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Perché starnutiamo quando vediamo la luce

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Già più di duemila anni fa Aristotele aveva studiato questo fenomeno, che per secoli ha fatto interrogare generazioni di scienziati

Secondo uno studio, una parte della popolazione globale compresa tra il 17 e il 35 per cento ha l’abitudine di starnutire appena viene esposta alla luce del sole.

S&D

Ci sono molti nomi per questo disturbo: starnuto riflesso fotico, fotoptamorsi, sindrome ACHOO (tratto da un acronimo inverso e onomatopeico inglese), e in alcuni casi eliociliosternuteogenico. 

Aristotele, oltre duemila anni fa, aveva già studiato il fenomeno, ma pensava che gli starnuti fossero causati dal calore del sole, non dalla luce.

Diversi secoli dopo, negli anni Cinquanta, un ricercatore francese notò che alcuni suoi pazienti reagivano starnutendo al fascio di luce dell’oftalmoscopio – uno strumento utilizzato per visitare la retina – quando veniva puntato contro i loro occhi.

Dopo alcuni esperimenti il ricercatore francese scoprì che sei dei suoi pazienti starnutivano anche a quando venivano esposti alla luce del sole, al flash delle macchine fotografiche e, in alcuni casi, anche alla luce ultravioletta.

Il ricercatore francese notò inoltre che è il passaggio dal buio alla luce – o da una minore a una maggiore intensità della luce – a provocare lo starnuto, non l’esposizione alla luce in sé.

I pazienti starnutivano infatti solo nei primi minuti successivi all’esposizione alla luce, mentre nel lasso di tempo successivo non avevano alcun problema. Era quindi il passaggio da una minore a una maggiore esposizione alla luce a creare questo problema.

In seguito, nel 1964 il fisico H.C. Everett descrisse questo fatto nella rivista scientifica Neurology, e per la prima venne trovato il nome al fenomeno.

Oggi sappiamo che si tratta di una condizione genetica a trasmissione autosomica dominante. Autosomica significa che il gene affiliato a questa condizione non si trova su uno dei cromosomi sessuali, e dominante implica che sia sufficiente ereditare questo tratto genetico da uno dei due genitori per esprimerlo fisicamente.

Nel 2010 un gruppo di genetisti guidati da Nicholas Eriksson, della compagnia per test genetici 23andMe, ha identificato due variazioni genetiche presenti nelle persone affette da questo disturbo. Una di queste due ha a che fare con un gene conosciuto per il suo coinvolgimento delle crisi epilettiche. Per questo, alcuni ricercatori ipotizzano l’esistenza di un collegamento biologico tra i due fenomeni.

Un medico statunitense, Harold H. Morris, nel 1989 ha pubblicato nella rivista medica Cleveland Clinic Journal of Medicine, il caso di una sua paziente, che Morris riusciva a far starnutire esponendola a un flash di luce. In media, il flash provocava dopo 9,9 secondi due starnuti di fila. Altre volte al flash seguivano tre starnuti, a distanza di 4 secondi l’uno dall’altro. 

Nonostante le ricerche, non è ancora chiaro quale sia il collegamento tra la vista della luce e lo starnuto. Una possibilità è che gli occhi e il naso siano collegati tra loro dal quinto nervo cranico, chiamato trigemino. Oppure, potrebbe essere il risultato di un processo chiamato “generalizzazione parasimpatica”.

Secondo questa teoria, quando uno stimolo eccita una parte del corpo del sistema nervoso parasimpatico, anche altre parti del sistema tendono ad attivarsi. 

Altri ancora indicano come spiegazione del fenomeno la restrizione delle pupille che segue all’esposizione alla luce. Questa restrizione potrebbe causare la secrezione e congestione delle membrane mucose nasali, e quindi lo starnuto. 

Lo starnuto riflesso fotico può rivelarsi pericoloso in determinate situazioni, ad esempio quando stiamo guidando e usciamo da un tunnel particolarmente lungo. Questo fenomeno potrebbe inoltre costituire uno svantaggio per chi pratica sport all’aperto a livello professionale. 

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