La procura di Roma ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sull’uccisione di Giovanni Lo Porto, il cooperante palermitano ucciso da un drone statunitense mentre si trovava prigioniero dei miliziani jihadisti in Pakistan.
L’inchiesta, come riferisce Stefania Maurizi di Repubblica, era stata aperta inizialmente come sequestro di persona a scopo di terrorismo, l’indagine si è poi allargata fino a comprendere l’ipotesi di reato di omicidio a carico di ignoti. La Casa Bianca ha risarcito la famiglia con un milione di dollari, ma non ha mai dato dettagli sulle circostanze della sua morte.

Giovanni Lo Porto si trovava in Pakistan a lavorare per la Ong tedesca Welt Hunger Hilfe quando fu rapito da miliziani jihadisti nel gennaio 2012. Nel rapimento, avvenuto nella città di Multan fu coinvolto anche un suo collega tedesco, Bernd Muehlenbeck, che però fu liberato in seguito. Mentre era in ostaggio, al confine tra Afghanistan e Pakistan, Lo Porto rimase accidentalmente ucciso da un drone statunitense nel 2015. Per la sua morte il presidente Obama espresse pubbliche scuse.

L’attacco in cui è morto il cooperante palermitano era uno dei cosiddetti signature strike, un attacco teleguidato in cui gli obiettivi vengono colpiti a caso, senza conoscere la loro identità. 

“La procura di Roma considera l’attacco alla stregua di un’azione bellica di antiterrorismo, un’interpretazione questa destinata a far discutere se si considera che le incursioni dei droni in Pakistan sono gestite dalla Cia, che non è un’organizzazione militare, né il Pakistan, a differenza dell’Afghanistan, è un teatro di guerra”, spiega Maurizi.
La decisione della procura di archiviare il caso arriva dalla consapevolezza che è sempre più remota l’ipotesi di individuare i responsabili dell’uccisione di Lo Porto. La famiglia Lo Porto si è opposta alla richiesta di archiviazione del caso, rigettando l’interpretazione che l’attacco sia avvenuto in un contesto bellico.