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Quella volta in cui Fellini si innamorò di una capra: la storia inedita del cineasta più famoso al mondo

Immagine di copertina
Federico Fellini a Roma nel 1972.

La capretta di Fellini: una storia inedita d’amore e di cucina

L’occhio di Fellini sulla vita fu sempre proverbialmente imprevedibile, né si smentì quando, insieme alla Magnani, comparve tra i protagonisti di L’Amore, film a due episodi di Roberto Rossellini uscito nel 1948. Il film venne realizzato a Furore, nel cuore della Costiera amalfitana, del cui fiordo Rossellini, incantato, disse «è il più bello del mondo».

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Il primo dei due episodi, tratto da una pièce teatrale di Jean Cocteau, si intitola Una voce umana. Il secondo, invece, Il miracolo, fu scritto dallo stesso Fellini, allora men che trentenne, e questa volta a cadere nel magico caleidoscopio della sua immaginazione fu una capretta: un animale di cui il futuro premio Oscar s’innamorò al punto di chiedere che, a film finito, la produzione lo salvasse dai pericoli che qualunque bestia commestibile correva nel dopoguerra italiano… Ma, come diceva Mark Twain, «fra la realtà e l’immaginazione c’è una sola differenza, che l’immaginazione dev’essere credibile» e infatti le cose non andarono come previsto.

Fellini stesso raccontò così il momento in cui fu scelto il suo soggetto: «Ci incontrammo in un ristorante e la Magnani mi disse: “Invece di star qui a mangiare, che perdi quell’aria romantica da morto di fame, perché non mi scrivi una bella storia per quel matto del tuo amico Roberto?” Ammiravo la Magnani, ma mi dava un po’ di soggezione con quell’aria da regina degli zingari, le occhiate silenziose e scrutatrici, gli scoppi di risa nei momenti più inattesi. Sembrava sempre risentita, annoiata, altera, ma era una ragazzina timida, che nascondeva un sentimento caldo, pieno, di una vera donna, come vorresti incontrarne più spesso».

Nell’episodio che Fellini scrisse per lei, la Magnani interpreta una donna che i compaesani ritengono un po’ svanita di mente e che, per questa ragione, conduce un’esistenza solitaria, quasi da reietta. La sua unica attività è sorvegliare le capre e talvolta i bambini che qualche famiglia di contadini le affida talvolta, in caso di estrema necessità. Un giorno, una di quelle magnifiche giornate in cui il sole inonda i panorami della Costiera, la pastorella s’imbatte in un uomo barbuto – interpretato proprio da Fellini – e, colta da mistica ispirazione, nonché scossa da un recondito fremito ormonale, si convince che quell’uomo sia in realtà San Giuseppe. Il presunto San Giuseppe non si tira indietro dinanzi all’equivoco: anzi, dopo il suo passaggio, si lascia alle spalle una nuova vita, che la pastorella metterà al mondo nel campanile della chiesa.

Ma nel duetto fra i due giganti del cinema mondiale, s’insinuò un volto nuovo che per qualche ragione riuscì a catturare l’attenzione generale: quello dall’occhio vispo e insieme un po’ stranito, di una capretta. Fellini la adora, ci scherza, ci parla, e tutta la troupe la prende in simpatia, forse per la sua docilità, per quei suoi sguardi pensosi e vani al tempo stesso, da ruminatrice di marijuana…, o per la sua surreale espressività davanti alla macchina da presa. Il talentuoso ovino viene battezzato Nennella e Rossellini la immortala in alcune sequenze e primopiani. A riprese finite, Fellini ottiene che la capretta venga affidata alla protezione della perpetua del parroco del paese. La donna prese molto a cuore la cosa, si affezionò alla bestiola e la portava sempre con sé.

La capretta sembrava davvero felice, e a volte si inerpicava fino al campetto dove i ragazzi andavano a giocare a pallone: ragazzi fra i quali c’era anche Raffaele Ferraioli, leggendario personaggio della Costiera, destinato a diventare sindaco di Furore e a farne la località conosciuta in tutto il mondo che è oggi, e che è anche la memoria vivente di innumerevoli aneddoti fra cui quello inedito che qui abbiamo raccontato per la prima volta. Ma la naturalezza con cui Nennella si aggirava per il paese, finì per costarle cara. Il parroco la notò, e da quel momento il suo destino fu segnato. La perpetua la difese fino all’ultimo: questa non è «una capra qualunque», obiettò al prete, ma «una capra del cinematografo e nessuno se la può mangiare!». Ma dinanzi all’insistenza del religioso, fu costretta a capitolare. «La vita è una combinazione di pasta e magia», diceva Fellini, ma quel giorno la sua amata capretta finì in pentola, e alla combinazione si aggiunse anche una porzione di stufato.

Leggi anche: Quando Fellini fece commuovere Giulietta Masina e il pubblico degli Oscar
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