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Roma, 10 clochard morti in meno di due mesi: “Smettiamo di chiamarla emergenza freddo”

Immagine di copertina

Dieci clochard morti in meno di due mesi. Questo il bilancio della cosiddetta “emergenza freddo” a Roma. Numeri spaventosi che mostrano tutta la distanza che c’è tra qualsiasi piano approntato dal Comune e la realtà. 

Quella che ha ormai assunto i connotati di una strage è iniziata il 29 novembre, quando un uomo è stato trovato senza vita su un marciapiede in zona San Lorenzo. Da quel momento un lungo elenco di date: 8, 19 e 30 dicembre; 2, 4, 7, 8, 14 e 15 gennaio.

Lette così, una dietro l’altra, “fanno impressione” commenta Marta Bonafoni, consigliera della Regione Lazio, che nella mattina del 16 gennaio, in un lungo post su Facebook, dopo la notizia della decima vittima, ha mostrato con i numeri tutta la fragilità di quello che viene chiamato genericamente “piano di accoglienza” del Comune di Roma.

Nessun attacco alla sindaca Raggi, però. “Non è il momento della polemica politica”, sottolinea a TPI. “Qui parliamo di uomini e donne. Di persone. Di un vero e proprio dramma davanti del quale non solo la politica, ma tutti noi siamo parte in causa”.

Quello di Marta Bonafoni è un vero e proprio sfogo personale, che abbiamo raccolto perché mostra, meglio di qualsiasi articolo, la situazione in città.

“Prendiamoci un attimo e contiamo fino a dieci: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10”. È un conto doloroso e la sensazione non cambia se dai numeri si passa ai luoghi: viale dello Scalo di San Lorenzo, piazza della Rovere, lungotevere Testaccio, quartiere Marconi, piazzale Lotto, lungotevere di Pietra Papa, corso d’Italia, ancora lungotevere, piazza Irnerio, Parco della Resistenza.

Dieci senzatetto morti nella Capitale d’Italia, in zone diverse e spesso centrali, compongono una “mappa dell’orrore”. “Di qualcuno di loro sappiamo il nome”: Davide “il clochard colto”, Stanislao, Gino alias “Nereo” oppure “il veronese”, Cornelius. “Altri restano anonimi, quaranta-cinquantenni”.

Di qualcun altro sappiamo come o dove è stato ritrovato: “Vicino alla saracinesca di un negozio, ricoperto di foglie, accanto ai suoi libri, di lato alla ciclabile, con la cagnolina Lilla, carbonizzato dal fuoco partito dal braciere, dietro all’edicola”.

“Dicono”, sottolinea, “che sono morti per l’emergenza freddo ma non è vero, perché il freddo non è un’emergenza e perché a ucciderli sono state la mancata assistenza e la distrazione di un’intera città che si accapiglia sulle buche per le strade ma quasi mai si accorge di chi su quelle strade ci vive, ci dorme, e sempre più spesso ci muore”. 

Il vero problema è che queste persone sono state messe ai margini, e la prova è data dal fallimento del “piano freddo” approntato dal Comune di Roma. “Perché allestire posti letto non basta se poi non si riesce a intercettare queste persone”. 

Perché “per ogni persona che trova un riparo caldo ce n’è una, se non di più, che dorme al freddo perché, come avvenuto alla stazione Tiburtina recentemente, non hanno i requisiti burocratici per dormire sulle brandine”. [Qui il reportage di TPI da stazione Tiburtina]

I numeri, secondo quanto ci ha confermato Sant’Egidio, non tornano: le ultime stime – perché di questo si tratta- parlano di circa 8mila clochard sul territorio cittadino a fronte di appena 486 posti “straordinari” per l’accoglienza, aumentati recentemente con il “piano freddo” di un centinaio di brandine tra le stazioni Tiburtina e Termini. A questi vanno sommati circa mille posti a disposizione del Comune per tutto l’anno.

Per questo “dobbiamo smetterla di chiamarla emergenza” commenta Marta Bonafoni “e iniziare ad accorgerci quante persone sono state messe ai margini della società”.

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