allora avevamo strade diverse e io neanche lo degnavo di uno sguardo. È stato poi col passare del tempo che lui scavando col cucchiaino nel cemento giorno dopo giorno è riuscito a insinuarsi dentro di me.

Complice una serata particolarmente triste e le svariate birre che mi aveva offerto a tale scopo. Siamo seduti su un marciapiede, io che valuto l’idea di mettermi al volante e lui, perfettamente sobrio, che si offre di accompagnarmi a casa, sua.

Io rifiuto con tutte le mie forze quel passaggio dicendo che i colleghi non se la devono intendere fra loro, che al mio lavoro ci tengo  e che non mi va per un flirt di perderlo. Lui dice che non mi toccherà neanche con un dito, solo che premuroso come è non si fida a lasciarmi guidare. E poi, nessuno verrà mai a scoprire niente.

Il mio problema è che lo avrei saputo io.

Incredibilmente e completamente dal nulla, tutti e due, su un marciapiede con le ginocchia strette fra le braccia cominciamo a baciarci, arresi dall’evidenza e dalla birra.

I suoi baci sono pieni di lingua e completamente senza labbra, per quanto le ha esili. Anche i suoi sorrisi sono privi di labbra, fa come i cani, scopre i denti in un ghigno storto. Cedo alla richiesta di passaggio, ignorando il fatto che la mia macchina rimarrà tutta la notte davanti al locale e il primo che arriverà domattina sicuramente chiederà spiegazioni.

In quel momento però non ci penso, non penso alle conseguenze che può avere una notte del genere. Che non sarà mai una botta e via come tutti gli altri. Non perché lui sia speciale ma perché è impensabile farlo con una persona che vedi tutti i giorni. Con cui trascorri più tempo di quanto ne trascorri da sola.

Andiamo a casa sua e la trovo piccola e soffocante rispetto alla mia. Luminosa e relativamente spaziosa. L’unica cosa invitante è il letto che occupa tre quarti del monolocale. Mi ci butta sopra e continua a baciarmi. Sembrerà strano anche a lui quanto a me? O forse no perché lui cercava da mesi questa opportunità e ora ci sta finalmente riuscendo.

Io mi ritrovo nuda non so bene come. I miei sensi sono appannati e sfocati dall’alcol. Quando sono ubriaca sono effettivamente arrapata ma non sono in grado di godere a pieno di tutte le sensazioni. Quindi tanto varrebbe non farlo. Ma vallo a spiegare al mio approfittatore.

Lui si toglie le mutande, o meglio se le abbassa solamente il necessario per far uscire quella bella mazza possente e pulsante. Potrebbe essere il più grande e grosso pene che io abbia mai visto e lo sento tutto quando me lo sbatte dentro. Lo sento arrivare fino alla pancia e le ovaie mi dolgono.

Fra l’altro a differenza degli altri lui ha una resistenza pazzesca nonostante la giornata lavorativa di dodici ore. E io non sono nel pieno delle mie competenze fisiche per aiutarlo al compimento dell’atto.

Finisce comunque dopo un po’ e io non ricordo molto, se non il quasi nullo scambio di tenerezze alla fine. Non perché lui fosse restio ma io non me la sentivo di scendere a un livello ancora più profondo di intimità. Mi chiede addirittura di dormire insieme ma declino l’offerta, vado a casa mia. Ormai mi sono vagamente ripresa e non ho voglia di smaltire la sbronza con della compagnia nel letto.

Il giorno dopo mi sveglio con la nausea. E non c’entra la birra. È il mio corpo che sta cercando di lanciare dei segnali. Di tirarmene fuori appena riesco, di non entrare in questo tunnel che sembra così semplice ma in realtà può trasformarsi in un labirinto di rovi.

E nonostante deglutissi a intervalli regolari per cacciare giù del vomito immaginario, a lavoro dovevo andarci per forza. E ovviamente lui era lì. Sorridente e pimpante, pronto per una nuova giornata. I giorni a stretto contatto passavano veloci e la nausea piano piano si attenuava. Il fuoco che si accendeva con solo uno sguardo si poteva estinguere solo in un modo. Scopando.

Scopando fino a farmi sanguinare. Scopando fino a implorarlo di smetterla. Scopando ovunque. A casa, in macchina, per terra, a lavoro, in cucina, contro gli armadietti, su delle casse di coca cola. Le ginocchia sbucciate e una corazza intorno a me sempre più forte.

Più questo uomo mi entrava dentro la passera più il mio cuore si inspessiva fino a diventare di cartone e il mio corpo somigliava sempre di più a un contenitore di fluidi e sangue. 

Non provavo nulla. Non volevo nulla di più. Era come un vibratore gigante da portarsi ovunque. Non parlavamo praticamente mai al di fuori di cose di lavoro e di cose inerenti al sesso. E non facevamo mai niente insieme che comprendesse l’uso di vestiti. Forse in quel momento ne avevo bisogno, di non coinvolgermi, di non pensare, solo di non sentirmi sola per quelle notti in cui il letto diventava gelato.

Entrambi avevamo altre relazioni, io sporadiche e brevi e lui anche, qualche avventura di cui a volte mi raccontava, a volte no. Per poi ripiombare sempre da me, e io da lui. Magnetici come due calamite. Fredde e nude.

