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Fontana ha paura di perdere consensi: per questo ha cambiato idea e ora vuole aprire tutto. Schizofrenia di un governatore

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Lombardia, Fontana ha paura di perdere consensi: ora vuole aprire tutto

Riaprire!, No, chiudere!, Riaprire, no, chiudere, oggi sì, domani no, domani boh. Il caso del presidente della Lombardia Attilio Fontana – risoluto e tetragono a corrente alternata – ha già tutte le caratteristiche per essere studiato domani nelle facoltà di politologia, quando questi giorni folli saranno finiti, come un mirabile esempio di auto-dissipazione. Una sorta di Dottor Jeckyll e Mister Hide ai tempi del Covid,un suicidio amministrativo a mezzo ordinanza.  In questa tormentata vicenda la politica ovviamente non c’entra nulla, la tenuta psicofisica e la lucidità probabilmente sì. Il virus ha fatto cadere ogni distinzione tra destra e sinistra nelle politiche di contrasto, tendendo alte quelle tra buonsenso e follia, tra isteria e calma.

Al contrario del suo collega Luca Zaia, che pure è uomo del Carroccio come lui, Fontana non ne ha azzeccata una. Zaia, miglior espressione di una storica anima del leghismo, quella pragmatica (che ha sempre convissuto con quella ideologica), proprio in nome di questa tradizione di efficienza amministrativa, ha preso una strada e non l’ha più mollata: test e tamponi, monitoraggio e tracciatura. Da due mesi sta tenendo questa rotta, con coerenza quasi ossessiva. Si può criticarlo – forse – ma non certo rimproverarlo sulla linearità e la consequenzialità delle sue scelte.

E poi il governatore del Veneto ha maturato una idea, coltivata nel tempo, costruendo le condizioni per poterla attuare: riaprire in sicurezza. Non bisogna dimenticare che proprio in Veneto – esattamente come in Lombardia – era stata proclamata la prima zona rossa d’Italia. Poi i destini – di sicuro anche per altri fattori – si sono separati e la forza nei numeri si è fatta tirannica nei suoi verdetti: il tasso di mortalità del virus in Lombardia oggi è del 18 per cento, quello del Veneto è del 6.1 per cento, uno dei più bassi, il quintultimo in Italia (in condizioni migliori ci sono solo Molise, Lazio, Basilicata e Umbria).

 

 

Quindi la Lombardia oggi produce le cifre più preoccupanti nella spettrografia pandemica, sia in numeri assoluti che in percentuale, sia per numero di contagi che per numero di morti assoluti, sia per tasso percentuale di mortalità. Quindi il tema è che Zaia non solo ha preso una linea coerente, ma ha costruito anche le condizioni per poterla attuare. Fontana – invece – da mesi continua a procedere a zig zag con clamorose capriole che hanno creato disorientamento, sopratutto in chi gli sta vicino: improvvisa di ora in ora.

Solo martedì scorso (non un anno, ma due giorni fa!) il governatore della Lombardia nella sua regione aveva azzerato la cauta disposizione del governo sulla riapertura delle librerie. Troppi rischi di contagio, aveva detto Fontana, troppi potenziali contatti, e le serrande erano rimaste abbassate per 10 milioni di italiani. Chiunque può giudicare come in due giorni non sia cambiato assolutamente nulla, dal punto di vista dei numeri del contagio. E che quindi è davvero incredibile che la stessa giunta secondo cui non c’erano le condizioni per gestire la riapertura (sia pure in esercizi “a traffico ridotto”), difficilmente potrebbe sostenere l’idea di “riaprire tutto”.

Tuttavia è esattamente questo il punto: Fontana adesso dice che vuole riaccendere tutte le attività, comprese quelle industriali, in sole due settimane, esattamente come fino a 48ore fa voleva chiudere ogni cosa in nome della riduzione del contagio. Fontana ha rimproverato al governo di non aver chiuso la famosa zona rossa di Bergamo, ma ha platealmente ignorato che il governo, da una settimana, lo invitava a procedere in autonomia se ne ravvisava gli estremi. La chiusura della Lombardia – come è noto – alla fine è stata decisa, sempre dal governo, con un provvedimento deciso a livello centrale.

