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“Quel cimitero di convitto deve chiudere”, le testimonianze strazianti dalla Rsa più prestigiosa di Torino (di Selvaggia Lucarelli)

Immagine di copertina
Il Convitto Principessa Felicità di Savoia di Torino

“Vi prego, registrate tutto quello che sto dicendo, io lì non torno più, ma chiamate la procura, fate qualcosa, quel posto deve chiudere!”. La telefonata è straziante. L’infermiera piange e tossisce.

S&D

Ha il Coronavirus da ormai due settimane e ha paura che se non dovesse sopravvivere tutto quello che ha visto “in quel cimitero di convitto”, come lo chiama lei, nessuno lo saprà mai. Il convitto è Il Convitto Principessa Felicita di Savoia di Torino, forse la Rsa più prestigiosa della capitale piemontese. Un edificio tardo barocco sulla collina di Val Salice, immerso nel verde e con una vista su Torino da fare invidia alle ville più belle. Una struttura privata e accreditata Asl.

Quello che è successo lì dentro è ancora opaco, ma ci sono dei punti fermi. A fine febbraio la struttura interrompe le visite ai 216 pazienti e successivamente, a marzo, anche alle badanti private. Le email inviate ai parenti nelle settimane successive sono rassicuranti: è tutto sotto controllo. Il primo marzo subentra una nuova cooperativa con una nuova coordinatrice del personale. Il 15 aprile, subito dopo Pasqua, una mail dalla Rsa inviata dal direttore Davide Tomasiello informa tutti i familiari che ci sono 4 pazienti positivi al Coronavirus, ma che gli ospiti ammalati sono stati isolati e non si registrano casi sospetti. Insomma, tutto sono controllo. Tre giorni dopo arriva una nuova mail ai parenti: questa volta viene comunicato un decesso nella struttura per Coronavirus. Segue la frase: “Siamo vicini ai parenti che soffrono, desideriamo sostenere i nostri lavoratori alcuni dei quali COMINCIANO ad ammalarsi. Seguiremo le indicazioni dell’Unità di crisi, la Asl ha comunicato che saranno fatti tamponi a tutti gli ospiti e i pazienti. Scusate se la comunicazione è difficoltosa ”. Insomma, nel giro di pochi giorni si passa da “va tutto bene” a c’è l’unità di crisi. Tre giorni dopo una nuova mail: sono morti 8 ospiti ma “Solo uno era sicuramente affetto da Covid, per altri 5 si spettava il contagio, per gli ultimi due no. Alcuni ospiti hanno la febbre, le assenze per malattia iniziano ad essere numerose”. Insomma, da “va tutto bene a sono morti in otto”, è passata una settimana. Due giorni dopo l’ennesima mail, questa volta per annunciare che la maggior parte degli operatori è ammalata e devono assumere nuovo personale con il supporto dell’Unità di crisi. Si specifica che “con la consueta trasparenza” tutti saranno informati. Oggi 25 aprile arriva un’altra mail: “Scusate ma dobbiamo sospendere le videochiamate con i parenti e la nostra mail era intasata per le troppe richieste, non inviate mail dopo le 21,00”. Intasata ovviamente dalle richieste dei parenti che sono terrorizzati dal non sapere cosa accade.

Ma cosa sta succedendo lì dentro? “Succede che hanno detto sempre che andava tutto bene finché gli ospiti non hanno cominciato a morire e a star male assieme agli operatori, mia nonna stava bene, dopo poche ore mi hanno informata che era in coma”, racconta Tanya Venturelli, che ha sua nonna ricoverato lì da anni. “Ci sono operatori che hanno iniziato a parlare e raccontano di essere stati invitati a mentire, di essersi ammalati, io mi sono rivolta ai carabinieri di Nichelino e quelli di Barriera, i Nas dicono che devono aspettare la Procura e intanto di sentire un avvocato, ma io lavoro per un avvocato, non capisco perché non intervenga nessuno. Certo, questa non è una Rsa qualunque, è la più bella e prestigiosa, ma noi parenti ci stiamo organizzando per sapere la verità e non ci fermeremo. La paura è che non ci sia personale, alcuni testimoni dicono di interi piani senza più infermieri.”.