Il piccolo problema era la sua fidanzata. Già, una lunghissima, sempiterna, prevedibilissima relazione a distanza con una ragazza dalle lunghe unghie e dalle folte extension che aveva dimora nella bedda Sicilia. E la cosa non mi toccava, ero io in fin dei conti che avevo in mano il suo uccello mentre lui le mandava la buonanotte.

Se non fosse che lei, in qualche modo strano è riuscita a scoprire tutte le sue tresche. E il 90% delle sue tresche ero io. La ragazza, con una spina dorsale rigida quanto una lumaca, nelle sue brevi visite al nord si è fatta vedere a lavoro, dove sapeva si consumavano i nostri atti impuri alle sue spalle.

Ma sempre per la stessa sua forza d’animo e orgoglio inesistente ha perdonato il fedifrago in un battito di ciglia finte. Credendo alle sue storie in cui diceva che ero io a torturarlo e a reclamare le sue attenzioni, e lui vittima delle tentazioni della carne ha dovuto cedere. Una,  due, mille volte.

Vedere la sua ragazza di sempre in lacrime non lo ha fermato. Mai, neanche una volta, forse quella parvenza di cuore che celava sotto quei pettorali ossuti ha avuto un sussulto, ma niente che somigliasse al pentimento. E intanto le vacanze, gli anelli, le borse, le foto, le ricorrenze.

Tutto rigorosamente passato insieme, sotto quella maschera di amore, fragile quanto un cracker, falso come Giuda. Nelle foto lui neanche faceva quel suo sorriso da terranova, labbra unite, una linea retta, imperturbabile.

E mentre l’isolana  faceva progetti di vita insieme, di matrimonio e figli così cari ai meridionali, lui continuava a stare con me una notte sì e l’altra pure. Non lasciandola in balia dei suoi sogni, ma illudendola che erano solide certezze, che lui molto presto gli avrebbe dato.

E a me questa cosa cominciava a dare fastidio. Non per una questione di gelosia sia ben chiaro, ma solamente di coerenza. Mi veniva così difficile capire perché non la lasciasse invece che continuare a tenerla incatenata a lui nonostante non gli importasse niente. L’unica volta che forse abbiamo parlato davvero, guardandoci in faccia.

E lui lì mi ha detto di quanto tenesse a me, di quanto avrebbe voluto vivere insieme a me piuttosto che trascorrere attaccati la notte per poi dormire ognuno a casa propria. Di quanto lui si sarebbe preso cura di me, come non avevo mai trovato nessuno. Di come mi avrebbe accudito e messo in una bolla dove niente e nessuno avrebbe potuto scalfirmi. Ed era una proposta appetitosa, allettante.

Se solo avessi avuto anche una parvenza di sentimento o fiducia nei suoi confronti. Cosa che non avevo assolutamente e che mai mi sarei indotta di provare.

Il ragazzo era cotto come una pera cotta e i colleghi intorno a noi me lo dicevano, mi mettevano al corrente di cose che accadevano intorno a me e che io, così presa da me stessa non riuscivo a notare.

Il modo in cui a lavoro non mi toglieva gli occhi di dosso, di come fosse sempre intorno a me appena mi appartavo un attimo, di come mi difendeva a spada tratta da chi  osasse rivolgermi una critica.

Ed è lì che per coerenza, cosa che purtroppo conservo a palate, decisi di troncarla. Perchè mi sarebbe dispiaciuto perdere il mio giochino erotico ma che non potevo sopportare l’idea che lui soffrisse e fosse coinvolto quando in realtà io non lo ero neanche lontanamente.

Sarebbe stato come continuare a punzecchiare con un bastone un uccello già morto. E io non volevo farlo. E lui era proprio per questa eventualità che non aveva lasciato quella palla al piede che si ritrovava.

Perchè sapeva che il giorno in cui io mi sarei stancata lei ci sarebbe comunque stata, lì ad aspettarlo per sempre, nonostante tutto. Lui diceva che era quello l’amore, che lei lo amava così tanto.

Ma tu, tu la ami? Gli chiesi, guardandolo negli occhi. Lei mi ama. E tu non mi vuoi, e non mi vorrai mai.

Ecco. L’avere un appiglio nel vuoto deve essere questo. Sotto di te un crepaccio profondo cinquemila metri con in fondo rocce acuminate. E tu stai lì, appeso a questo ramo che apparentemente ti salva la vita.

Ma che non ti fa salire in alto verso tutto il resto, ti impedisce solamente di morire in modo atroce. E tu stai là, appeso come un salame con i piedi penzoloni. Sotto di te la fine certa, assoluta e il buio pesto. Sopra di te una vita piena di possibilità, di scelte, di probabile felicità. E tu lì in mezzo. Salvo, vivo. Ma niente di più.

Siete state per almeno una volte nella vita le amanti? Non avete mai sognato di andare a spifferare il tutto alla povera cornuta?

Ma mica per una questione di proprietà del manzo, tanto per una dichiarazione di vincita territoriale e un pizzico di solidarietà femminile. Quasi come se diventasse improvvisamente una tua amica, a maggior ragione se sai che ti ha tradito per anni e sospetti che continui a farlo.

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