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“Sono all’ex Ilva da 18 anni, Arcelor Mittal ha distrutto ogni speranza di futuro”: un lavoratore a TPI

Immagine di copertina
Un lavoratore dell'Ilva Credit: Ansa

Arcelor Mittal il 4 novembre ha notificato ai commissari straordinari e ai sindacati dei lavoratori dell’Ex Ilva la sua volontà di rescindere il contratto di affitto. Ecco cosa ci ha raccontato Vincenzo Mercurio, storico lavoratore delle acciaierie

Ilva di Taranto, un lavoratore a TPI: “Arcelor Mittal ha distrutto ogni speranza di futuro”

Vincenzo Mercurio lavora nello stabilimento dell’ex Ilva di Taranto da 18 anni. Per lui, come per molti altri lavoratori della fabbrica, la pensione è lontana e il desiderio è solo quello di poter lavorare in un luogo sano e avere delle prospettive di vita migliori di quelle che in questi 18 anni ha dovuto fronteggiare. Vincenzo è anche coordinatore di Rsu in fabbrica, per anni, insieme a centinaia di lavoratori si è battuto per i suoi diritti.

S&D

Arcelor Mittal il 4 novembre ha notificato ai commissari straordinari e ai sindacati dei lavoratori dell’Ex Ilva la sua volontà di rescindere il contratto di affitto delle acciaierie che era stato sottoscritto il 31 ottobre 2018 con la proposta di un nuovo piano ambientale per risanare l’azienda.

Nel maggio 2021 il contratto di affitto del polo Ilva si sarebbe trasformato definitivamente in acquisizione, entrando a far parte del consorzio InvestCo Italy (il colosso partecipato al per il 94,4 per cento da ArcelorMittal e per il 5,6 per cento dal gruppo Intesa Sanpaolo). Oltre all’acciaieria di Taranto Arcelor Mittal avrebbe inglobato anche gli insediamenti di Novi Ligure e di Cornigliano.

Migliaia di posti di lavoro sono a rischio.

“Il ritiro di Arcelor Mittal era una notizia scontata. Ce lo aspettavamo per tutti gli eventi cui abbiamo assistito dall’inizio della storia con Mittal. Noi siamo quel sindacato che ha denunciato più volte come Mittal non stesse rispettando gli impegni presi, già dal primo momento ne abbiamo avuto il sentore. Già da quando c’è stata la divisione tra i ragazzi che sono stati spostati in Mittal e quelli che sono rimasti in Ilva As, già da allora, abbiamo avuto il sentore di quello che Mittal aveva in mente”, racconta Vincenzo a TPI.

Cioè cosa aveva in mente?

La società prendeva una posizione più autoritaria sugli accordi. Ci eravamo dati dei parametri sulla scelta del personale e loro sono andati avanti per la loro strada. Quest’anno abbiamo avuto seri problemi sugli investimenti da fare sugli impianti. Abbiamo denunciato tante volte che in quello stabilimento assistiamo a scene di mancata manutenzione, incidenti.

Da quanto lavora lì?

Dal 2001. Mediamente ormai la fascia dei lavoratori ha più o meno i miei anni di servizio, siamo intorno alla ventina d’anni ciascuno fino ai 45. Pochi sono prossimi alla pensione. Però mediamente il 90% sono ancora lontani dalla pensione. Tutti ragazzi con delle speranze sul futuro dell’Ilva.

Quali erano le vostre speranze?

C’è stato un anno e mezzo di trattativa con quelli di Arcelor Mittal, 53 incontri al ministero che ricordo bene perché abbiamo fatto tanti sacrifici per arrivare già con un’intesa, proprio perché Arcelor Mittal cercava di convincere anche noi che loro avrebbero risanato l’azienda.

Anche da un punto di vista ambientale?

Soprattutto da quel punto di vista. Ormai la città di Taranto è martoriata sotto questo punto di vista. In questi anni c’è stato un picco di malattie. Ormai a Taranto chi non ha un caso di tumore in famiglia? È una situazione disperata.

Con che animo si lavora all’interno di un’azienda che può creare tanti danni anche a familiari o amici?

È una delle angosce che abbiamo lì dentro. Quando è arrivato il gruppo Mittal eravamo un po’ tutti lì a guardare il cambiamento, poi a distanza di qualche mese, ci siamo accorti che questo cambiamento non è mai avvenuto. Non c’è mai fine al peggio. Pensavamo che non fosse possibile assistere a qualcosa di peggiore di quanto avevamo provato, e invece all’interno di quello stabilimento il gruppo Mittal non ha mantenuto le promesse.

I lavoratori dell’Ilva di Taranto erano inizialmente entusiasti, oggi hanno abbandonato le speranze. In questi giorni abbiamo fatto delle assemblee per testare il pensiero dei lavoratori: sulle 1.300 persone che hanno preso parte, tutte dicevano che Arcelor Mittal aveva scoraggiato le speranze dei lavoratori in fabbrica.

I sindacati parlano di “bomba sociale”, voi cosa pensate?

In questo momento è un po’ prematuro dire qualcosa perché si deve chiudere il cerchio. Manca una parte importante. Il ricatto che sta facendo Arcelor Mittal non è verso i lavoratori ma è sullo Stato.Abbiamo bisogno di capire se la politica italiana, dato il trascorso, cosa intende fare. Non ci stupisce più niente.

Per tutte le vertenze che lo Stato ha ancora aperte, penso ad Alitalia etc, far succedere una cosa del genere qui a Taranto sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso. In generale nel mondo del lavoro si potrebbe aprire uno scenario molto più pericoloso. E non sarebbe facile mantenere la quiete.

Quale scenario?

Lo Stato italiano a stento sta gestendo le vertenze già aperte, se se ne aggiunge un’altra non si potrà più gestire la situazione. Noi siamo un sindacato di lotte, manifestiamo, una cosa che un po’ si è persa. Per noi è ancora scontato che se qualcuno cerca di fare il furbetto, noi scendiamo in piazza.

Qualora venisse chiuso lo stabilimento Ilva di Taranto, e venisse meno appunto la produzione di acciaio, con il conseguente azzeramento delle 6 milioni di tonnellate annue (anche se ArcelorMittal ne aveva previsto 5,1 mln per quest’anno) sarebbe una vera e propria catastrofe: verrebbe meno l’1,4% del Pil ossia 24 miliardi di euro.

Era questo il calcolo fatto nei mesi scorsi da Il Sole 24 Ore che aveva pubblicato un aggiornamento di un’analisi econometrica commissionata allo Svimez. Vale a dire, numeri alla mano, la stessa cifra che è stata resa necessaria in questa legge di bilancio per scongiurare l’aumento dell’Iva.

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