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Coronavirus, giovani a rischio psicosi: 1 su 4 evita ristoranti e negozi gestiti da cinesi

Immagine di copertina
Credits foto: EPA/RUNGROJ YONGRIT

Coronavirus, giovani a rischio psicosi: 1 su 4 evita ristoranti e negozi cinesi

Consapevoli dei rischi del coronavirus, forse più del previsto, ma non per questo meno spaventati: in Italia i ragazzi dimostrano di essere ben informati sull’emergenza che sta allarmando il mondo intero, dalla Cina al resto del pianeta.

A dirlo una ricerca effettuata dal portale Skuola.net, in collaborazione con il prof Giuseppe La Torre del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell’Università “Sapienza” di Roma, su oltre 5mila giovani di età compresa tra gli 11 e i 30 anni. La maggior parte di loro, infatti, è a conoscenza dei principali sintomi della malattia. Questo nonostante la fonte d’informazione primaria siano i social network, luogo naturale d’attracco di fake news e allarmismi incontrollati. Nozioni di base che, però, non li rendono immuni ai comportamenti irrazionali, da vera e propria “psicosi”.

All’ottima preparazione teorica, infatti, lo stesso campione accompagna un approccio un po’ meno “illuminato” nei confronti dei residenti in Italia di origine cinese, lontanissimi dalla fonte del contagio. Circa 1 su 4 confessa, dopo la diffusione dell’infezione, di tenersi a debita distanza da ristoranti (24 per cento) e negozi (26 per cento) gestiti da orientali. Per non parlare di quel 10 per cento che allontanerebbe persino un eventuale compagno di classe o amico di origini cinesi, a cui si aggiunge un 5 per cento che lo inviterebbe a evitare i contatti e un 3 per cento che si metterebbe la mascherina in sua presenza.

Quantomeno un po’ più aderente al reale profilo di rischio è la paura di trovarsi a contatto con chi proviene dai luoghi in cui si è generato il virus: oltre 1 su 3 – il 36 per cento – ammette che il proprio atteggiamento nei confronti dei turisti cinesi, in questo periodo, è notevolmente peggiorato.

Numeri che testimoniano come il tam tam dei social possa condizionare anche chi ha buone informazioni di base. L’80 per cento di dei ragazzi, ad esempio, sa benissimo che il mezzo di trasmissione principale del coronavirus sono le goccioline di saliva contenute nei colpi di tosse e negli starnuti. Ancora più elevate le percentuali di chi individua in tosse e febbre alta le manifestazioni più evidenti del contagio: risponde a colpo sicuro l’85 per cento del campione. Unica nota negativa il fatto che appena l’11 per cento inserisca nell’elenco dei sintomi anche la diarrea.

Buona la dimestichezza persino con informazioni più specifiche, quelle che in questi giorni convulsi potrebbero passare in secondo piano. Come il fatto che i tempi d’incubazione della malattia varino dai 10 ai 15 giorni. Ma il 63 per cento è preparato anche su questo. Stesso discorso in merito alla bufala che indica negli animali da compagnia un possibile veicolo del coronavirus: al momento non ci sono evidenze di ciò e il 60 per cento dei ragazzi intervistati ne è al corrente.

Un vaccino contro il coronavirus? L’80 per cento dice, giustamente, che ad oggi non ne è stato ancora realizzato alcuno. Ma il 72 per cento, qualora ciò avvenisse, prenderebbe in seria considerazione l’ipotesi di vaccinarsi. A prescindere dagli aspetti di prevenzione, il 60 per cento degli intervistati sa che già esistono delle cure per contrastarlo.

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