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Home » News

Piano Condor, le prime condanne ma anche lacrime per troppe assoluzioni

Immagine di copertina

Ergastolo per gli assassini di vittime cilene come Omar Venturelli e Juan Montiglio

 

Alla lettura della sentenza, nella gelida aula bunker di
Rebibbia a Roma, la sera del 17 gennaio 2017 ci sono stati familiari di
“desaparecidos” dell’America Latina che hanno pianto e altri che invece hanno
invece visto riconosciuto il loro lungo sforzo. Otto ergastoli, l’accusa ne
aveva chiesti 27. Per altri cinque accusati sugli iniziali 33 è calato il velo
della morte. Libero e assolto l’unico accusato residente in Italia, l’ex
capitano del servizio segreto della marina uruguaiana Jorge Troccoli.

Sotto processo a Roma, di fronte alla Terza Corte di Assise,
il piano Condor, il sistema micidiale con cui tra gli anni ’70 e ’80 in America
Latina le dittature dettero una caccia spietata ai giovani oppositori superando
le frontiere grazie a un’intesa tra le intelligence dei vari paesi. Numerose le
vittime in Cile, Argentina, Uruguay, Perù e Bolivia. L’inchiesta promossa dal
Procuratore Aggiunto Giancarlo Capaldo nel 1999 si è trascinata nel tempo sfociando
nel febbraio del 2015 nel processo che ha visto accusati 33 ex militari
latino-americani dell’omicidio di militanti di origine italiana come, per i
casi più noti, il sacerdote Omar Venturelli in Cile.

Ergastolo dunque per i cileni Hernàn Ramirez Ramirez,
all’epoca della scomparsa di Omar Venturelli comandante della regione militare
di Temuco, e per Rafael Ahumada Valderrama, ritenuto responsabile della morte
di Juan Montiglio, un giovane socialista della guardia di Salvador Allende,
catturato l’11 settembre del ’73 nell’assalto alla Moneda, portato in una
caserma, fucilato e poi dilaniato a colpi di bombe a mano perché non ne
restasse traccia.

Condannati alla stessa pena anche i boliviani Luis Garcia
Meza Tejada e Luis Arce Gomez, i peruviani Francisco Morales Bermudez Cerruti,
Pedro Prada Richter e Germàn Ruiz Figueroa. Ultimo degli ergastoli comminati
quello per l’uruguayano Juan Carlos Blanco ritenuto responsabile dell’omicidio
di  Daniel Alvaro Banfi, perpetrato in
Argentina.

C’era attesa per i quattordici accusati uruguaiani, in
particolare per Troccoli. Il vicepresidente dell’Uruguay Raul Sendic presente
in aula ha accolto impassibilmente il verdetto. Prima della sentenza aveva
espresso parole di riconoscenza verso l’Italia “impegnata a così grande
distanza dai fatti in un processo come questo”.

 

Otto ergastoli, per militari di quattro paesi (Cile,
Uruguay, Perù e Bolivia), un primo passo per dire che il Piano Condor è
effettivamente esistito.

I con dannati sono stati ritenuti colpevoli di aver attuato un
piano di sterminio che ha infierito in America Latina negli anni ’70 e ’80 ai
danni di un’intera generazione di giovani militanti di sinistra, tra i quali
numerosi quelli di origine italiana, inseguiti, torturati, spesso uccisi oltre
le frontiere dei rispettivi paesi di origine. Una sentenza importante quella
della Terza Corte d’Assise di Roma che ha condannato otto ex militari per la
terribile catena di omicidi perpetrati tramite un sistema di mutua assistenza
tra i dittatori golpisti degli anni ’70 e le loro strutture poliziesche ai
danni degli oppositori, un meccanismo spietato di caccia all’uomo concluso in luoghi
di tortura e morte dal triste nome come Villa Grimaldi a Santiago del Cile.

