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Coronavirus: Luca Zaia è l’unico vero modello italiano, come Wuhan (di Selvaggia Lucarelli)

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Coronavirus: Luca Zaia è l’unico vero modello italiano

Mentre il paese annaspa, Luca Zaia sembra l’unico ad avere la lucidità spietata, per nulla rassicurante e consolatoria, che serve a gestire questo momento. E a vedere le decisioni che prende, a sentire le cose che dice, sembra anche quello che si informa di più su quelle che sono le decisioni prese da paesi in cui il contagio è stato gestito con maggior successo, in primis la Corea del Sud. Insomma, le sue battute sui cinesi e i topi, a osservare la gestione dell’emergenza in Veneto, diventano un peccato decisamente veniale.

S&D

Intanto Zaia, con la decisione di effettuare più tamponi possibili, ha capito una cosa fondamentale, e cioè che gli asintomatici sono un veicolo formidabile della malattia. L’esperimento di Vo’ Euganeo (tremila tamponi a tutta la popolazione) ha dimostrato che la maggior parte dei contagiati non ha neppure sintomi simil influenzali e che la malattia è diffusissima anche tra i giovani. Una questione di una immensa rilevanza che trova conferma nei dati forniti dalla Corea del Sud (il paese in cui sono stati effettuati più tamponi al mondo, anche agli asintomatici e in buona parte su base volontaria), dati da cui si evince che il maggior numero di persone positive ha tra i 20 e i 29 anni (il 29 per cento della popolazione).

 

Le statistiche italiane sono dunque con alta probabilità alterate dal fatto che si effettuano tamponi solo ai sintomatici con sintomi gravi, spesso anziani o persone ospedalizzate (in Italia solo il 3 per cento della popolazione tra i 20 e i 29 anni avrebbe contratto il virus, percentuale poco plausibile). Zaia, che ha ben presente la questione, ha quindi deciso di arginare il contagio “mappando” il più possibile la sua diffusione. Più tamponi per tutti e l’intenzione di farli anche fuori dai supermercati, on the road, “perché più positivi troviamo, più ne isoliamo e minore sarà la diffusione dell’infezione”.

I tamponi costano, è vero, ma se si considera che un tampone costa all’incirca 30 euro e che una persona in terapia intensiva costa alla sanità tra i 2.500 e i 3.000 euro al giorno (come affermato dal professor Andrea Crisanti), forse fare i tamponi non è poi una scelta così sconsiderata anche sul piano economico. Non solo. Luca Zaia ha ben chiaro un altro passaggio fondamentale, che nel resto del paese appare piuttosto trascurato o dimenticato: la tracciatura dei contatti degli ammalati è fondamentale. Sembra banale da sottolineare ma la verità, quella che ormai si fatica a dire, è che la Asl non è più in grado di effettuarla.

Se all’inizio si contattavano le persone con cui i malati avevano avuto incontri, ormai in Lombardia e anche nel resto d’Italia, soprattutto laddove il contagio ha raggiunto livelli di espansione importanti, questa è una pratica svolta saltuariamente. A Wuhan c’erano 9.000 persone incaricate di mappare i contatti dei contagiati, per dire. Qui ormai ci si affida al senso civico degli ammalati, dei parenti degli ammalati, che spesso chiamano in autonomia il panettiere, la sarta, il vicino di scrivania, la vecchia zia con cui avevano avuto dei contatti durante il periodo di incubazione.

Luca Zaia, su questo fronte invece non molla: “Ricostruiamo i contatti di una persona trovata positiva e sintomatica, e poi li sottoponiamo a loro volta al tampone. Siamo a quota 40mila in tutta la Regione: 2.700 positivi asintomatici, e ne abbiamo isolato altre 7mila che hanno avuto contatti con loro”.

Non solo. Gli ospedali italiani sono il più grande focolaio del paese. Si dice a bassa voce, perché gli ospedali sono anche il luogo in cui i medici fanno miracoli nel caos gestionale di queste settimane e dove migliaia di italiani sono accuditi e guariscono, dove il personale stesso muore o rischia la vita. Però che siano stati e siano anche il luogo in cui più di ogni altro si è veicolato il contagio è cosa innegabile. E se il resto del paese fa finta di non saperlo, se i medici e gli infermieri asintomatici entrati in contatto con pazienti infetti non fanno tamponi (perché queste sono le linee guida) e non li fanno neppure quelli che hanno sintomi, il più delle volte, ma continuano perfino a lavorare contagiando pazienti e colleghi, Luca Zaia non ci sta e dice al Corriere della sera: “Affronteranno il tampone anche i condòmini dei cittadini colpiti da coronavirus, grazie a équipe e laboratori analisi predisposti in ogni provincia. L’altro capitolo del piano prevede il test sul Covid-19 per le categorie particolarmente esposte, come forze dell’ordine, medici, farmacisti, dipendenti comunali, di altri uffici pubblici e di servizi essenziali come i supermercati”.

Dunque, basta fingere che i lavoratori indispensabili stiano tutti bene. Perché questo è quello che si sta facendo in Italia, sebbene non si dica con onestà. Le persone che fanno lavori irrinunciabile e a contatto col pubblico paradossalmente sono tra le meno protette. E questo nonostante siano quelle che più facilmente possono non solo ammalarsi, ma favorire i contagi.

Infine, Zaia ha detto una cosa importante e coraggiosa, ovvero che se necessario ha intenzione di ignorare i consigli di parte della comunità scientifica. Attenzione, non ha detto che la scienza non è indispensabile e che va ignorata. Ha detto quello che sappiamo tutti e che anche il professor Galli ha ribadito giorni fa, ovvero che di questo virus sappiamo poco e niente. E che quindi, secondo lui in un momento in cui perfino la scienza su alcuni punti non ha le idee chiare, bisogna prendere delle decisioni forti. “Rispetto la comunità scientifica e il suo libretto di istruzioni. Ma per inseguire questa bestia, forse serve anche creatività, nei limiti delle regole imposte. Ricordo che all’inizio, citando il modello Wuhan, ci era stato detto che ai pazienti sarebbe stata sufficiente la respirazione non invasiva, con il ventilatore portatile. Si è visto come è andata”, ha detto.

Sostenendo anche con coraggio che forse l’indicazione di non usare tutti le mascherine è stata data solo perché non c’era un numero sufficiente di mascherine per soddisfare le richieste. Infine, Luca Zaia ha fatto quello che non hanno fatto Giorgio Gori e il presidente della Regione Lombardia Fontana e che forse non avrebbe trasformato il bergamasco nel focolaio più mortale del paese, anche per l’effetto domino che ha provocato in Lombardia.

Zaia, individuato il focolaio di Vo’ Euganeo, ha avuto il coraggio delle sue decisioni. Nessun dubbio, nessun tentennamento. Nessun timore di esser invasivo, decisionista. Nessun compromesso con la necessità di rassicurazioni. Nessuna sottovalutazione della gravità di un focolaio, seppure in un comune di 3.000 abitanti. Zaia ha capito subito, come era avvenuto per Codogno e comuni del basso lodigiano, che non mettere argini lì, poteva dire non controllare più il mostro in Veneto.

Oggi Vo’ Euganeo non è più un focolaio. È stata spento in tempo. Quello che non è accaduto a Nembro, ad Alzano Lombardo e a Bergamo, forse per un compromesso scellerato con la produttività del cuore industriale del Nord Italia. Luca Zaia, insomma, si appresta a diventare un modello. Come Wuhan. Ed è probabile che a breve, ora che hanno quasi finito di percularlo per la battuta sui topi, gli daranno tutti ragione.

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