A testimoniare su quello che sta accadendo nel convitto, tra gli altri, c’è un’infermiera che si è ammalata due settimane fa. Ha il Covid sebbene nessuno gliel’abbia diagnosticato, perché al Principessa Felicità di Savoia quando è stata male lei, intorno al 9 aprile, di tamponi al personale non ne facevano. Sta molto male, parla e tossisce, piange per la paura e il dispiacere per quelli che chiama “i nonnini”. L’infermiera lavora lì da molti anni e dice di voler parlare perché teme che le succeda qualcosa e giustizia non sia fatta: “E’ il primo giorno che riesco al alzarmi, sono devastata da due settimane di febbre e tosse, non so quanto ancora riuscirò a parlare. Registrate tutte le mie parole, tanto io lì non andrò mai più, tornerò nel mio paese. Non importa quello che accadrà a me, a chi lavora lì, troveremo un altro lavoro e Dio ci proteggerà spero, ma quel posto deve chiudere. Lì dentro non c’è più niente da fare”.

L’infermiera racconta di un clima difficile per il personale, specialmente con il sopraggiungere dei coordinatori del personale della nuova cooperativa i primi di marzo: “Io litigavo perché non avevamo neppure il disinfettante per le mani, dicevo “vergogna”, non lavavano i corridoi, i vetri, non sanificavano le stanze, i termometri con cui ci misuravano la febbre non funzionavano. Poi urlavano sempre, ci spaventavano, noi eravamo senza le protezioni per lavorare, una collega ha fatto delle visiere di plastica a mano. Sono iniziati decessi strani al primo piano e non si faceva niente, ho parlato con un parente che mi diceva “Io sono tranquillo, mia madre è al primo piano, mi hanno detto che lì va tutto bene” e io volevo dire “certo che può stare tranquillo, quelli del primo piano sono morti quasi tutti”. L’infermiera è addolorata per i parenti dei “nonnini”. “Non ci dicevano niente di chi faceva i tamponi, noi abbiamo visto che a Pasqua dei medici cominciavano con le terapie per il Covid ad alcuni pazienti, ma non capivamo niente. Io voglio parlare col signor G., voglio il suo numero per chiamarlo anche se sono stanca, non deve fare il funerale a suo papà senza fargli fare un tampone anche da morto, io gli voglio dire tutto quello che ho visto, deve sapere. Io mi sono preoccupata di imboccare i nonnini, di vedere se aprivano la bocca, ci hanno fatti ammalare tutti, a noi e ai nonnini”.

E poi l’infermiera parla della sua malattia. “Io sono devastata, ho al febbre da due settimane a casa da sola, quando ho sentito che al Convitto avevano iniziato a fare i tamponi al personale ho chiamato 20 volte lì per chiedere di mandare qualcuno a farmelo ma niente. La terapia che sto seguendo mi ha fatto venire una forte tachicardia, pensavo di morire a casa, ora prendo la Tachipirina, la mia dottoressa mi ha inserita nella lista della Asl ma nessuno è mai venuto a casa. Io voglio sopravvivere per tornare per sempre nel mio paese, ma prima voglio parlare perché lì sono dei bugiardi, hanno nascosto tutto. Quel cimitero di convitto deve chiudere. Vi prego, denunciate tutto, fate qualcosa per quei nonnini”.

Al Convitto Principessa Felicita di Savoia, oggi pomeriggio, mi viene detto telefonicamente che il direttore non c’è, è andato via. Chiedo di poter parlare con chi lo sostituisce ma mi viene risposto che nel caso verrò richiamata. Al momento non c’è un numero ufficiale di contagiati e deceduti nel convitto, ma si parla di decine e decine di ospiti morti in circostanze sospette già da febbraio.

***Aggiornamento***
Questa è la risposta che abbiamo ricevuto dalla direzione della clinica: “Gentile dottoressa Lucarelli mi hanno riferito di una sua chiamata al Convitto. Come sa siamo tutti molto impegnati nelle Rsa, ma domani il Convitto farà un comunicato stampa per i giornalisti che in queste ore ci hanno contattati. Cordiali saluti. Massimo Oliverio” (Responsabile operativo, ndr).

Leggi anche: 1. “Mia madre 75enne è abbandonata in un hotel di Milano per la quarantena senza visite né tamponi” / 2. Crisanti a TPI: “Le donne si negativizzano prima. Il Veneto si è salvato perché abbiamo blindato gli ospedali”
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