 

 

Mentre faceva queste pressioni sul governo nazionale perché altri prendessero le decisioni che lui non aveva il coraggio di prendere (avrebbe voluto dire mettersi contro gli imprenditori e la Confindustria regionale), tuttavia, la Lombardia teneva un atteggiamento del tutto divergente nella sua gestione dell’emergenza soprattutto sul piano sanitario, con le direttive che qui su TPI abbiamo documentato con carte e documenti, che sono diventati l’origine di veri e propri disastri (a partire dalla gestione dell’ospedale di Alzano Lombardo).

La Lombardia cercava grandi successi di immagine di sapore “autonomista”, e per fare questo, dopo tanti scivoloni, ha provato a cavalcare la vicenda dell’ospedale della Fiera cercandolo di trasformare “nell’ospedale dei lombardi”, un successo “dei lombardi”, l’ospedale “che ci paghiamo noi con i soldi nostri”, proprio mentre lo allestivano con i respiratori messi a disposizione (come era giusto) dal governo, e richiesti personalmente da Guido Bertolaso, poco prima di ammalarsi, al ministro Boccia. Nelle stesse ore un terzo di tutti i respiratori acquistati dallo Stato italiano (come era giusto) venivano destinati in Lombardia, suscitando anche i malumori degli altri governatori. E nelle stesse ore, voli di medici e infermieri volontari – organizzati da governo e Protezione Civile – arrivavano in Lombardia per sostenere gli ospedali più colpiti.

Nonostante questo, da Fontana, proprio mentre con una mano chiudeva e otteneva, con l’altra arrivavano proteste e invettive “contro Roma”. Anche in questo caso, la differenza con Zaia era abissale: il governatore del Veneto non ha mai fatto lagne, mai creato polemiche artificiose, e anche quando aveva posizioni diverse (come è legittimo) da quelle del governo centrale, il massimo della polemicità che si è consentito è stata “Non è questo il momento di fare polemiche” (come ha risposto in una  intervista a #CartaBianca solo dieci giorni fa).

 

 

Il punto adesso è: anche chi, come il sottoscritto, da tempo sostiene l’ipotesi di una “fase 2 intelligente” da applicare nei tempi più stretti possibili, non può non domandarsi come si possa passare dall’idea di una “chiusura totale” a quella di una “riapertura totale” in sole 24 ore, e per giunta proprio nella regione più contaminata d’Italia. La spiegazione è molto semplice: i timori per il consenso in Lombardia stanno determinando le scelte sanitarie della giunta. Mentre, casomai – come nel caso del Veneto – dovrebbe essere esattamente il contrario: solo azzeccando le mosse giuste si può sperare, legittimamente, di costruire consenso.

Ma Fontana in questo momento ha avvertito le pressioni (comprensibili) dei settori produttivi, ha registrato le dinamiche della Confindustria (dove Licia Mattioli, la sfidante del candidato “lombardo” Bonomi, è una aprituttista convinta), si è accorto che il movimento delle “riaperture spontanee” (con i nulla osta, senza veri permessi e con gli escamotages più disparati) abbia preso piede sul suo territorio, in modo diffuso, nelle piccole imprese e negli esercizi, sostenuto dalla forza della disperazione.

Il governatore ha capito – in una parola – di non essere più in sintonia con il suo popolo, e – al contrario – che la linea “ideologica” del chiudere tutto, era invisa ai suoi stessi elettori. Così, mentre fino a ieri cercava consenso con la paura, presentandosi come il campione dei “chiudituttisti” e costruendo la sua polemica contro Roma, all’insegna di un rigore securitario, adesso Fontana ribalta tutto, cambia linea e diventa disinvoltamente “aprituttista”, con l’idea di recuperare il consenso che stava perdendo. È una scelta disperata, che non può invertire la tendenza: nel breve o nel lungo periodo, infatti, qualcuno si presenterà alla cassa a chiedere il conto. E in tempi di follia – come sappiamo – l’unica moneta che paga sempre è la coerenza.

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