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Come sta Roma, nel suo 2769esimo compleanno

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Il passato glorioso, il presente in via di definizione e le prospettive per il futuro di una delle città con più storia al mondo

Sono poche le città al mondo ad avere il privilegio di conoscere la data della loro fondazione e, per questa ragione, poter festeggiare il proprio compleanno. La più importante di queste è probabilmente Roma, che – tradizione vuole – fu fondata il 21 aprile del 753 avanti Cristo dal suo primo re, Romolo.

Solo le quattro lettere del nome della nostra città hanno una forza capace di evocare l’intera sua storia, in tutto il mondo. Alla parola Roma, in qualsiasi angolo del nostro paese, vengono in mente imperatori, papi e artisti. Non staremo qui a ripercorrere tutto quello che è successo in queste migliaia di anni, anche perché non basterebbero gli oltre 10mila articoli presenti su questo sito per farlo in maniera soddisfacente.

Vedremo piuttosto cosa rimane oggi di questi millenni di storia e cosa riservi l’avvenire a una città dalla fama talmente grande da rendere doveroso pensare per essa un futuro magnifico.

Quando nel 1870 Roma venne annessa al Regno d’Italia, lo storico tedesco Theodor Mommsen lamentò il fatto che il nuovo stato non aveva una “idea universale” per la sua nuova capitale, la cui unica idea di questa portata, a suo avviso, veniva dal Vaticano.

Il timore di Mommsen fu che Roma, con tutta la sua storia, fosse ridotta trattata dai suoi nuovi governanti semplicemente come la mera sede burocratica degli affari di un nuovo stato che non rientrava nel novero delle potenze mondiali.

Difficile dare torto al Mommsen, su entrambe le affermazioni. Oggi, nel leggere articoli di politica estera, come quando si legge Washington si intende Stati Uniti e Mosca vuol dire Russia, la parola Roma, più che per Italia, è usata per parlare del Vaticano e del Papa.

Anche questa è una delle caratteristiche che rendono unica la nostra città, capitale – caso unico al mondo – di tre stati, l’Italia, la Città del Vaticano, e il Sovrano Ordine Militare di Malta, che per l’Onu è a tutti gli effetti uno stato, seppur l’unico privo di un territorio.

Questo non è per Roma un momento semplice. Reduce dagli scandali di Mafia Capitale, dalla vicenda che ha portato alla prematura interruzione del mandato del sindaco Ignazio Marino, con le casse comunali a secco, il degrado che un anno fa finiva sulla prima pagina del New York Times, e alla vigilia di nuove elezioni amministrative.

Ma questo non è un motivo sufficiente per mettere da parte questa idea universale di cui parlava il Mommsen e che troppo spesso nell’ultimo secolo e mezzo è mancata. Roma deve risolvere i suoi problemi, gravi e urgenti, ma non limitarsi a puntare a sopravvivere, ma pensare in grande.

La candidatura olimpica per il 2024, ad esempio, non deve essere uno sperpero di denaro, né un modo per favorire la corruzione. Deve diventare un’occasione di coinvolgimento dei cittadini, un’occasione per portare il mondo a Roma come fu nel 1960.

E anche l’occasione per costruire nuove infrastrutture – terminando magari anche quelle incompiute, in primis la metro C e la vela di Calatrava – e realizzare nuove grandi opere architettoniche.

Sì, è vero, la nostra città ha già alcune delle più importanti e spettacolari opere d’arte esistenti, ma può questo essere un buon motivo per fermarci e cullarci sugli allori di un passato glorioso? A Roma serve una reazione d’orgoglio, d’orgoglio vero.

Certo, per farlo vanno in primo luogo risolti i problemi impellenti. Serve una rete di trasporti pubblici degna di questo nome, che non obblighi i romani a prendere la macchina e passarvi dentro ore per spostarsi da un quartiere all’altro, serve un’illuminazione che copra ogni zona della città, un servizio che tenga realmente pulita ogni zona, e l’elenco può essere ancora lungo.

Ma questi problemi non devono mai farci dimenticare che per questa città serve davvero un’idea universale come quella di cui parlava Theodor Mommsen, e che metterla in pratica sta a tutti i romani, dagli amministratori ai cittadini comuni.

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