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Enes Kanter, il partigiano anti-Erdogan che gioca a basket nell’Nba

Immagine di copertina

C’è un abisso tra chi decide di servire il potente di turno (come i calciatori della Nazionale turca) e chi decide di essere fedele a se stesso nonostante tutto. Il commento di Giulio Cavalli

Ci vuole coraggio per essere liberi. La libertà è come l’aria: te ne accorgi quando comincia a mancare e la nostra comodità troppo spesso ci vela gli occhi sui coraggiosi che abbiamo in giro e che non riusciamo nemmeno a vedere. Proprio ieri i giocatori di calcio della nazionale turca hanno pensato bene ancora una volta di onorare vergognosamente il dittatore turco Erdogan e la sua azione militare contro i territori curdi, un inchino in mondovisione che sporca di vergogna lo sport che dovrebbe essere un inno al rispetto e che invece affonda nell’asservimento internazionale.

Eppure ci sono sportivi che hanno deciso già da tempo di scegliere la via più difficile, quella che obbliga a prendere posizione, a essere partigiani nei confronti di ciò che accade nel proprio Paese. Enes Kanter, ad esempio, proprio stamattina ha deciso sui suoi social ufficiali di levare un urlo contro Erdogan, l’ennesimo, e sulla libertà che “non è libera” se non si scegli di lottare.

Il centro dei Boston Celtics già nel luglio del 2016, quando Erdogan cominciò a usare il pugno duro contro i suoi oppositori in nome del fallito golpe militare, aveva deciso di raccontare al mondo quale fosse lai spregevole caratura del leader turco. Da lì ha cominciato a pagarne le conseguenze, tutti i giorni, sulla propria pelle: è stato condannato al carcere in patria (4 anni per avere definito Erdogan “l’Hitler del ventunesimo secolo”), ha perso i contatti con tutti i suoi famigliari da cui è stato anche pubblicamente disconosciuto, ha il padre in prigione dal 2018, il fratello, anche lui cestista ha perso ogni possibilità di giocare in patria e nessuno della sua famiglia è più riuscito a trovare un lavoro, gli stato revocato il passaporto per un mandato d’arresto internazionale, è minacciato di morte ogni giorno e gli inquirenti riferiscono addirittura di un tentativo di rapimento in Indonesia.

Enes Kanter è un apolide, senza più cittadinanza, uno dei tanti schiacciati dalla violenza del governo turco semplicemente con la fortuna di avere una professione che gli permette di difendersi. Eppure Kanter non ha mai rinunciato al proprio ruolo di voce libera e di difensore di quei diritti che in Turchia sono stati schiacciati dalla convenienza del potere (e dell’Europa).

C’è un abisso tra chi decide di servire il potente di turno e chi decide di essere fedele a se stesso nonostante tutto: Kanter quell’abisso lo percorre ogni giorno, solo, di fronte al mondo. Enes Kanter è un partigiano, pagandone tutte le conseguenze. Solo dopo è un giocatore di NBA. E c’è bisogno di gente così. Dappertutto.

Togliamo a Istanbul la finale di Champions: la propaganda turca imbottisce anche il calcio (di Luca Telese)
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