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Salvini vada a caccia di spacciatori senza telecamere e senza scorta

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Per fare politica ci vuole senso di responsabilità, non si gioca con la disperazione della gente. Nessuna recita al citofono salverà un figlio che decide di drogarsi e il dolo sta nell'approfittarsi della disperazione di una madre. Il commento di L. Tomasetta

Salvini vada a caccia di spacciatori senza telecamere e senza scorta

La politica si fa casa per casa. Il leader leghista Matteo Salvini deve aver preso questo motto alla lettera quando ha deciso che la propaganda andasse fatta a ogni costo, andando a caccia dello “spacciatore tunisino”, in favore di telecamera.

Come giustamente ha scritto Luca Telese sempre su queste colonne, “è stata abbattuta un’altra e salvifica barriera invisibile che ci ha protetto fino ad oggi. Il senso del limite”.

“I residenti dicono che qui abita uno spacciatore”, e così Salvini, accompagnato da una sua accesa sostenitrice, ha chiamato al citofono i presunti pusher: “Buonasera, ci può far entrare? Ci hanno segnalato una cosa spiacevole che vorrei smentisse. Ci hanno detto che da lei parte una parte dello spaccio del quartiere, è vero?”.

Se non fosse tragico e irrispettoso, gli si potrebbe perdonare il gesto come atto estremo da campagna elettorale. Quasi una zona franca del “tutto è permesso” nel delirio che accompagna gli ultimi giorni prima del voto.

Peccato che di mezzo ci siano genitori, ragazzi, cittadini e persone – persone – più o meno consapevolmente coinvolte in un mero gioco di propaganda che offende e non aiuta.

“Gli spacciatori devono stare in galera, non a casa. Quando una mamma mi chiede aiuto, una mamma che ha perso un figlio per droga, faccio il possibile mettendomi in prima linea, anche se qualche benpensante protesta”, continua a difendersi Salvini all’indomani della diffusione del video.

Polizia, carabinieri, associazioni, Asl, Croce Rossa: perché non porsi il problema che un gesto simile significa scavalcare, vilipendere, oltraggiare il lavoro di tante persone?

Stare in prima linea per aiutare una mamma che ha perso un figlio per droga non può davvero tradursi in una sceneggiata simile.

Forse ci siamo abituati. D’altronde, come non ricordare la lunga sfilata nel quartiere San Lorenzo di Roma, quando morì la giovane Desirée. “Tornerò con la ruspa”: annunciava l’allora ministro dell’Interno davanti allo stabile abbandonato di San Lorenzo dove era stata trovata morta la sedicenne Desirée Mariottini.

“Tornerò qui a incontrare i residenti, ma da ministro mi impegno a fare pulizia e a tornare con la ruspa. Ci sono cento palazzine a Roma in queste condizioni con delinquenti che difendono le occupazioni abusive e lo spaccio” disse Salvini.

Peccato che gli spacciatori di San Lorenzo siano ancora lì e della ruspa di Salvini non si è mai vista nemmeno la punta.

Le piazze di spaccio in Italia certo non mancano, solo nella mappa dello spaccio a Roma, figurano almeno 22-23 “macro aree” e circa un centinaio di vie.

Peccato che Salvini abbia dimenticato Desirée e abbia scelto proprio quelle di Bologna per manifestare il suo desiderio di agire in prima linea.

Salvini si sarebbe avvicinato, senza scorta e senza telecamere, a qualche pusher che presidia gli angoli di San Lorenzo chiedendo “lei spaccia”?

Forse Salvini non lo sa, ma basta avvicinarsi e cercare un approccio che il pusher ti elenca a bassa voce il campionario: “Cosa vuoi? Coca, un pezzo di fumo?”. Un pugno di euro per un tocco di hashish, da 10 a 30 per una dose di eroina, fino a 60-80 per un grammo di coca non troppo tagliata.

È che per fare politica ci vuole senso di responsabilità. Non si gioca con la disperazione della gente, né dall’una né dall’altra parte.

C’è chi con la droga ci combatte da una vita intera, chi per la droga ha perso figli o genitori. Chi per la droga ha sacrificato ogni cosa. Nessuna recita al citofono salverà un figlio che decide di drogarsi. E ogni madre in cuor suo lo sa. Ma il torto sta in chi pensa di poter sfruttare questa sofferenza a proprio vantaggio. È qui il dolo.

Se Salvini vuole fare la voce forte, vada a cercare gli ‘ndranghetisti, quelli che piazzano le bombe sotto i negozi, a quelli che fanno saltare auto e danno corpi in pasto alle fiamme.

A Foggia, i capi mafia, il loro ruolo l’hanno ottenuto con il sangue e con le faide. Perché Salvini non comincia a citofonare a loro, a chiedere conto dei morti e delle bombe.

Loro sono l’anti-Stato, un contropotere che usa sangue e terrore come strumenti di persuasione. Con le bombe e le esecuzioni danno un forte segnale su chi comanda e su quanto grande sia lo strapotere della mafia foggiana poiché in città in dieci giorni sono stati compiuti sei attentati intimidatori e un omicidio.

Ma di questo nessuno parla. Dov’è il desiderio di giustizia di fronte a tutto questo? Manca il semplice, vilipeso, senso del pudore.

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