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Ilva, le imprese dell’indotto avvertono Arcelor Mittal: “Saldi le fatture o blocchiamo tutto”

Immagine di copertina
Credit: Wiki Commons

Ilva, le imprese dell’indotto avvertono Arcelor Mittal

Le imprese dell’indotto dell’ex Ilva avvertono Arcelor Mittal: se la multinazionale non salderà le fatture pendenti entro domani, lunedì 18 novembre, le aziende potrebbero ritirare i propri operai dai cantieri e gli autotrasportatori potrebbero bloccare le portinerie d’ingresso ed uscita merci della fabbrica.

È quanto trapela da fonti sindacali, secondo cui alcuni imprenditori dell’indotto sarebbero sul piede di guerra a causa di un credito complessivo intorno ai 60 milioni di euro.

Le aziende dell’autotrasporto hanno già proclamato lo stato di agitazione della categoria, mettendo in mora l’azienda. Nelle prossime ore potrebbero essere ufficializzate le iniziativa di protesta.

La notizia arriva dopo che ieri, sabato 16 novembre, i commissari straordinari dell’ex Ilva hanno denunciato Arcelor Mittal per presunti danni all’economia nazionale.

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Patuanelli: “Mittal tratta l’Italia come una colonia”

Sull’ex Ilva “c’è in gioco il sistema Paese”, sottolinea il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, in un’intervista al Sole 24 Ore. Secondo il ministro, Arcelor Mittal “pensa di poter trattare l’Italia come una colonia, acquisendo un’azienda strategica per poi decretarne la morte in via unilaterale, in deroga ai contratti ed eliminando dal mercato la concorrenza contro cui aveva vinto una gara europea”.

“Credo che, più di dire che togliendo lo scudo è stato fornito un alibi, sia più corretto dire che è stata tolta la maschera all’azienda, che aveva programmato ben prima il suo disimpegno e che oggi parla addirittura di spegnimento, compromettendo quindi il funzionamento dell’acciaieria”, osserva il ministro.

Il percorso di decarbonizzazione richiede tempo, era presente nel piano industriale della cordata che è stata battuta da Arcelor Mittal nella gara per aggiudicarsi l’ex Ilva. Una gara a cui sono stati impediti i rilanci competitivi e che ha quindi estromesso la cordata concorrente configurando, come dice l’avvocatura, l’eccesso di potere”.

Di Maio: “Importantissimo l’esito del ricorso”

“La strada su cui stiamo puntando come governo è far desistere Arcelor Mittal dall’andare via da Taranto per via giudiziarie. Abbiamo presentato un ricorso ed è su quello che in questo momento aspettiamo una risposta dai giudici”. Lo ha detto Luigi Di Maio, ministro degli Esteri nonché capo politico dei Cinque Stelle, parlando del caso Ilva ad Acerra, in provincia di Napoli. “Tutte le scelte che verranno fatte su Ilva derivano dal fatto che Mittal si risieda al tavolo”.

“Non possiamo permettere a una multinazionale indiana di venire in Italia, firmare un contratto e un anno dopo dire che se ne va perché non gli sta più bene”, sostiene Di Maio. “Perché se lo permettiamo a questa multinazionale lo permettiamo a chiunque. É già successo in passato e vari territori italiani pagano lo scotto di uno Stato che non si è fatto rispettare con le multinazionale e le ha viste andare via indisturbate. Sarà importantissimo in queste ore l’esito di questo ricorso”.

Boccia (Confindustria): “Rimettere lo scudo penale”

Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, insiste intanto sul ripristino dello scudo penale per Arcelor Mittal. “Bisogna rimettere immediatamente lo scudo penale, perché senza quello non c’è commissario né privato che venga a firmare alcunché”, dice Boccia. “Se il governo non rimette lo scudo, chiunque non va a firmare nulla, perché se per investire nel Paese deve essere arrestato… Il governo rimetta lo scudo, convochi l’azienda e apra un confronto serrato a tutto campo nella salvaguardia dell’azienda e dell’occupazione”.

Calenda: “Serve un time out”

“Su Ilva è ora di un bel time out. Mittal deve chiarire la sua posizione con nota pubblica e non tramite la Morselli e il Governo deve rispondere. Sarebbe utile che le procure di Milano e Taranto si coordinassero per non dare segnali contraddittori su spegnimento altoforno 2”. Lo scrive su Twitter l’eurodeputato ed ex ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda.

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