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Non è solo uno sport: la coraggiosa rivolta del basket Usa contro il razzismo (e contro Trump)

Immagine di copertina

Mentre il mondo calcistico è in tumulto per Lionel Messi, oltreoceano si sta consumando un altro evento storico, sebbene con una diversa accezione: lo sport americano si sta fermando, in protesta contro la brutalità della polizia USA nei confronti degli afroamericani. Alle proteste promosse dal Black Lives Matter non sono seguite adeguate risposte politiche, e dopo l’ennesima violenza ai danni di un afroamericano, la situazione si fa nuovamente tesa.

Sport e politica non sono mai stati così in contrasto, e subito torna alla memoria il pugno chiuso alzato da Smith e Carlos alle Olimpiadi del ‘68. Questa volta però non è iniziativa di un singolo o di un gruppo ristretto ma di un’intera lega professionistica: i cestisti NBA stanno infatti boicottando i playoff, il momento clou della stagione di pallacanestro, dopo il caso del ferimento di Jakob Blake da parte di un poliziotto. Al momento il 29enne afroamericano, colpito alle spalle da sette colpi di pistola lo scorso 23 agosto, è in ospedale, non è in pericolo di vita ma rimarrà paralizzato dalla vita in giù.

Cominciamo dalla cronaca recente. Ieri sera, nella bolla di Orlando, Florida, (dove attualmente si stanno giocando le partite post-Covid), era in programma la sfida tra i Milwaukee Bucks e gli Orlando Magic. I giocatori però non sono mai scesi in campo, preferendo rimanere negli spogliatoi mentre il cronometro continuava a scorrere accompagnato solamente da un silenzio assordante. Una scelta improvvisa ma non casuale: i Bucks sono infatti l’unica franchigia di basket dello stato del Wisconsin e il ferimento di Blake è avvenuto proprio a distanza di 40 miglia da Milwaukee.

La stessa squadra che dopo l’omicidio di George Floyd, da cui poi si è innescato il moto di protesta Black Lives Matter in tutta America, era stata la prima a guidare una protesta in strada a fianco della comunità afroamericana. Nel gennaio 2018 invece, l’eccesso di violenza da parte delle forze dell’ordine aveva colpito un loro giocatore, Sterling Brown, colpito con un taser per non aver tolto le mani dalla tasca durante un controllo della polizia. La presa di posizione da parte dei vertici della franchigia anche lì fu dura e secca.

La dichiarazione dei giocatori dei Milwaukee Bucks (Twitter):

E mentre nella convention repubblicana la first lady Melania Trump cercava il dialogo e chiedeva di non attaccare la controparte democratica, Lebron James, il giocatore più rappresentativo del basket a stelle e strisce ieri sera ha attaccato duramente il Presidente Trump (pur senza nominarlo) in un tweet: “F*****o tutto questo! Pretendiamo un cambiamento. Siamo stanchi di tutto ciò”.

L’astio tra Trump e la lega di basket più famosa al mondo risale a qualche settimana fa. L’NBA è considerata una delle leghe più progressiste del panorama sportivo USA (al contrario per esempio del football americano con il caso Kaepernick), in quanto formato in gran parte proprio da atleti afroamericani (il 75% circa). A fine luglio infatti, l’NBA ha deciso di riprendere le gare dopo l’epidemia del Covid e di lasciare piena libertà ai giocatori riguardo alla protesta. Tutti gli atleti così si sono inginocchiati come Kaepernick durante l’inno americano e hanno inserito varie scritte a favore del Black Lives Matter sulle magliette e in pieno atto d’accusa contro le forze dell’ordine. La risposta di Trump non si è fatta attendere: “È una cosa vergognosa, fanno politica. Non guarderò più le partite di basket. Lì ci sono alcune persone molto cattive e stupide”. Anche in quel frangente Lebron ha risposto stizzito: “Pazienza. il basket Nba andrà avanti anche senza di lui”.

L’ultimo screzio fra i due è avvenuto pochi giorni fa, coinvolgendo anche la compagnia di pneumatici GoodYear. Dalla Casa Bianca è partito un duro attacco all’azienda dell’Ohio, rea di vietare ai suoi dipendenti di indossare berretti Make America great Again nelle proprie fabbriche a favore invece dei simboli del Black Lives Matter. Trump scaglia la prima pietra: “Non comprate gli pneumatici Goodyear. Prendete pneumatici migliori a molto meno!”.

