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Altro che pericolo barconi. Il Coronavirus è stato portato in Algeria da un italiano

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Coronavirus portato in Algeria da un italiano. Altro che barconi

Riflettete su questa notizia: primo caso di Coronavirus in Algeria. Purtroppo è vera, e in questo caso si sa già chi è “il paziente zero”. Si tratta di un italiano, un dipendente dell’Eni, oggi tenuto in isolamento dalle autorità algerine, un lavoratore a cui ovviamente facciamo tutti i migliori auguri di non avere nessuna complicazione.

Questa piccola storia – nel fiume di comunicazione ansiogeno che ci sta investendo – apparentemente è solo un dettaglio. Tuttavia la vicenda di questo signore che arriva da Lodi in un paese africano e porta per primo il contagio merita una riflessione più attenta: non riguarda lui, riguarda noi.

Per un mese, ma sembra un secolo fa, sentivamo ripetere che il virus sarebbe arrivato “con i migranti” e “sui barconi”, insieme “ai disperati dell’Africa”. Adesso l’apologo rovesciato ci insegna che siamo noi i contaminatori, e gli africani, civilmente, si proteggono con la quarantena. Con molta più ragionevolezza di noi, ovvio.

Milano, via Paolo Sarpi è irriconoscibile: tutto chiuso per coronavirus (di Selvaggia Lucarelli)

 

 

Nelle pochissime certezze che il tritacarne mediatico del Coronavirus ci lascia, dal punto di vista epidemiologico, se non altro, c’è questa: come si sapeva fin dalla diffusione in Cina il virus fatica ad attecchire all’aperto e al caldo, prolifera negli spazi chiusi. Stop. Era troppo bello – per i soliti noti e per i troglotwitters – immaginare questa contaminazione come una sorta di damnatio, una colpa supplementare agli occhi di chi guarda il mondo inforcando gli occhiali deformanti dell’ideologia.

“Africani contaminatori”, come nello stereotipo che da anni si evoca senza successo. Ebbene, con un colpo di scena degno del più classico meccanismo di ribaltamento, è accaduto il contrario. Il punto, dunque, è che la vicenda del signore dell’Eni ci aiuta a chiarire alcuni principi di civiltà: siamo tutti contaminatori, cioè malati, i monatti non esistono, come pure le presunte razze superiori.

Vale per i rapporti tra l’Italia e l’Africa, vale anche per gli stereotipi fra Nord e Sud: per questo ho trovato sublime, sapendo che si tratta di uno scherzo, quel cartello che ha furoreggiato sui social nelle ultime ore: “Non si fitta ai settentrionali”. Che ovviamente non va preso sul serio: ma trasformato in una lezione sul virus più letale che circola nel nostro paese in questi giorni: l’imbecillità.

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