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Roma, blitz degli attivisti di fronte all’azienda Rheinmetall produttrice di cannoni pronti a essere inviati in Turchia

Roma, attivisti incatenati a Roma di fronte all’azienda Rheinmetall produttrice di cannoni pronti a essere inviati in Turchia

Gruppi di attivisti della rete Rise Up for Rojava si sono incatenati questa mattina a Roma di fronte alla sede dell’azienda italo-tedesca Rheinmetall produttrice dei cannoni Oerlikon da 25mm pronti a partire dall’Italia verso la Turchia. L’ordine risale al 2016: 12 cannoni sono stati richiesti all’azienda da parte della società turca Aselsan Elektronic e il timore è che queste armi possano essere utilizzate nel conflitto in Siria contro i curdi.

In base alle informazioni presenti sul sito della Camera e del Senato, l’ordinativo è stato autorizzato nel 2016 dallo Uama, l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento alle dipendenze del ministero degli Esteri che ogni anno ha il compito di dare il via libera all’export di armi dal nostro Paese.

Parte dei cannoni sono già stati consegnati nel 2017 e nel 2018 e per evitare il blocco immediato dell’export l’azienda si sta probabilmente affrettando a inviare il resto.

Blitz contro export di armi verso la Turchia: le ragioni della protesta

Gli attivisti con il loro blitz protestano contro “l’ipocrisia del governo” che il 16 ottobre ha firmato un atto interno alla Farnesina per bloccare  l’export di armi relativo ai nuovi ordini di armamenti verso la Turchia, senza tuttavia annullare i vecchi contratti.

“Pretendiamo che il Governo italiano, al di là delle sterili dichiarazioni di facciata, adotti tutti i provvedimenti necessari per bloccare immediatamente l’export delle armi verso la Turchia, comprese le commesse già pronte. Appare assurdo, infatti, che un eventuale embargo riguardi solo i futuri ordini, lasciando nel frattempo che gli armamenti prodotti in Italia continuino ad uccidere civili innocenti”, dichiarano i manifestanti.

Il primo blitz degli attivisti di cui TPI ha dato notizia è stato organizzato lo scorso 18 ottobre nel tardo pomeriggio e nella prossime settimane la rete Rise Up for Rojava sembra intenzionata a proseguire nella mobilitazione contro la vendita delle armi.

“Gli attivisti e le attiviste a sostegno della campagna ‘Rise Up for Rojava’ sollecitano a tenere alta l’attenzione sul tema, auspicando che questo blitz sia solo l’inizio di una serie di azioni che nei prossimi giorni potrebbero animare tutto il territorio nazionale, fino a quando non si raggiungerà un reale blocco delle esportazioni di armi alla Turchia”, aggiungono.

L’Italia dal 2016 al 2018  ha ricevuto autorizzazioni per l’esportazione di  761,8 milioni di euro di armamenti verso la Turchia. 362 milioni solo nell’ultimo anno. A certificarlo è la relazione di Camera e Senato resa nota nel maggio scorso.  Questa cifra, come riportato nello stesso documento, “colloca la Turchia “tra i primi 25 Paesi destinatari di licenze individuali di esportazione nel 2018”, per la precisione tra i primi tre, dopo il Qatar e il Pakistan.

turchia siria armi italia

Se invece teniamo conto del dato complessivo a partire dal 2015 le autorizzazioni concesse per l’esportazioni di armi salgono a 890,6 milioni di euro. Nel 2018 le armi effettivamente consegnate erano poco più della metà per un valore di 463,8 milioni di euro, il che significa che l’altra metà deve ancora arrivare a destinazione e potrebbe continuare a partire indisturbata.

I precedenti dell’azienda Rheinmetall produttrice delle bombe utilizzate in Yemen

Tutte le armi che l’Italia esporta in Turchia

L’azienda Rheinmetall è tristemente nota anche per un altro export controverso, quello da parte dell’Italia verso l’Arabia Saudita. Rheinmetall è infatti al casa madre dell’azienda RWM Italia con sede a Domusnovas in provincia di Cagliari. A partire dal 2015 le bombe prodotte dalla fabbrica presente nella cittadina sarda sono state utilizzate dall’Arabia Saudita per bombardare le popolazioni civili dello Yemen.

Caro Pd, perché sostieni ancora l’ingresso della Turchia in Europa?

Come raccontato in questa video-inchiesta pubblicata da TPI l’azienda ha sempre negato ogni responsabilità per l’export di armi verso paesi in stato di conflitto attribuendo la decisione e la “colpa” alla filiale italiana. In realtà Rheinmetall utilizza un complesso metodo di esportazione per evitare di essere sottoposto alla legislazione nazionale tedesca: le sue principali controllate si trovano in Italia e in Sudafrica e da qui l’azienda esporta in tutto il Medio Oriente.

Tutto l’export di armi verso la Turchia: gli elicotteri Atak 129

L’Italia è in stretti rapporti commerciali con la Turchia e l’azienda di Stato Leonardo nel 2007 ha infatti concesso alle industrie turche della Tai (Turkish Aerospace Industries) una licenza di coproduzione degli elicotteri italiani AW 129 Mangusta. In questo modo la Turchia ha potuto produrre in casa gli elicotteri d’attacco AtakT129.

Il contratto di licenza ammontava a oltre 1,2 miliardi di euro e gli elicotteri venivano realizzati completamente in Turchia, il “know-how” però era italiano. L’accordo fu reso noto dalla stessa Leonardo con un comunicato stampa che adesso è stato rimosso dal sito ma che è ancora visibile come url. TPI ha raccontato in esclusiva tutto il commercio degli elicotteri in questo articolo del 10 ottobre e in questo articolo del 16 ottobre.

Il contingente Nato italiano che difende la Turchia dagli attacchi siriani

In Turchia l’Italia è presente anche con un contingente Nato di 130 uomini nella base di “Gazi Kislaşi” di Kahramanmaraş  dove si trova anche una batteria di 25 mezzi terrestri che includono batterie di missili SAMP-T terra aria per fare da scudo protettivo a “eventuali lanci di missili dalla Siria”.

Questa presenza è stata oggetto di discussione dell’informativa alla Camera tenuta il 15 ottobre dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che in merito non ha fornito alcuna risposta. Il giorno seguente è stata approvata a maggioranza una risoluzione per discutere in sede Nato della questione ma per il momento fino al termine della missione a fine dicembre il contingente rimarrà sul territorio per difendere la Turchia dagli attacchi siriani (qui l’inchiesta integrale di TPI sul contingente Nato presente a Ankara).

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