Ciò ha avuto ripercussioni anche in borsa. Lebron James, nato e cresciuto ad Akron, cittadina dell’Ohio dove ha sede la Goodyear, ha subito risposto: “Conosco le persone di Akron e quello che Goodyear significa per la nostra città. Se c’è una cosa che so di noi è che non ci pieghiamo o ritiriamo davanti a nessuno. Il mio supporto va a tutti i lavoratori”.

James è il giocatore più famoso ma si è sempre speso a favore di cause umanitarie ma anche politiche, supportando ad esempio le campagne pro-Obama o per Hillary Clinton. La sua dura posizione presa sembra sia un fardello pesante, del quale però lo stesso atleta sembra non aver paura di sopportare. Segno che la filosofia democristiana “Anche i repubblicani comprano scarpe” di epoca jordaniana sia passata. Ovviamente Lebron James non è stato il solo ad attaccare duramente il Presidente in carica. L’allenatore dei San Antonio Spurs, Gregg Popovich, lo accusava di essere un codardo dopo l’omicidio Floyd: “Crea situazioni complicate e poi scappa come un ragazzino impaurito”.

Giorni fa, Chris Paul, playmaker degli Oklahoma City Thunder e soprattutto presidente del sindacato giocatori NBA, dopo la partita contro Houston  faceva presagire un’azione di protesta forte da parte dell’intero movimento: “La vittoria è stata bella, ma votare è più importante. Cercherò di parlarne a tutti i miei ragazzi in NBA, altri ragazzi dello sport, proviamo a spingere tutte le squadre a votare. Succedono un sacco di cose in questo paese. Lo sport è bello e va bene. È il modo in cui ci prendiamo cura delle nostre famiglie, ma questi sono i veri problemi che dobbiamo iniziare ad affrontare”. History in the making, si direbbe. Tuttora in questo frangente sono ore calde e il boicottaggio sta ottenendo sempre di più consensi tra i professionisti dello sport.

Durante la notte si è tenuta una riunione proprio fra giocatori e proprietari (la Lega è infatti composta dai proprietari delle singole franchigie, l’azione potrebbe portare dure perdite, soprattutto dopo una situazione già tesa e complicata dovuta al Coronavirus). Indiscrezioni uscite rivelano che le due squadre di Los Angeles, Lakers e Clippers, le più quotate alla vittoria finale, sono le uniche squadre a voler terminare la stagione, apertasi quasi un anno fa, lo scorso ottobre.

Ma l’effetto domino è arrivato subito: nella lega di calcio americana, la Major League Soccer, i giocatori non sono scesi in campo per protesta e si sono sospese cinque gare. Stessa sorte per alcune partite di baseball e della WNBA, la lega professionistica di pallacanestro femminile: giocatrici ferme in protesta; nel caso della squadra delle Washington Mystics, sono apparse addirittura delle t-shirt con sette fori sulla schiena, a rappresentare i colpi di pistola che hanno raggiunto Jacob Blake mentre era disarmato. La tennista Naomi Osaka ha comunicato che non si presenterà in campo nella semifinale del torneo WTA di Cincinnati, in Ohio. La democratica Ocasio-Cortez, ha elogiato in un tweet la posizione assunta dal basket femminile.

Questa merda (il razzismo) è molto più grande del basket. Chiunque non lo capisca è parte del problema”. Il Tweet di Demar Derozan, cestista dei San Antonio Spurs.

È vero che la comunità nera ha molti esponenti di livello, anche nella stessa Hollywood, ma solo un’azione così determinata dal mondo dello sport poteva scoperchiare le ipocrisie politiche, paradossali nel 2020. Un’idea che forse era già scaturita con l’omicidio Floyd, ma che ora ha trovato ancora più adesione dagli atleti statunitensi. La sensazione è che il boicottaggio e la protesta non si fermeranno a breve, senza chiare risposte da parte della Casa Bianca, sia in strada che nei campi da gioco.

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