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Home » Cronaca

Processo Cucchi, condannati otto carabinieri per depistaggi

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Processo Cucchi: 8 carabinieri condannati per depistaggi

Dopo la sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna per omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi nei confronti dei carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, arriva un altro verdetto nel processo inerente ai depistaggi messi in atto da alcuni membri dell’Arma subito dopo la morte di Cucchi: gli 8 carabinieri imputati, infatti, sono stati tutti condannati con pene che vanno da 1 a 5 anni.

I carabinieri condannati, ai quali si contestava a vario titolo i reati di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia, sono: il generale Alessandro Casarsa, a cui è stata inflitta una pena di 5 anni, Francesco Cavallo, 4 anni, Luciano Soligo, 4 anni, Massimiliano Colombo Labriola, 1 e 9 mesi, Luca De Cianni, 2 e 6 mesi, Francesco Di Sano, 1 e 3 mesi, Tiziano Testarmata, 1 e 9 mesi, Lorenzo Sabatino, 1 e 3 mesi.

La pena più alta, dunque, è stata inflitta al generale Alessandro Casarsa, per il quale il pm aveva chiesto 7 anni, che all’epoca dei fatti ricopriva il ruolo di comandante del Gruppo Roma.

“Oggi è un giorno importante, se non ancora più importante di lunedì: perché un istante dopo la morte di mio fratello si metteva in piedi la macchina dei depistaggi che è costata alla nostra vita anni e anni di processi a vuoto facendo in modo che entrambi i miei genitori si ammalassero gravemente per tutta quella sofferenza inflitta in maniera brutale” aveva dichiarato prima della sentenza Ilaria Cucchi, sorella di Stefano.

“Ogni volta che entravo in questa aula di giustizia, mi trovavo di fronte gli imputati con la loro aria di superiorità, con quel senso di impunità, quasi a farmi capire che mio fratello non contava niente e tanto meno la sua famiglia. Ho fiducia e spero che oggi venga messo un altro punto su tutta questa tristissima vicenda dalla quale usciamo tutti sconfitti. Mi aspetto che gli imputati vengano condannati e che gli venga impedito di fare il proprio lavoro: non hanno mai chiesto scusa, ci guardavano dall’alto al basso come a dire che non contavamo niente”.

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