 

La Terza Corte d’Assise di Roma presieduta da Evelina Canale
al termine di un processo celebrato nell’aula bunker di Rebibbia per oltre 23
mesi e 61 udienze ha accolto in parte le richieste della Procura, la Pm Tiziana
Cugini aveva chiesto 27 ergastoli e un’assoluzione (per cinque imputati infine
è intervenuta nel frattempo la morte, come per i vertici della polizia segreta
cilena, Manuel Contreras deceduto recentemente in carcere e Arellano Stark).

Libero invece l’uruguaiano Jorge Troccoli, l’unico degli
accusati residente in Italia, all’epoca dei misfatti  capitano del servizio segreto della marina
uruguaiana, il Fusna Troccoli a causa dei processi in cui era coinvolto in
Uruguay era espatriato alla fine degli anni ’90 per riparare in Italia, dove si
è installato nel salernitano, prima a Marina di Camerota e ora a Battipaglia.
Grazie alle sue origini italiane, Troccoli ha
ottenuto il passaporto e la cittadinanza italiana.
In Italia era stato  arrestato nel 2008 e poi scarcerato. Ora doveva
rispondere per numerosi  omicidi compresi
quelli degli italo-uruguaiani Edmundo Dossetti, Ileana
Garcia, Julio D’Elia, Yolanda Casco, Raul Borrelli e Raul Gambaro.
In un
libro dal titolo “L’ira del Leviatano”, uscito vent’anni fa, Troccoli
giustificando ciò che era allora avvenuto si proponeva come un integerrimo servitore dello stato.

 

Alla lettura dell’udienza era presente una delegazione
ufficiale dell’Uruguay, guidata dal vicepresidente Raul Sendic, oltre a
familiari di alcune vittime, venuti dal Cile come i due figli di Juan
Montiglio, Tamara e Alejandro: il loro padre era un giovane militante
socialista del gruppo di difesa del presidente Allende: Montiglio mentre
Allende si suicidava all’interno della Moneda Montiglio fu catturato dai
militari golpisti, portato davanti a una fossa comune, fucilato e poi ormai
cadavere ridotto in pezzi per mezzo di una carica di dinamite. Delusione invece
per Margarita Maino, sorella di un altro cileno “desaparecido”, Juan Maino. Di
lui,  militante cattolico del movimento
Mapu, nonché valente fotografo, si sa che dopo le torture subite a Villa
Grimaldi fu poi eliminato nel 1973 in una struttura agricola gestita da
tedeschi ex nazisti, la Colonia Dignidad.

 

Per Maria Paz Venturelli,infine, figlia del “desaparecido” italo-cileno
Omar e esule in Italia dall’età di tre anni, questo nuovo processo ha
rappresentato una seconda occasione per cercare giustizia dopo l’esito negativo
del processo nei confronti di Alfonso Podlech assolto nel novembre 2011 per
insufficienza di prove dall’accusa di aver eliminato suo padre, un ex sacerdote
poi professore universitario a Temuco nel sud del Cile. Ora la Terza corte ha
dichiarato colpevole della sua morte Hernàn Jeronimo  Ramírez Ramírez.

 

E’ arrivata dunque a un primo risultato definitivo la complessa
inchiesta promossa dal lontano 1999 dal Procuratore Aggiunto Giancarlo Capaldo
e infine gestita dalla Pm Cugini, uno dei filoni che hanno permesso alla
giustizia italiana di pronunciarsi attraverso cinque processi d’assise sulle
tragiche vicende dei “desaparecidos” latino-americani. L’inchiesta sul Piano
Condor aveva inizialmente permesso al magistrato inquirente, Giancarlo Capaldo,
di stendere una prima lista di 140 accusati per le varie imprese criminali perpetrate
in un arco di paesi che comprende  Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay,
Uruguay e Perù. Gli accusati si sono ridotti nel tempo a poco più di
una
trentina, quelli del processo in Assise avviato nel febbraio del 2015. Ora in
appello la prossima battaglia per estendere questo verdetto anche ad altri ora
assolti.

 

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